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IL RE DEI GHIACCI

(fiaba)

Un tempo, ai confini del mondo, nelle lontane terre del Nord, regnavano due fratelli gemelli, chiamati Polo e Mosco.

Il primo era il sovrano dei Ghiacci, l’altro il signore della Tundra.  Si vedevano poco, ma si amavano teneramente.    

Grande e potente guerriero, Mosco aveva conquistato tutti i paesi dal Baltico agli Urali, stringendo un patto di lealtà con il fratello: quello di risparmiare per sei mesi all’anno la Tundra dai ghiacci perenni. 

Ma la maledizione del mago Gelo, loro invidioso cugino, aveva decretato che Polo, nato a suo dire da unione immonda, avrebbe sì regnato sui Ghiacci, ma sarebbe morto, se si fosse fatto trovare fuori dei confini del regno nei sei mesi più caldi.

Polo quindi s’era ingraziata la fedeltà dei Venti Polari, i quali promisero a malincuore di mettersi ai suoi ordini.  Con il passare del tempo, però, il monarca, a causa del sortilegio del cugino, fu preso da una strana malinconia, che gli aveva gelato nel petto la voglia di vivere. 

Fu chiamata a corte la maga Depressione ed ella sentenziò che le ricchezze sono fragili e l’amore il bene più prezioso: il re sarebbe stato salvato soltanto dal calore di una fanciulla innamorata.  Era difficile, se non impossibile, trovare una fanciulla siffatta nel Paese dei Ghiacci e allora il fratello Mosco, a questo fine, ritenne utile sguinzagliare nel suo regno una miriade di banditori. 

Ma, per quanto si cercasse, nessuna donna, giovane e bella, era disponibile ad andare ad abitare nel regno dei Ghiacci.  Così, il solo partito, che rimase al fratello, fu quello di mettersi personalmente a capo della spedizione. 

Una sera di quelle, mentre vagava per vie remote, egli fu sorpreso, in incognito e senza seguito, da una pericolosa tormenta di neve, tanto da temere per la sua sorte. Tra le furiose folate, che lo accecavano e disviavano, ebbe la ventura di avvedersi di un lumicino che appariva e spariva. Pensò che dove c’è luce, ci deve essere una casa. Pertanto, raccogliendo le ultime forze, venne a bussare a un casolare sperduto.

Alla luce di una torcia apparve sull’uscio un vecchio servitore e, alle sue spalle, qual non fu la sua meraviglia, la bellissima fanciulla dalle trecce bionde che il fratello aveva sempre sognata. Manco a dirlo, la fanciulla, detta Primavera, fu disponibile a raggiungere il paese dei Ghiacci per conoscerne il re.  

Arrivati che furono, trovarono la capitale nel silenzio più tetro, con le strade deserte e tutte le luci spente nelle case.   Le mura turrite della reggia erano ammantate di ghiaccio, così come tutte le vie, e s’avvertiva dappertutto un sinistro scricchiolio sotto gli zoccoli dei cavalli e le pesanti ruote delle carrozze. Nei saloni reali, immensi e sterminati,  dove si perdeva perfino l’eco dei loro passi, dignitari, cortigiani e soldati, seri ed impettiti, parlavano sommessamente della fine imminente del sovrano.

Quando Primavera, splendida e radiosa, giunse nella sala principale, la corte sembrò rianimarsi; si accesero le luci; fiorirono i discorsi e l’allegria; e il gran ciambellano uscì dagli appartamenti reali per annunciare che il re si era ripreso. Nella stanza del re, Primavera si trovò davanti il più bel giovane che si fosse mai visto sulla terra, che le sorrideva rapito; e anche lei, rapita, a sua volta sorrise, e così con lei tutti gli astanti, felici e contenti.  

Erano fatti l’uno per l’altra e non vollero differire al domani le loro nozze.  E quando ciò avvenne, per incanto i ghiacci cominciarono a sciogliersi; le acque saltellarono allegramente negli alvei dei fiumi; i boschi e i prati si riempirono di fiori e di colori; le città si rianimarono. Sembrava il regno della felicità. 

Però, sempre in agguato c’era il mago Gelo, che di nascosto tesseva le sue trame. Erano trascorsi appena sei mesi, dacchè Polo e Primavera regnavano felici, quando i Venti Polari, sobillati dal cattivo cugino, si ribellarono, tornando a soffiare più impetuosi che mai, portando neve e freddo glaciale, come non s’erano visti nell’estremo Nord.   I fiumi gelarono, i mari e l’oceano ghiacciarono e le città si fermarono. La rigida stagione e la morsa del freddo sembravano non finire e si vide gente costretta ad emigrare verso il Sud.  

Nel gelo della reggia, Primavera, la meno avvezza, si sentiva morire e non c’era calore che bastasse a riscaldarla. Trascinò quei giorni, pallida, tremante ed emaciata, finchè una mattina, allo spuntar del giorno, Polo ebbe la triste sorpresa, appena sveglio, di non trovarsi la sposa al proprio fianco. La cercò disperato, ma capì immediatamente ch’era fuggita nel regno di Mosco. 

Malgrado la profezia, egli volle raggiungerla ugualmente. Invocò i Venti Polari che portassero gelo e ghiaccio sul regno del fratello, affinché potesse uscire impunemente dai confini del paese, per unirsi all’amata.

L’abbraccio indissolubile degli sposi rinnovò quindi il prodigio dell’amore sulla natura. I Venti Polari si calmarono; le acque corsero veloci nei fiumi; il disgelo liberò prati rigogliosi e boschi lussureggianti; le città ritornarono a vivere. 

La profezia però s’era avverata: Polo, lontano dal suo regno, cessò di vivere tra le braccia dell’amata.  Ancor oggi, quando nella Tundra di Mosco, il 21 marzo, i Venti Polari si levano impetuosi, e il Gelo fa attaccare il ghiaccio a tutte le cose, i contadini chiamano quel giorno la Primavera di Polo.  

(ubaldo riccobono, diritti riservati)