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Amici di Pirandello, Sciascia, Empedocle

~ "La vita o si vive o si scrive" (Luigi Pirandello) – "Regnando Amicizia ogni cosa va ad unirsi" (Empedocle) – "Non si capisce un sogno se non quando si ama un essere umano" (Leonardo Sciascia)

Amici di Pirandello, Sciascia, Empedocle

Archivi Mensili: giugno 2007

24 domenica Giu 2007

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ambiente, natura, racconti

SICCITA’ & DESERTIFICAZIONE

siccità
La desertificazione costituisce una minaccia per le regioni aride, semi aride e sub umide secche presenti in tutti i continenti. Per desertificazione si intende il processo che porta ad una riduzione irreversibile della capacità del suolo di produrre risorse. In particolare, l’ aridità è una naturale caratteristica climatica che interessa con vari gradi di intensità il 47% delle terre emerse del Pianeta, le più a rischio. Ecco le coordinate del fenomeno a livello del Mediterraneo e nel Mondo:


– LA DESERTIFICAZIONE NEL MONDO: rappresenta una minaccia per circa un miliardo di abitanti degli oltre cento Paesi a rischio e per un quarto delle terre del Pianeta. La situazione è drammatica in Africa, dove il 73% delle terre aride coltivate sono interessate dal degrado e dalla desertificazione, ma esistono vaste aree degradate o minacciate anche in Asia, in America Latina e nel Nord del Mediterraneo, quindi anche in Italia. Vaste aree degradate sono state rilevate anche in Paesi sviluppati, come Stati Uniti e Russia.


– PAESI DEL G8: Tra i Paesi del G8, l’Italia (5,5% aree sensibili), gli Stati Uniti (37%) e la Russia (96%) presentano fenomeni di degrado del suolo, in generale legati a fattori climatici ed alla presenza di ecosistemi fragili dal punto di vista ecologico.


– ITALIA: In Italia le aree più vulnerabili sono pari a 16.500 Kmq, circa il 5,5% del territorio nazionale e maggiormente interessate dal fenomeno sono la Puglia, la Basilicata, la Calabria, la Sicilia e la Sardegna; calcolando una sensibilità media al rischio desertificazione, secondo i calcoli del progetto Dismed (Desertification Information System for the Mediterranean), ad essere predisposto è circa il 30% del territorio italiano.


– MEDITERRANEO: Calcolando una sensibilità media, a rischio desertificazione in Italia è circa il 30% del territorio, poco più del Portogallo (28,8%), ma inferiore a Grecia (36,8%) e Spagna (48,29%).


– LA CONVENZIONE: La Convenzione delle Nazioni Unite per la lotta contro la siccità e la desertificazione (Unccd), firmata a Parigi nel 1994, ha scelto di adottare una definizione di desertificazione quale «degrado delle terre nelle aree aride, semi-aride, e sub-umide secche, attribuibile a varie cause, fra le quali le variazioni climatiche e le attività antropiche».

– IL COMITATO: In Italia il Comitato nazionale per la lotta alla siccità e alla desertificazione è stato istituito nel 1997.


Il pericolo per l’ecosistema mondiale deriva dall’inquinamento da combustibili fossili (carbone, idrocarburi, petroli) per far funzionare le industrie, gli impianti di riscaldamento e gli autoveicoli. Il carbone è il più inquinante. La composizione dell’aria è rimasta immutata per milioni di anni, ma  con lo sviluppo industriale e l’urbanizzazione è cominciato il progressivo inquinamento.
I combustibili fossili, tra cui il carbone, causano un aumento della concentrazione atmosferica di anidride carbonica, di polveri sottili ed altri elementi e quindi problemi come: il degrado delle città, le piogge acide, i buchi nell’ozono ed il cosiddetto “effetto serra”. Tutti questi causano mutamenti climatici come l’aumento delle temperature medie e la moltiplicazione dei fenomeni meteorologici estremi ossia alluvioni e siccità che poi portano a cambiamenti ambientali come la desertificazione del suolo, l’innalzamento del livello di mari e oceani e lo scioglimento dei ghiacciai. Il carbone contiene tracce di altri elementi compresi l’arsenico, il mercurio, uranio ed altri isotopi radioattivi. Anche se presenti solo in tracce, vista la quantità di carbone utilizzata, rappresentano una fonte di inquinamento notevole; infatti una centrale a carbone durante il suo funzionamento, emette nell’aria più radioattività di quella che emette una centrale nucleare di pari potenza.
Il protocollo di Kyoto sui cambiamenti climatici rappresenta l’impegno dei paesi industrializzati di ridurre del 5% le emissioni di alcuni gas ad effetto serra responsabili del riscaldamento del pianeta. Ma i risultati dell’applicazione sono dubbi e molti paesi, tra cui gli Stati Uniti, non l’hanno accettato. Le ambiguità dei governi rischia di condizionare l’equilibrio ambientale del pianeta. E’ un atteggiamento di cecità, che alberga in tutti noi. C’è la spinta da parte di tutti i popoli a concentrarsi in aree urbane, in metropoli e megalopoli, abbandonando le campagne e gli ambienti naturali, che peraltro vengono sottoposti a sfruttamenti intensivi. Su quest’atteggiamento scrissi di getto un racconto sul mensile Portadiponte, intitolato La siccità. E’ un atteggiamento psicologico, che ci porta all’abbandono della campagna e determina una scarsa presa di coscienza e il formarsi della personalità del far-west, dello sfruttamento per lo sfruttamento dell’ambiente, senza alcuna lungimiranza, convinti che, se vi sarà il disastro ecologico, questo non ci potrà riguardare.

 

La siccità

(racconto)

 

“Non piove ancora?” chiese il padre dalla cucina. Il figlio, uscendo, sbattè la porta: forse non aveva sentito, o forse era arrabbiato. Il vecchio era cieco e, almeno per questo, avrebbe meritato più rispetto. Non se ne faceva, però. In fondo, a conti fatti, bisognava riconoscere che il figlio era un bravo giovane. L’accudiva nella sua cecità, sopperendo ai suoi bisogni, meglio della madre, che se n’era scappata di casa.

Però, ecco!, non gli andava di stare in campagna: insegnava in città e tra poco avrebbe sposato.

   “Vendiamo tutto!” era la litania del figlio. “Terra arsa è, terra amara, terra maledetta: la siccità se la sta mangiando tutta.”

   Ma lui, neanche per inteso:

”Non ti saresti neanche permesso di pensarlo, se ci fosse stata tua madre!” lo rimproverava. “Lei sì, che di terra se n’intendeva.”

 Sentendo nominare la madre, il figlio taceva, come se il padre avesse svegliato un nervo dolente.

 Al vecchio, quella terra era più cara della luce degli occhi che aveva perduto: secondo lui, era la sola cosa al mondo che avrebbe potuto far ritornare la moglie. 

Fin dalla prima volta, che vi aveva messo piede, da fidanzata, Ninfa aveva giurato e spergiurato, rapita:“In questa terra ci vorrei morire.”

Di nascosto, dietro le spalle di lei,  lui aveva fatto le corna, mentre l’aveva abbracciata e baciata d’impeto. Poi, se n’erano andati per i prati, giurandosi eterno amore. La campagna, allora, era in pieno rigoglio; sembrava un oceano senza fine, con il vento che vi scorrazzava, formando velocissime onde verdi, che s’inseguivano di continuo.

“Sai che farei?” gli disse, alla vigilia delle nozze. “Laggiù, una fattoria modello, innanzitutto… Su quella collina, un bel boschetto… E poi una bella vigna, dietro la casa…“

E giù a descrivergli i suoi sogni, strani per una ragazza di città. Sembrava esser nata e vissuta in campagna.

Fantasia notturna

Tutto le aveva permesso: ogni suo desiderio era un comando. Appena sposati, s’erano messi di buzzo buono, ma non credevano che con la terra si potesse diventare milionari.

La fortuna però è una banderuola, che va dove spira il vento. All’improvviso, il fulmine a ciel sereno: distacco della retina! e per lui era stato buio pesto. Che pena per Ninfa; si sentiva quasi in colpa; voleva cambiar vita, andarsene in città: ma lui inflessibile.

Basta! con l’onda dei ricordi. A che serviva rivangare, ora? Erano passati troppi anni e lui non si commuoveva più. Del resto, che lacrime avrebbero potuto spremere, i suoi occhi spenti? Da vent’anni se n’era andata, Ninfa, sconvolta da quella sua cecità traditora.

Nei primi tempi aveva resistito: dirigeva l’azienda, dando l’esempio: sempre in prima linea, tra gli operai, lei ch’era padrona assoluta. Era stata l’artefice della loro prosperità. Se avesse voluto, lui l’incoraggiava, avrebbe potuto trasformare i sassi in pietre preziose.

“Storie!” rispondeva lei. “Contano il lavoro e la volontà, e la costanza: tanti non ce l’hanno, ecco tutto.”

Alla fine, però, aveva mollato: non sopportava che tutto quel ben di Dio, che vedeva stupefatta davanti agli occhi, non potesse essere condiviso dal marito.

“Quello che tu vedi, non lo leggo dalle tue parole?” rispondeva il cieco.

“Affittiamola, la terra!” insisteva lei, con rabbia sorda. “Non è vita che fa per te. Ti stai abbrutendo, relegato in questa cucina, dalla mattina alla sera.”

Abbrutito? Bastava che s’affacciasse appena dalla finestra, per annusare l’aria; o facesse qualche passo sull’ aia, chè già sentiva il cuore spalancarsi.
Come credeva, lei, ch’egli avesse superata la cecità? Quella era la terra di suo padre e dei suoi avi, era suolo sacro, calpestato per generazioni e generazioni dalla sua famiglia. La sentiva propria, la terra, come non mai, con tutti i sensi e nessuno avrebbe potuto togliergliela, mai. Solo la morte.

Giardino dei sempliciCosì, all’improvviso, senza lasciare un rigo, Ninfa se n’era scappata.

   “E’ colpa tua!” aveva detto un giorno la fidanzata al figlio. “Perché non gli hai detto la verità?”

Il figlio l’aveva guardata con stupore, poi aveva risposto:“Ormai è troppo tardi. Quando tutto accadde, avevo appena dieci anni. Ma è stato un bene: vedi come si attacca ancora alla vita e spera sempre che lei ritorni?”

“Tu sai che gli voglio bene, come a un padre. Ma finirà per renderci la vita impossibile. Si convincesse almeno a venire a vivere con noi, in città!”

   “Non dire così… non porta bene. Una soluzione la troveremo. Sarà una rivoluzione, la vita mia. Ma glielo debbo. L’affetto che mi ha dato non è paragonabile nemmeno a quello che mi dava mia madre.”

“Io ti capisco, ma non me la sento di viaggiare, dalla campagna in città e dalla città in campagna, tutti i giorni.”

“Viaggerò io. Verrò a trovarlo ogni giorno. Poi, quando verranno i bambini, si vedrà.”

   “E se tu provassi a dirgli la verità?”

   “La verità? Sei pazza? Sarebbe una crudeltà, sarebbe come ucciderlo!”

   “Vuoi che ti aiuti, io?”

   “Mai! Non me lo perdonerei e non te lo perdonerei. E poi che cosa gli direi?… Papà, senti… sai… vent’anni fa, quando la mamma … Lui m’interromperebbe subito. Non pensarci, figlio mio, direbbe. Tua madre è sacra per me, anche se ci ha lasciati. Quando ritornerà, non ci sarà bisogno di perdono, sarà una vita nuova. Vedrai, ci porterà fortuna. Con il suo ritorno, finirà questa maledetta siccità e tutto sarà come prima, anzi più bello di prima. Dopo queste sue parole, tu pensi che io potrei avere cuore di dirgli: papà, papà… no, lei… tua moglie, mia madre, non tornerà più. Non può tornare, papà: capisci?  La mamma è morta, in un incidente… Morta, morta! Il trattore, sai, impazzito… s’era rovesciato, con lei sopra.”

abbandono

(racconto di Ubaldo Riccobono, tutti i diritti riservati)

 

 

 

 

17 domenica Giu 2007

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pirandello, pittura, teatro

Celebrazioni:Luigi Pirandello

140° Nascita Luigi Pirandello
Località Caos 28 Giugno

 

L’UOMO DAL FIORE IN BOCCA

 
“La morte, capisce? è passata. M’ha ficcato questo fiore in bocca, e m’ha detto: – Tientelo, caro: ripasserò fra otto o dieci mesi!”


Il 140° della nascita di Luigi Pirandello coincide, quest’anno, con il 70° della sua morte: evento unico e irripetibile. E a sancire questo tema sarà la rappresentazione della commedia “L’uomo dal fiore in bocca”, atto unico del drammaturgo, che concluderà la serata in onore del Premio Nobel. A metterla in scena davanti alla Casa Natale di Pirandello sarà la compagnia “Piccola Ribalta” di Casteltermini, con gli attori Fabrizio Giuliano (L’uomo dal fiore in bocca) e Raimondo Rotolo (Un pacifico avventore).
Questo dialogo, atto unico, trae origine dalla novella del 1918 Caffè notturno, che poi Pirandello intitolò, con felice intuizione, la Morte addosso, nel 1923. Proprio nel 1923, il 21 febbraio, fu rappresentato a Roma l’atto unico, dal Teatro degli Indipendenti, diretto da Anton Giulio Bragaglia. Il titolo “L’uomo dal fiore in bocca” suona più poetico, per creare la suggestione e il riferimento al termine epitelioma, che pronunziato, per Pirandello, è nome dolcissimo “più dolce di una caramella”, anziché tubero violaceo di morte, lasciato in bocca come un fiore.

LLa morte addosso, viceversa, è titolo più realistico ad indicare quasi fisicamente quella morte che ciascun uomo si porta addosso, senza rendersene conto; o meglio, di cui s’accorge drammaticamente nel momento in cui la scopre come malattia mortale, oppure quando gli altri gliela fanno notare. Dramma racchiuso magistralmente nella battuta:

Se la morte, signor mio, fosse come uno di quegli insetti strani, schifosi, che qualcuno inopinatamente ci scopre addosso…Lei passa per via; un altro passante, all’improvviso, lo ferma e, cauto, con due dita protese le dice: – “Scusi, permette? lei, egregio signore, ci ha la morte addosso”. E con quelle due dita protese, la piglia e butta via…Sarebbe magnifica!…

Vita e morte, Pirandello in questa commedia le descrive come eventi sovrapponibili,  a segnare l’involontario cammino dell’uomo, caduto come una lucciola dal cielo in un momento e in un luogo non scelto da lui, e destinato già fin dalla nascita a portare il suo fiore di morte in bocca. E la visione, per quanto tristissima, e drammatica nel bacio della moglie che vorrebbe condividere la sorte del marito, non atterrisce o sgomenta. C’è una consapevolezza di fondo e una accettazione – non rassegnazione – del percorso, che per l’uomo era già stabilito ed era ineluttabile completare.

1° PREMIO DI PITTURA
“CAOS – ERMA BIFRONTE”

 Erma bifronte, Vincenzo SciamèSarà una estemporanea di pittura, organizzata dall’Associazione artistico culturale “Vernissage” di Agrigento e dalla Biblioteca – Museo “Luigi Pirandello, ad aprire le celebrazioni pirandelliane del giorno 28 (ore 9,00 ore 18,00). Ad essa potranno partecipare tutti i pittori che ne faranno richiesta fino all’ultimo giorno e avranno voglia di cimentarsi davanti alla Casa Natale del drammaturgo. L’estemporanea è a tema: Pirandello tra arte, letteratura e territorio, ed è aperta a tutte le tendenze artistiche. La tecnica è libera ed il formato massimo 70×100. La partecipazione è gratuita. Le opere selezionate(circa 15) saranno esposte fino al 19 agosto presso il sito di Casa Natale e la Biblioteca-Museo “Pirandello”. Delle opere selezionate sarà curato un catalogo. Oltre un attestato per tutti i partecipanti, al 1° classificato sarà consegnata la targa “Premio Caos-Erma Bifronte”. Ai primi tre classificati andrà un ‘Erma Bifronte in ceramica, realizzata dall’artista agrigentina Rosa Tirrito. La giuria è composta: Alfredo Bordenga (pittore), Calogero Carbone (Direttore Biblioteca Museo Pirandello), Attilio Dalli Cardillo (Bibliofilo), Stefano Milioto (Scrittore, Drammaturgo), Ubaldo Riccobono (Giornalista, Scrittore), Rosa Tirrito (Scultrice).


DALL’ARGENTINA, CON AMORE

Durante la serata sarà consegnata al Sindaco di Agrigento, Marco Zambuto e all’Assessore ai beni, attività culturali e turismo, Paolo Minacori, la targa d’oro donata dalla Comisiòn de Homenaje di Buenos Aires, che sarà custodita presso la Biblioteca-Museo. Una cerimonia semplice, ma significativa a rinsaldare l’amicizia tra i popoli, in nome dell’arte, della letteratura e della cultura.

 Casa Natale di Pirandello, contrada Caos

PITTURA & LETTERATURA

13 mercoledì Giu 2007

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letteratura - articoli, pittura, sciamè, tomasi di lampedusa

 IL GATTOPARDO DI VINCENZO SCIAME’ 

Nel Palazzo Baronale “Milio” di Ficarra di Patti, il maestro Vincenzo Sciamè ha presentato ancora una volta la mostra tematica “Da Tomasi di Lampedusa al Gattopardo”, tenuta a battesimo dal vescovo di Patti, Mons. Ignazio Zambito e illustrata dal Prof. Natale Tedesco, docente di letteratura dell’Università di Palermo, nel cui corso molto è dedicato al connubio tra pittura e letteratura. Tutti i disegni e i quadri possono essere visitati nel sito linkato "pittore Sciamè".
La mostra, organizzata
dal Centro d’Arte Moderna “AGATIRIO” di Capo d’Orlando, in collaborazione con il Centro “Lucio Piccolo di Calanovella” ed il Comune di Ficarra, sarà esposta fino al 30 giugno e si sposterà poi proprio a Capo d’Orlando a Villa Piccolo, sede dell’omonima fondazione, tappa quasi obbligata, perché la famiglia Piccolo era cugina dei Lampedusa e il presidente della Fondazione, Bent Parodi di Belsito, è l’ultimo discendente dei Gattopardi. L’evento era stato presentato tre anni orsono, presso il Parco letterario di Santa Margherita Belice, in provincia di Agrigento, nel palazzo dei Lampedusa, che s’identifica nel romanzo in quello di Donnafugata.

gattopardo1bisSciamè, nato a Sambuca, ad un tiro di schioppo da Santa Margherita Belice, ha assimilato di quelle terre l’humus pittorico, che si sostanzia in quel paesaggio arroventato dell’interno dell’isola, descritto nell’opera magistralmente, “mai un albero, mai una goccia d’acqua: sole e polverone”, e che fa levare all’unisono un grido di liberazione a tutti i componenti della famiglia Salina, quando, durante la loro fuga in carrozza da Palermo, dopo lo sbarco di Garibaldi, esclamano sorpresi: ”gli alberi! ci sono gli alberi!”

gattopardo26 Sciamè non conosce soltanto Il Gattopardo come opera letteraria: ma, paesaggio e modi di essere siciliani, li porta nel suo dna, nel sangue che scorre nelle sue vene; li sente sulla sua pelle come stimmate, come tutti i siciliani, allo stesso modo che fece dire al principe Fabrizio Salina, nel famoso colloquio con Chevalley:

“Questo paesaggio che ignora le vie di mezzo fra la mollezza lasciva e l’asprezza dannata… questo paese che a poche miglia di distanza ha l’inferno attorno a Randazzo e la bellezza della baia di Taormina…questo clima che c’infligge sei mesi di febbre a quaranta gradi…si può dire che nevica fuoco, come sulle città maledette della Bibbia; in ognuno di quei mesi se un Siciliano lavorasse sul serio spenderebbe l’energia che dovrebbe essere sufficiente per tre; e poi l’acqua che non c’è o che bisogna trasportare da tanto lontano che ogni sua goccia è pagata da una goccia di sudore; e dopo ancora, le pioggie, sempre tempestose che fanno impazzire i torrenti asciutti, che annegano bestie e uomini proprio lì dove una settimana prima le une e gli altri crepavano di sete. Questa violenza del paesaggio, questa crudeltà del clima, questa tensione continua di ogni aspetto, questi monumenti, anche, del passato, magnifici ma incomprensibili perché non edificati da noi e che ci stanno intorno come bellissimi fantasmi muti; tutti questi governi, sbarcati in armi da chissà dove, subito serviti, presto detestati e sempre incompresi, che si sono espressi soltanto con le opere d’arte per noi enigmatiche e con concretissimi esattori d’imposte spese poi altrove; tutte queste cose hanno formato il carattere nostro che rimane così condizionato da fatalità esteriori oltre che da una terrificante insularità di animo.”

Sciamè è aderente al tema fondamentale del romanzo, la “sicilitudine”, che rappresenta emblematicamente (vedi quadro sotto) come archetipo, in un kafkiano castello irraggiungibile, arroccato sul Montepellegrino, mentre nella parte sottostante sono la fantasia e il sogno che s’incarnano nel paesaggio e nel simbolo della palma da “uri” arabe o da Mille e una notte.
E nel cielo che sovrasta c’è il sogno di Don Fabrizio che dal suo osservatorio terrestre si slancia verso le stelle “verso le intangibili, le irraggiungibili, quelle che donano gioia senza poter nulla pretendere in cambio, quelle che non barattano…”. “Esse sono le sole pure, le sole persone per bene…Chi pensa  a preoccuparsi della dote delle Pleiadi, della carriera politica di Sirio, della attitudine all’alcova di Vega?”

gattopardo24Ma Don Fabrizio sa che anche il sogno dell’ultimo Gattopardo è finito, non solo perché il suo mondo è in agonia sotto l’incalzare dei nuovi ceti borghesi e di quel “cornuto” di Garibaldi, come lo definisce in un conato di bile; ma anche perché, in una sorta di preveggenza eros-tanathos, egli ormai è convinto che sta corteggiando la morte, come gli viene detto dal nipote Tancredi. E Il Gattopardo è una sinfonia di morte, nei suoi messaggi ricorrenti e costantemente allusivi. Si apre con la recita del rosario:”Nunc et in hora mortis nostrae. Amen.” e si chiude con la fine delle “reliquie”  e la fine di tutto, quando la carcassa tarlata e polverosa del cane Bendicò trova “pace in un mucchietto di polvere livida”. Ma tutto il romanzo è disseminato da un alone di morte: dal contesto storico che si dissolve, cambia e si riproduce identico ma sotto altra forma, fino al passaggio del testimone da Don Fabrizio al nipote Tancredi, che costituisce la proiezione del sogno del Principe.

gattopardo4Il “ciclone amoroso”, raffigurato da Sciamè, nell’abbraccio erotico tra Tancredi e Angelica, non è altro che la fusione per incorporazione tra nobiltà e borghesia, un abbraccio impossibile da perseguire da parte dell’ultimo dei Gattopardi, dallo “zione” come viene chiamato Don Fabrizio Salina, anche da Angelica.

gattopardo7Soltanto Tancredi può perseguirlo, come erede designato di un’epoca che muore, anche se lo zio l’ha vagheggiato, corteggiando la morte. Ed è il ballo di palazzo Ponteleone, tra Don Fabrizio e Angelica Sedara, ad incarnare questo passaggio-clou. La danza rappresenta l’incontro tra due corpi e due anime, è in essa che il Principe si sente sedotto da Angelica, figlia della Borghesia, temuta ma seducente, in tutto il suo smagliante e imperante fulgore. Sciamè si dimostra maestro, dapprima a trasmetterci questo messaggio con due disegni a matita. Nel primo c’è l’invito-profferta e tentante di Angelica allo “zione”, magistralmente descritto da Giuseppe Tomasi:”Volevo chiederle di ballare con me la prossima ‘mazurka’. Dica di sì, non faccia il cattivo: si sa che Lei era un gran ballerino.” Il Principe fu contentissimo, si sentiva tutto ringalluzzito. Altro che cripta dei Cappuccini!”

Angelica e Il Gattopardo al Ballo, Vincenzo Sciamè disegnoNel secondo disegno il ballo inizia, mentre il Principe sente salire dalla scollatura di Angelica “un profumo di bouquet à la Maréchale, soprattutto un aroma di pelle giovane e liscia. Alla memoria di lui risalì una frase di Tumèo:”Le sue lenzuola debbono avere l’odore del paradiso.” Frase sconveniente, frase villana; esatta però. Quel Tancredi…”

gattopardo16Nella tela ad olio Sciamè raggiunge il top, rappresentando l’apoteosi perfetta della coppia, che sembra riprodurre le parole del libro:”Per un attimo, quella notte, la morte fu di nuovo ai suoi occhi, roba per gli altri.”

gattopardo19Ma fu soltanto un attimo, perché la morte, si presenta aequo pede, com’era sentita e necessaria, morte di tutto; ma non ha un volto che atterrisce, ha il volto di Angelica, il volto della Borghesia che chiede al Principe quasi licenza per impossessarsi dello scettro del comando:

“Fra il gruppetto ad un tratto si fece largo una giovane signora: snella, con un vestito marrone ad ampia tournure, con un cappellino di paglia ornato da un velo a pallottoline che non riusciva a nascondere la maliosa avvenenza del volto. Insinuava una manina inguantata di camoscio fra un gomito e l’altro dei piangenti, si scusava, si avvicinava. Era lei, la creatura bramata da sempre che veniva a prenderlo: strano che così giovane com’era si fosse arresa a lui…”

Angelica, Il Gattopardo, disegno di Vincenzo SciamèE’ l’abbraccio finale che Sciamè rende quasi con lirismo nel disegno a matita, come esodo del dramma: il bel volto di Angelica sembra quasi trasfigurato di arrendersi al Principe, di spalle.

gattopardo5Se l’abbraccio finale sancisce la resa della nobiltà alla borghesia, quest’ultima vuol dirozzarsi ed elevarsi ai valori della prima, così come con pervicacia desidera Angelica. Tancredi, nobile decaduto, s’imborghesisce diventando politico e andando alla ricerca di altri amori ed esperienze erotiche; Angelica persegue il suo sogno di appartenere alla stirpe “signorile” per assurgere al rango dell’ “amato” zione, riuscendoci. Vecchio e nuovo s’incorporano e tutto cambia per non cambiare, perché la verità in Sicilia è un concetto relativo e, forse, inesistente, così come afferma la figlia stessa del Principe, Concetta:

“In nessun luogo quanto in Sicilia la verità ha vita breve: il fatto è avvenuto da cinque minuti e di già il suo nocciolo genuino è scomparso, camuffato, abbellito, sfigurato, oppresso, annientato dalla fantasia e dagli interessi; il pudore, la paura, la generosità, il malanimo, l’opportunismo, la carità, tutte le passioni buone, quanto le cattive si precipitano sul fatto e lo fanno a brani; in breve è scomparso.”

Restano i segni del passato soltanto nelle cose, negli stemmi gentilizi, ormai inutili e sorpassati e nei personaggi che non ci sono più e si sono riciclati. Stirpe di semidei i siciliani: questo il loro pregio, questo il loro limite di sempre.

gattopardo28La modernità del romanzo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa non fu colta da Elio Vittorini, che rifiutò la sua pubblicazione, e dalla cultura di sinistra del tempo, allora imperante. Soltanto più tardi, ad opera di Giorgio Bassani, l’opera fu rivalutata e uscì per i tipi di Feltrinelli e s’impose come best-seller, diventando un caso editoriale.

gattopardo17 (Giuseppe Tomasi di Lampedusa pensoso, al tavolo del Caffè Mazzara dove scriveva le sue opere)

(Ubaldo Riccobono, tutti i diritti riservati)

08 venerdì Giu 2007

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amicizia, letteratura - articoli, poesia

ABITARE QUESTA TERRA

Il poeta Nino AgnelloIl titolo del post è quello di una bella silloge, che origina dalla prima poesia, così titolata, di un mio amico poeta, scrittore, saggista, Nino Agnello, che oggi compie il suo 70° genetliaco, una vita interamente dedicata alla letteratura. Oggi, presso il Liceo Ginnasio “Empedocle”, lo stesso dove studiò Luigi Pirandello, e nel quale per tantissimi anni Nino Agnello è stato apprezzatissimo docente di materie letterarie, in suo onore è stata organizzata una bella cerimonia. Io non potrò essere presente per concomitante impegno fuori sede, in un convegno in cui sono correlatore, ma gli ho dedicato per l’occasione una recensione che gli farò pervenire e che sarà letta in pubblico. Su questo blog voglio pubblicare proprio la poesia d’incipit della sua bellissima, colta e profonda raccolta di liriche 2000-2004:


ABITARE QUESTA TERRA

 
O mio corpo fedele

duro, affaticato,

paziente mi segui

per tutte le escursioni del giorno

non servo ma socio e compagno

a specchio di sole o luna macilenta.

 

Sai bene che non siamo nati

per le lettighe dell’ozio,

per ondeggiare, dalla finestra,

su cime d’abete solitario.

Seguiamo la condanna di Caino:

abitare questa terra

e innaffiarla con pioggia di sudore.

 

Quando è tempo, poi,

ci godiamo sapori di albicocche.


Il poeta Nino AgnelloCi sono in questa poesia, e in tutta la raccolta, innegabili reminiscenze pavesiane, che s’incarnano nella pesantezza della fatica dell’ "abitare la terra", destino e quintessenza della vita dell’uomo, votata alla relazione, ma il cui frutto potrà essere goduto in un "poi" futuribile, magari episodico e transeunte, ma sicuramente desiderato e desiderabile. In essa è insito il ruolo dell’intellettuale e del poeta di oggi, siccome Agnello dimostra in tutta la sua vasta, colta e variegata produzione, e nel suo magistero di docente:


 IL CANE RANDAGIO


Mi dicono cane randagio,

cane senza padrone.

Ma gli uomini non lottano

per essere tutti senza padrone?

Io mi stimo un essere libero.


(tratta da " Le belle Fabelle" di Nino Agnello)


Le opere

 

Poesia: Dialoghi della mia solitudine, Milano 1960; Vento caldo, Padova 1969; Cerchi concentrici, Roma 1980; La danza dei delfini, Caltanissetta 1980; Tutte parole, Agrigento 1984; La spiaggia, ivi, 1985; All’ombra del basilico, ivi 1987; Ancilla Domini, ivi, 1988; L’età felice, Catania 1985Le colombe di Galla Placidia, Roma 1990; Eldorado, Palermo 1991; Il muro di Berlino, Pisa 1991; Palermo volti e cuore, Palermo 1993; Sogni al tombolo, Milano 1995; Chitarra Fedele, Foggia 1997; Accadimenti, ivi, 1998;  Convivalia, Agrigento 1998; Parole di granito, Roma 2000; Le forme del divenire, Arezzo 2001; Le belle fabelle, Agrigento 2002; Abitare questa terra, Ragusa 2005;

Narrativa: Un paese come tanti, Palermo 1977; L’età felice, Catania 1984; Eldorado, Palermo 1991; Il muro di Berlino, Pisa 1991; La casa  con gli archi, Palermo 1997; Il romanzo di Empedocle, Agrigento 2002; Gerlando uomo di Dio (dramma), Agrigento 2003; Una vita per Omero, Agrigento 2005;

Critica letteraria: La narrativa di Cesare Pavese, Palermo 1982; Agrigento in versi, Agrigento 1985; Luigi Pirandello, il fu Mattia Pascal, Palermo 1994; Empedocle, Frammenti, introduzione e traduzione, Agrigento 1998; La poesia di Carlo Betocchi, Foggia 2000; Neruda e Quasimodo, Palermo 2002; Pino D’Agrigento, Uno scrittore siciliano del Novecento, Agrigento 2004; Novelle agrigentine di Pino d’Agrigento, introduzione e scelta.

 

03 domenica Giu 2007

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donna, letteratura - articoli, poesia, teatro

“LA CULTURA DEL FEMMINILE” AD AGRIGENTO

 

Sorgente

Come le foreste danno ossigeno alla terra:

così tu donna dai respiro alla vita!

Come le centrali danno energia al lavoro:

così tu donna – per la macchina uomo –

come una sorgente senza fine

sei fatica, sei arte, sei scienza!

Tu donna nutri lo spirito del mondo

Tu donna sei dispensatrice d’amore

sei nettare nel cui calice

l’uomo succhia il senso delle cose

il sapore della vita

l’energia dell’essere.

Tu donna irradiatrice di luce

brilli – meravigliosa stella –

e alimenti le speranze degli uomini

barricati sulla terra.

Aurora Gardin

 

                                  (L’attore Nino Bellomo)L

Con questa bella poesia, il decano degli attori agrigentini, Nino Bellomo, ha chiuso in bellezza l’incontro pomeridiano, voluto dall’UCIIM agrigentina (Associazione Prof.le Cattolica di Dirigenti, Docenti e Formatori della Scuola e della F.P. presidente Giovannella Riolo) sul tema “La cultura del femminile ad Agrigento”, relatore lo storico Settimio Biondi svoltosi presso la Biblioteca- Museo Luigi Pirandello di Agrigento.

       (Michele Placido)

Michele PlacidoA 85 anni Nino Bellomo recita e legge con la passione di sempre, che lo portò a calcare le scene di tutt’Italia, affiancando il grande Michele Placido, nell’atto unico di Luigi Pirandello “L’uomo dal fiore in bocca” e in “Uno sguardo dal ponte” di Arthur Miller. E nella serata al femminile l’attore agrigentino aveva dato un saggio della sua bravura interpretando, affiancato dalla nipote Esmeralda Calcullo, proprio l’Uomo dal fiore in bocca. La famiglia Bellomo è stata un vero connubio tra vita e teatro. Oltre al padre Nino, attore di fama nazionale, la figlia Virginia è stata apprezzata attrice assieme al marito Calogero Calcullo e ora dei genitori ha preso il testimone la figlia Esmeralda. Il figlio maschio di Nino, Francesco, ha intrapreso la professione di produttore teatrale e può vantare al suo attivo più di ottanta produzioni teatrali – realizzate coi grandissimi del teatro italiano, da Proietti a Placido.

Francesco Bellomo, produttore teatrale, premiato con il(Il produttore teatrale Francesco Bellomo riceve il premio Sikelè)

L’incontro alla Biblioteca-Museo Pirandello s’è incentrato sull’interessantissima prolusione dello storico Settimio Biondi, non prima di una breve presentazione del direttore della Biblioteca-Museo, che ha lumeggiato il forte personaggio femminile dell’attrice Marta Abba, in relazione al rapporto affettivo con il suo Maestro e direttore artistico Luigi Pirandello, che scrisse per lei numerose opere teatrali. Settimio Biondi ha svolto una affascinante tesi della predominanza della cultura “femminile” nel modo di essere della società agrigentina, partendo addirittura dal XVII secolo a.c. con la scoperta dell’insediamento di Montegrande, la cui civiltà ad economia solfifera s’incontrò con quella egea, attirata dallo sfruttamento e dalle diverse applicazioni dello zolfo. Civiltà che si è tramandata e conservata grazie all’elemento femminile, fino al primo ‘900. Biondi ha poi tratteggiato la figura delle figlie di Cocalo, che si ribellarono all’arroganza di Minosse venuto da Creta per inseguire Dedalo, rifugiatosi alla corte del re siciliano. Questo mito rappresenta la valenza dell’elemento femminile che protegge e tramanda, contro la protervia dell’elemento “maschile” che violenta e distrugge, non inteso però sotto il profilo riduttivo maschio-femmina, perché la cultura femminile può imporsi ed essere predominante anche ad opera del maschio. Così nel sacco della città di Akragas, ad opera dei cartaginesi, fu l’elemento femminile che permise alla civiltà akragantina di sopravvivere, rimanendo e offrendosi in olocausto ai vincitori, che comunque si comportarono bene. Biondi ha ricordato poi la figura della moglie dell’arabo Ibn Gamud, che rimase da sola prigioniera dei normanni e fu riconosciuta come araldo di quella civiltà, e la forza e le capacità di governo di Maria Prefoglio, madre dei Chiaramonte e le sue discendenti Costanza I e II. Un riferimento forte il relatore ha fatto infine alla madre di Luigi Pirandello, Caterina Ricci Gramitto, la cui idealità spirituale “femminile”, connotato predominante della famiglia, trapassò nell’opera del figlio. Tesi affascinanti, da approfondire, verificare e dibattere, ma che in nuce recano una profonda verità del ruolo essenziale che l’elemento “femminile” gioca nella composizione della sensibilità e della spiritualità di ogni uomo.  

Dacia Maraini(Dacia Maraini e le agrigentine, Aprile 2007)

In effetti l’impegno delle donne agrigentine, come ha sottolineato lo storico Settimio Biondi, è stato contrassegnato da una continuità di fondo. Le numerose associazioni femminili agrigentine, come Fidapa, l’Uciim, le Ande, il Soroptimist, l’Agorà delle Donne, hanno sensibilizzato fortemente l’opinione pubblica sui problemi più scottanti. Nello scorso aprile hanno voluto organizzare l’incontro con Dacia Maraini che ha presentato il suo ultimo libro “I giorni di Antigone”, nel suggestivo salone di S.Spirito (ex refettorio del Convento), fondato dalla battagliera Maria Prefoglio Chiaramonte nel lontano 1200. L’illustre scrittrice ha focalizzato il tema con riferimenti precisi a vicende della recente attualità, in relazione soprattutto alle violenze nei confronti delle donne, così come nel libro che raccoglie gli scritti degli ultimi cinque anni sul “Corriere della Sera” e su “Io donna”.

capricornoNei caratteri della genialità, della forza e della femminilità, che non hanno sesso, stanno racchiusi come in una conchiglia i valori ambivalenti della vita, che postula necessariamente fecondante e fecondato, in un nesso continuo e indissolubile.

 

 

01 venerdì Giu 2007

Posted by ubaldoriccobono in Senza categoria

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aforismi e paradossi, diario, goethe

SULLA SCIA DI J. W. GOETHE 


J.Wolfgang Goethe“Nella sua fragile barca l’uomo riceve un remo
proprio perché non obbedisca all’arbitrio delle onde
”

 

Il quotidiano dialogo interiore di Goethe si estrinsecava in massime e riflessioni, che aveva il vezzo di appuntare a caldo su qualsiasi materiale scrittorio si trovasse davanti, anche a teatro sulle locandine, per poi trascriverle e ridefinirle successivamente: un’attività immane, un habitus mentale, che durò tutta la vita. Goethe pensava che assai spesso l’uomo si lamenta della transitorietà della vita, sciupando il suo tempo, mentre noi esistiamo per rendere eterno ciò che è passeggero. E’ un insegnamento prezioso che, nel mio piccolo, mi ha consentito di fissare aforismi o paradossi, che assai spesso condivido in semplicità con gli amici, confrontandoli con i loro, allo scopo forse di ingannare il taedium vitae, che si manifesta in ciascuno di noi.


AFORISMI E PARADOSSI


1 Gli uomini furono creati in libertà ed ebbero potestà di vivere e di operare a loro talento. Nello stato di natura ebbero padronanza, signoria di se stessi e facoltà di tutto ciò che era lecito. Nella civile società il campo fu ristretto dalle leggi, veri fili spinati della mente.

 

2 Chi s’adira è come il cieco che ha perso la strada!

 

3 S’affretta chi non vive e vuol arrivare ad una condizione successiva per tentare di viverla.

 

4 Che vale essere grandi e grossi ed avere buona collottola come gli antichi abati, o essere rodomonti oppure savi? Ad ogni angolo ci può essere un inciampo per tutti. Pertanto, o uomo, vivi la tua vita per te stesso, senza imitare gli altri.

 

5 Quando vuoi far buono e utile studio, si usa sempre il disegno di fare adagio, avendo in totale considerazione: o si fa adagio o non si fa niente.

 

6 C’è chi il suo ingegno vende a vil prezzo e chi lo tesoreggia, chiudendolo in uno scrigno a doppia mandata: non sono entrambe le soluzioni insulto all’intelligenza e alla dignità umane?

 

7 Il turbamento dell’ira ci toglie la serenità della mente e la pace dell’anima.

 

8 Non sempre coloro che lasciano il certo e il sicuro, per l’incerto e il dubbioso, sono uomini stolti. A volte, in poco tempo, la società ha fatto progressi di cent’anni per il sacrificio di costoro.

 

9 Memori del presto e dell’adagio ci rimettiamo al tempo che ci tiranneggia.

 

10 Sui libri di scuola s’idealizzano troppo gli eroi greci e romani e la guerra; ma non ci accorgiamo che i giovani, come nei film e alla televisione, considerano le civiltà antiche come un mondo virtuale, non traendo elementi di paragone tra le nefandezze e il vero eroismo.

 

11 Quando si dice che Achille, nel ridare la salma di Ettore al padre Priamo, volgesse il pensiero al vecchio e lontano genitore, con questo tenero quadretto non si rende giustizia alla sanguinosa carneficina di soldati troiani, di cui l’eroe greco si rese responsabile.

 

12 Malgrado Dante abbia idealizzato Ulisse come il prototipo di uomo dedito alla conoscenza, l’ha relegato pur sempre in un girone dell’inferno. Il divino fiorentino aveva valutato adeguatamente le non lodevoli imprese dell’eroe d’Itaca sui campi di battaglia di Troia, l’astuto e infido tranello del cavallo, la disputa poco onorevole con Aiace per le armi di Achille e le reazioni sanguinarie di marito tradito o preteso tale.

 

13 Lo stratagemma di Penelope, che filava di giorno e di notte scioglieva la tela, non si spiega con l’immagine della fedeltà coniugale, ma con il sacrificio della madre, che aveva intenzione di far raggiungere la maggiore età al figlio Telemaco, per conservargli il regno del padre. Se non fosse stato per questo, quale donna, bella e ricca, anche a quei tempi, avrebbe atteso venti anni per scegliersi un altro uomo? 

 

14 La vita, come la Pasqua, è una continua rinascita, una serie di passaggi. E la rinascita comporta sempre la morte di quello che eravamo e di quello che facevamo.

 

15 Diceva Oscar Wilde che la differenza tra la letteratura e il giornalismo consiste  nel fatto che il giornalismo è illeggibile e la letteratura non è letta. Immaginiamoci, se ciò fosse vero, cosa sarebbero giornalismo e letteratura in Italia, dove la maggior parte di scrittori sono giornalisti.

16 Nessuno di noi forse si rende conto del dono più bello che abbiamo ricevuto: la parola. La usiamo, inconsapevoli della sua importanza, tutti i giorni parlando, scrivendo e pensando; già, perché in quest’ultimo caso la parola è rivolta al nostro io, come ad un interlocutore privilegiato. La parola nasce da Dio, il Verbo per definizione, e la identifichiamo con la madre che ci dà la vita e ci insegna a proferirla.

 

(Ubaldo Riccobono,  Aforismi e paradossi, tutti i diritti  riservati)

 

Tramonto 

 

 

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