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Amici di Pirandello, Sciascia, Empedocle

~ "La vita o si vive o si scrive" (Luigi Pirandello) – "Regnando Amicizia ogni cosa va ad unirsi" (Empedocle) – "Non si capisce un sogno se non quando si ama un essere umano" (Leonardo Sciascia)

Amici di Pirandello, Sciascia, Empedocle

Archivi Mensili: maggio 2008

24 sabato Mag 2008

Posted by ubaldoriccobono in Senza categoria

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biondo margherita, educazione, empedocle, giovani, poesia, scuola

UNA DOCENTE E I SUOI ALUNNI
(ovvero
"Dell’educazione creativa")


“E’ l’intelletto che vede e ode, è l’intelletto che guadagna tutto, che dispone tutto, che agisce, che domina e che regna: tutte le altre cose sono cieche, sorde e senz’anima”                             Epicarmo

 “I giovani si devono fare istruire; gli uomini esercitarsi a ben fare”  Socrate

Margherita BiondoAssai spesso si parla di un mondo che va diventando sempre più impoetico; non a torto però, perché oggi hanno preso decisamente il sopravvento, a scapito dell’uomo, la Tecnica, l’Economia, il Mercato, che sembrano trascenderlo e ne condizionano in vario modo l’esistenza e lo spirito.
Eppure non mancano le eccezioni, che pur confermando la regola generale, indicano la via da battere, per invertire tale tendenza: via sicuramente accidentata, lunga, faticosa; ma non per questo da tralasciare.
Partendo da questa concezione e dalla concretezza del percorso, la docente dell’I.T.C. “Leonardo Sciascia” di Agrigento, Margherita Biondo, pur insegnando discipline giuridiche ed economiche, ha svolto un interessante progetto di educazione alla poesia, con l’attivazione dell’annesso laboratorio creativo, che ha dato dei buoni frutti e, soprattutto, ha portato numerosi alunni a comporre e ad esprimersi in versi.
La dott.ssa Biondo è l’espressione più viva e la dimostrazione più evidente che a scuola “si può”, in particolar modo quando si mettono a disposizione degli altri, cognizioni, sapere, esperienza e professionalità.
Margherita Biondo, oltre che docente, è pittrice, poetessa, scrittrice, giornalista e non ha lesinato tempo, nè  energie per far decollare il suo progetto culturale; e alla fine, i suoi alunni, piccoli poeti in erba, sono stati premiati con un attestato dall’AICS (Associazione Italiana Cultura e Sport), nel corso di una manifestazione scolastica, durante la quale le poesie sono state recitate dall’attrice agrigentina Patrizia Camera.
Una soddisfazione grande per la poetessa docente, artefice di questa piccola scuola poetica, nel più puro spirito empedocleo. E’ noto infatti che il filosofo della natura, Empedocle, avesse creato ad Akragas una vera scuola di retorica, di scrittura, di medicina, di poesia. Nella sua opera più importante, Sulla natura, egli si rivolge direttamente al suo allievo prediletto, Pausania, al quale spiega la sua concezione filosofica dei quattro elementi:

Ascoltami, o Pausania,
prole del savio Anchito:
per volere del caso
e per antica necessità
quattro sono le radici del mondo:
Terra, Acqua, Fuoco, Etere…

 

LA TETRARCHIA DEGLI ELEMENTI
alla maniera di Empedocle

Margherita BiondoE Margherita Biondo ha costruito una colta, moderna, interessante raccolta poetica “Tetrarchia degli elementi”, (pluripremiata, tra gli altri premi ha conseguito al “Pavese”) che sin dal titolo ha molti punti di contatto con il pensiero di Empedocle, come si evince chiaramente dall’intentio dichiarata nella poesia d’esordio della silloge:

 

GLI ELEMENTI

 Verosimile ricerca dell’Assoluto
sull’aura di un Universo fatiscente.
Dannata corsa dietro la verità che scappa!

Senza la follia dell’ambizione
cerco di attingere pazienza dalla carta
per cogliere il tempo delle vendemmie
disputando sulla quadricomia della natura.
Tuttavia invento espedienti
per costruire un edificio del verso
e lasciare una traccia di me
nei luoghi in cui sono vissuta.
E piego la mente in quattro
come un fazzoletto
mentre accelero la rovina
nel giudicare me stessa
poiché metto al supplizio ogni risorsa
parafrasando araldi utopisti
che con triviali frizzi da ciarlatani
ascoltano i pregiudizi dei sensi
dentro le orecchie murate dal suono
non oltre il diapason di ogni strumento.

 Scorribanda di vaghi pensieri:
il fuoco li infiamma
l’acqua li trascina
l’aria li disperde
la terra li seppellisce…


Poesia giovanile

(Prima parte) 

Variegati risultano gli argomenti che gli alunni, da lei guidati, hanno voluto esprimere nelle loro composizioni; da apprezzare in ogni caso per la serietà, la ricerca e l’impegno nel dare voce al loro vissuto e alle loro emozioni. C’è già coscienza di "voler dispiegare le ali", di volersi librare in un mondo "senza tempo nè età", che è fatto di "tumulto di emozioni", dove non si vorrebbero più "rose spezzate dalla prepotenza, che hanno perso petali ed essenza". Speranze e aspirazioni, che non possono essere mortificate, per non uccidere la memoria, per solcare i cieli di un’amicizia vera. Temi giovanili che rivelano ansie, inquietudini ed emozioni, ma anche l’esigenza di un mondo più puro e migliore.

L’APPUNTAMENTO
Margherita Biondo, RitrovoLa notte vado al mio appuntamento.
Il vento non soffia sulle case

che ai lati delle strade sono silenziose.

 Lei sta per arrivare:
non s’ode alcun rumore
oltre i suoi passi,
oltre il battere del mio cuore
che s’insinua con violenza.

 Con un balzo leggero arriva.
Siede vicino a me
e il mio corpo freme.

 La notte si oscura.
Le nuvole offuscano le stelle.
Subisco un tumulto di emozioni
che non so come arrestare
nel vortice di questo turbamento.

 Valerio Lombardo – V  A


CARO AMICO

Alfio Sorbello, Alba
Caro amico…
se ti dedico un sorriso
mi sembra di poter volare.

Sei così lontano
ma vorrei tanto averti accanto
quando ti regalo il mio pensiero
e provo a darti la mano.

Non scordarmi
perchè io so amarti
e di questo amore sono fiera
che come una rondine tornerà a migrare
nel calore della nostra primavera.

Sei così lontano
ma vorrei tanto averti accanto
quando ti regalo il mio pensiero
e provo a darti la mano.

Caro amico…
sulle ali dell’affetto che ci lega
solchiamo i cieli di quest’amicizia vera.

Jessica Montante –  III F


PETALI

Daniela Refoni, Petali
Come foglie al vento
angeli senza ali
urlano in sordina
il loro malcontento.

Rose spezzate dalla tempesta
gettano il seme sulla terra
per ritornare ad essere se stesse
col cuore colmo di quell’amarezza
che lascia il segno nello sguardo.

Tristezza indelebile
come una carezza data da chi
forte del suo brutale agire
ha calpestato la via della purezza.

Rose spezzate dalla prepotenza
cercano il chiarore della luce
anche se nel moto della violenza
hanno perso petali ed essenza.

Ornella Gozzi – V A


GRAZIE

Margherita Biondo, la Concordia agrigentina
Grazie per avermi spiegato
che il cuore non sfiorisce
se una storia è andata male.

Grazie per avermi raccontato
che l’errore è un ciottolo di esperienza
sulla difficile strada dell’amore.

Grazie per avermi illuminata
con un sentimento che
non ha età nè tempo.

Grazie per avermi consentito
di gridare le mie emozioni
al mondo intero.

Grazie amore,,,
grazie di tutto questo.

Daniela Guarneri – V A


SEDUTA A MEDITARE

Margherita Biondo, Meditazione
S’ode un pianto squarciare le pareti.
Una voce implora aiuto
poi… il silenzio.

Nella mano una valigia,
sul volto un trucco leggero
sciupato dalla pioggia
che ne confonde le lacrime
sulla via della stazione
tra il gelo di gente sconosciuta.

Un uomo sul treno la scruta
e con aria maliziosa
le offre da fumare.
La donna lo ignora.

Solo immagini veloci
dietro il finestrino
segnano la sua strada
da ripercorrere da capo
sui passi dell’ignoto
verso speranze lontane.

Seduta a meditare
vorrebbe uccidere la memoria
che le è rimasta negli occhi
mentre la mente
interroga il cuore.
Tornerà a sorridere?

Chiara Tulumello – III D

 

INNO ALLA VITA

Alfio Sorbello, Energia
La vita
è una partita
si gioca con la propria sorte
sfidando anche la morte.

La vita
è un viaggio di speranza
intrapreso con costanza
lungo una strada in cui
si deve amare, rispettare,
ascoltare e far parlare.

La vita
non è far del male
non è far soffrire
nè bere o drogarsi
per poi ammazzarsi.

La vita
è come una farfalla in volo
nel cielo della felicità
pronta a dispiegare le ali
sul sorriso dell’amore.

La vita
è luce che ci irradia
sentimenti ed emozioni
fatta di momenti diversi
di cui ciascuno dovrebbe vantarsi.

Federica Zambuto Sitra – I D


CONSIDERAZIONI

Irene Catalfamo, Pensieri in transito
Penso a quante volte in questo mondo
l’ingiustizia ha fatto da padrone.

Immagini di donne del passato
che nel nome della libertà hanno patito.
Col coraggio stampato negli occhi
hanno lottato e rincorso ideali
per soddisfare la loro missione.
Anime di purezza e di passione
tra difficili sentieri d’impotenza
hanno vissuto anche in sottomissione.

Penso a quante volte in questo mondo
l’ingiustizia ancora fa da padrone.

Donne segnate…
dignità spezzate…
battono un tempo che non si è mai fermato
che continua a mietere violenza
in una società dell’apparenza
dove i diritti sembrano svanire
anche tra i bagliori dell’innocenza.

Denise Morreale – III F

 

19 lunedì Mag 2008

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agrigento, lampedusa, licata, sbarco in sicilia, seconda guerra mondiale, storia

E’ RINATA LA
SOCIETA’ AGRIGENTINA DI STORIA PATRIA

 Della vecchia Società Agrigentina di Storia Patria, nata alla fine degli anni sessanta e dissoltasi poi nel nulla, fece parte Leonardo Sciascia. Il vuoto di alcuni decenni,che si è venuto a creare, è rimasto quindi incolmabile. Era pertanto largamente avvertito il bisogno di ricostituire dalle fondamenta una associazione che potesse fungere da interlocuzione tra società civile, la cultura istituzionale e gli studiosi di storia. E dopo un faticoso percorso, nei giorni scorsi, finalmente la rediviva associazione è stata inaugurata presso la Biblioteca Museo “Luigi Pirandello”, dopo che il 3 gennaio di quest’anno era stato posto in essere il suo atto costitutivo.

Prof. Attilio Dalli CardilloCome ha sottolineato il Presidente Attilio Dalli Cardillo, durante la cerimonia, le idee che ne informeranno l’attività appaiono già assai bellicose, perché è innegabile che la storia di Agrigento, di Girgenti e della greca Akragas, nonchè quella dell’intera provincia, è di valore assoluto, mondiale. Non va sottaciuto, ad esempio, come l’antica Akragas sia stata grande in varie discipline, oltre che nel campo della filosofia, dove primeggiò con il grandissimo filosofo della natura, Empedocle, scienziato, medico e farmacista, fondatore della scuola italica di medicina. Il messaggio di Empedocle si trasmise e passò nella cultura di tutti i tempi. Nella storia della letteratura mondiale precisi punti di riferimento sono Pirandello e Sciascia, rendendo unico al mondo il contenitore culturale agrigentino, che si avvale anche della mitica Valle dei Templi, patrimonio indiscusso dell’Umanità, che vide fiorire la poesia di Pindaro, Simonide e Bacchilide. Una terra ricca di umori e di fermenti, quindi, cui è necessario dare voce, recuperandone valori ed evidenziandone il ricchissimo patrimonio. E per dare visibilità a questi valori storici, è stata scelta, come simbolico logo realizzato dal valente grafico Vincenzo Peritore, l’immagine della Kore agrigentina, sintesi di tradizione e di evoluzione. La società, inoltre, parte con il piede giusto, con oltre trecento testi, che saranno catalogati da giovani studenti universitari, e che saranno presto fruibili nella Biblioteca-Museo “Luigi Pirandello”. Gli studiosi, gli studenti, gli appassionati potranno anche ricevere il supporto da parte della società tutta, composta da specialisti ed esperti, tra cui spicca il Presidente Attilio Dalli  Cardillo, noto bibliofilo, in possesso di una vasta raccolta di testi rari ed antichi di grande importanza e pregio.

 

“65 anni fa…
Lo sbarco alleato in Sicilia”
di Gaetano Allotta

Libro di Gaetano AllottaAllotta GaetanoPer dare degna cornice all’inaugurazione, cui hanno preso parte oltre 150 persone, è stato presentato dalla Società il volume del socio Gaetano Allotta “65 anni fa… Lo sbarco alleato in Sicilia”.
Con la sua opera, arricchita da immagini e documenti, Allotta ha ricostruito lo storico sbarco, avvenuto nella Sicilia sud-occidentale, tra Licata e Siracusa, la notte tra il 9 e il 10 luglio del 1943. Fu un’ operazione anfibia senza precedenti, superata soltanto da quella denominata “Overlod”, avvenuta l’anno successivo in Normandia. Eppure lo sbarco fu snobbato dagli storici e dai testi scolastici, come episodio di storia minore.
Leonardo SciasciaLo stesso Leonardo Sciascia  nell’opera “Candido, ovvero un sogno fatto in Sicilia” ridimensiona pro domo sua – con il tocco ironico del letterato – il fatto storico:

“Candido Munafò nacque in una grotta, che si apriva vasta e profonda al piede di una collina di olivi, nella notte dal 9 al 10 luglio 1943. Niente di più facile che nascere in una grotta o in una stalla, in quell’estate e specialmente in quella notte: nella Sicilia guerreggiata dalla settima armata del generale Patton, dall’ottava del generale Montgomery, dalla divisione tedesca Hermann Goering, da qualche sparuto, quasi sparito, reggimento italiano. E proprio quella notte, illuminato sinistramente il cielo dell’isola di bengala multicolori, arate le città di bombe, le armate di Patton e Montgomery sbarcavano.”

Al di là del suo linguaggio metaforico, Sciascia testimonia però un fatto incontrovertibile: le forze messe in campo dagli alleati non furono irrisorie, tutt’altro. Gli anglo-americani, infatti, portarono in Sicilia due armate composte da 160 mila uomini e si avvalsero di  uno spiegamento imponente, costituito da 4.000 aerei, 285 navi da guerra e da 2775 unità di trasporto. I reggimenti italiani, sia pure non tanto equipaggiati, non erano né sparuti né spariti, come dice Sciascia, ma potevano contare su 170.000 uomini, mentre 30.000 erano i tedeschi, tutti ben equipaggiati. Vero è però che le forze anglo-americane fecero valere la schiacciante superiorità dell’aviazione, la quale, unitamente ai mezzi corazzati d’assalto, fecero la differenza. Francesco Renda Francesco Renda, professore emerito di Storia Moderna presso l’Università di Palermo, nell’ultimo suo libro, Autobiografia politica, dell’ottobre 2007, afferma:

 “La costa, lunga oltre cento chilometri, non era validamente munita a sostenere l’onda d’urto della più poderosa spedizione mai prima avvenuta, superata l’anno dopo solo dallo sbarco in Normandia. Non fu invece una passeggiata l’occupazione militare del territorio isolano”

E ciò è testimoniato dalle perdite militari: 4.278 morti tra i soldati italiani e 4.325 tra i tedeschi. Le perdite britanniche furono 12.843 (2.741 morti, 2.183 dispersi, 7.939 feriti). Le perdite americane 9.968 (686 dispersi, 6.471 feriti, 2.811 morti).
Volgendo al termine la guerra d’Africa, nel gennaio del 1943, a Casablanca, gli alleati posero mano al piano di guerra. La tesi di Churchill, già manifestata a Londra, era quella di tagliare subito l’Italia dal teatro di guerra dell’Europa nord-occidentale e dal Mediterraneo, al fine d’impegnare la Germania su un altro fronte – “nel suo ventre molle” come disse Churchill – , per passare poi speditamente ad un autentico accerchiamento delle armate tedesche. Perciò, all’Asse fu fatto credere che la guerra sarebbe stata portata in Sardegna, mentre l’obiettivo strategico era costituito dalla Sicilia. Per poter disporre di basi logistiche fu deciso che lo sbarco dovesse essere preceduto dalla conquista delle isole di Pantelleria e di Lampedusa.
Quanto al piano di sbarco, inizialmente era stato stabilito di condurlo su due direttrici: una da Sciacca verso Palermo e la seconda dalla punta orientale della Sicilia verso Siracusa-Catania.

Piano iniziale Husky
Ma si trattava di un fronte lunghissimo, nel quale le armate, in caso di difficoltà, non avrebbero trovato aiuto e supporto reciproco. I pareri non erano univoci, però il comandante in capo Eisenhower, facendo sue le obiezioni del generale inglese Montgomery, tagliò la testa al toro e impose un secondo piano, accantonando il primo.

Piano Husky definitivoIl piano definitivo, denominato “Husky”, prevedeva che l’ottava armata inglese, affidata a Sir Bernard Montgomery, sbarcasse tra Pachino e Siracusa, mentre il generale americano, George Patton, con la settima armata USA sbarcasse a Licata, Gela e Scoglitti. La contiguità degli sbarchi e la concentrazione delle forze avrebbe scongiurato possibili pericoli per tutta l’operazione.

 

L’OCCUPAZIONE DELL’ ISOLA DI LAMPEDUSA

 Lampedusa, zona delle operazioni
Gli alleati si concentrarono sul piano d’azione soltanto a maggio, una volta chiusa la tremenda guerra d’Africa. Dopo i necessari preparativi, a Giugno sferrarono martellanti attacchi aerei su Pantelleria e Lampedusa.

Presa di Lampedusa 1943Bombardamento di Lampedusa

Contestualmente vennero lanciati milioni di manifestini, che invitavano i soldati italiani e la popolazione a desistere dai combattimenti, agitando come effetto psicologico l’interrogativo “perché morire per Hitler?”.

Manifestino indirizzato ai soldati italianiLampedusa, oltre ad un aeroporto militare, disponeva di una guarnigione di 4.000 uomini, nonché di cannoni navali della Marina Militare, di batterie antiaeree da 76/40 e di mitragliere, con tre compagnie di Fanteria del reggimento “Lupi di Toscana”, con un reparto del Genio ed una Compagnia lanciafiamme. Nell’isola erano dislocati tre MAS, nonché una nave ospedale. Il 6 giugno  sabotatori sbarcati da tre motovedette erano stati respinti, diversi aerei erano stati abbattuti dalla contraerea, sia a Lampedusa che a Linosa. Gli aerei alleati però intensificarono i bombardamenti, martellando l’isola ad ondate successive con 150 aerei. Lo sbarco decisivo di soldati indiani, del 2° Goldstream Battalion, avvenne il 12 giugno. Gli inglesi il 13 giugno 1943 resero onori militari alla bandiera italiana e alla sua guarnigione che si era difesa strenuamente. L’11 giugno era stata già presa Pantelleria.

 

L’ORA “X” A LICATA

Licata, il luogo dello sbarco (1943)

LLo sbarco di Licata fu fatto precedere da bombardamenti su tutta la Sicilia, che avevano lo scopo di fiaccare la resistenza e di colpire il morale degli eserciti e della popolazione, già duramente provati da tre anni di guerra.

Bombardamento su Palermo (1943)Palermo, chiesa diruta (1943)Bombardamento su Catania (1943)Bombardamenti su Messina 1943Bombardamento sullo Stretto di Messina

La guerra che la propaganda fascista aveva annunciato come già vinta il giorno in cui, 10 giugno 1940, l’Italia l’aveva dichiarata, aveva estenuato la popolazione siciliana.

10 giugno 1940Lo sbarco, quindi, avvenne nel momento più propizio per gli alleati, cioè allorchè le truppe italiane erano sfiduciate, a causa di una guerra che non sentivano né potevano sentire propria.

10 LUGLIO 143 LO SBARCO
Fu un americano (di un battaglione della terza divisione di fanteria rinforzata USA, al comando del col. Brady) a mettere per primo piede sulla spiaggia di Mollarella di Licata, alle ore 03.00 del 10 luglio 1943.

Sbarco a Licata 1943Sbarco a LicataSbarco in SiciliaEra una notte di forte vento e le operazioni di sbarco e il lancio di truppe aviotrasportate furono ardue. Tuttavia i bombardamenti aerei e l’appoggio dello spiegamento navale permisero di stabilire immediatamente una testa di ponte. Racconta il libro di Gaetano Allotta:

“L’ora “X” per Licata scattò verso le due della notte del 10 luglio 1943, quando una numerosa squadra navale anglo-americana, forte di almeno due navi di battaglia, diversi incrociatori e cacciatorpediniere, si presentò davanti alle coste licatesi, sparando contro le colline della piana.”

Sbarco in Sicilia 1943Lo sbarco a LicataNon fu uno sbarco indolore: nella stessa mattinata la nave americana “Maddox” era colata a picco con 211 vittime, colpita da uno Ju-88 tedesco, e così il dragamine “Sentinel” a Mollarella.

Nave portamunizioni colpitaLa difesa della costaFuoco sulle navi

Nace alleata che esplodeGli alleati cercarono di dissuadere militari e civili italiani con una miriade di manifestini.

Manifestino degli alleatiAvviso lanciato sull

GLI AMERICANI NELLA TERRA DI PIRANDELLO

La controffensiva italo-tedesca, nei pressi di Favarotta, contrada Musta e Campobello di Licata fu vinta grazie alla superiorità militare degli alleati e alle continue incursioni aeree. Così le truppe americane poterono aggirare l’esercito nemico, conquistando, tappa dopo tappa, tutto l’agrigentino, cannoneggiato dal mare e bombardato dall’alto.
Agrigento si stava preparando a ricevere l’urto degli americani difendendo i suoi templi, come testimonia la foto sotto, con la protezione, con sacchi di terra, del Tempio più importante, quello della Concordia, il più famoso al mondo della mitica valle.

Tempio della Concordia 1943Ma il 12 luglio, ad appena 2 giorni dallo sbarco, una devastante incursione aerea americana  colpì un rifugio improvvisato per civili, tra la chiesa di San Francesco d’Assisi e quella di San Pietro, proprio nella via oggi chiamata Pirandello, nella quale il Premio Nobel aveva abitato da ragazzo.

Bombardamento di Agrigento (1943)Il bilancio delle vittime fu pesantissimo, perché morirono ben 340 inermi cittadini. In serata altre incursioni distrussero letteralmente la caserma “Crispi”.

Bombardamenti su AgrigentoA Porto Empedocle, già in precedenza bombardata, le forze da sbarco americane entrarono il 16 luglio

Gli americani a Porto EmpedocleEsse proseguirono per il capoluogo, dove entrarono il 16 luglio sul Viale della Vittoria, la Passeggiata tanto citata da Pirandello, mentre altre truppe americane giungevano dall’interno.

Gli americani entrano ad AgrigentoCon la caduta di Sciacca e Menfi, gli americani erano riusciti a completare la conquista di tutto l’agrigentino in dieci giorni, proseguendo poi spediti verso Palermo.

 

STRAGI

 I MAROCCHINI – Non mancarono gli episodi inquietanti che destarono grande scalpore. Intanto, un battaglione di marocchini, rappresentanza francese  alla spedizione sbarcata a Licata, come riferisce Sandro Attanasio nel suo libro “Sicilia senza Italia”, si distinse per rapine e stupri. Dalla gente del posto, le donne furono fatte nascondere nei pozzi, nei pagliai e in altri rifugi. Lo storico narra che un gruppo di mori, penetrato in una casa, si diede a violentare tutte le donne della famiglia (un episodio di inaudita violenza che ricorda quello del romanzo di Alberto Moravia e dell’omonimo film con Sofia Loren, La ciociara).

La ciociaraCi furono immediate e violente reazioni e molti marocchini furono finiti a roncolate e fucilate. Le autorità americane poco facevano per impedire o punire l’ignobile comportamento dei loro alleati nord-africani, né si preoccuparono delle reazioni dei familiari. Dice, nell’opera citata, Sandro Attanasio:

“Quasi tutte le perdite avute dai reparti marocchini durante la campagna di Sicilia, furono dovute alla reazione della popolazione che puniva prontamente e in maniera terribile la lascivia dei nordafricani. Molti di loro finirono in pasto ai maiali, o sbudellati ed evirati”

 LA STRAGE DIMENTICATA DI CANICATTI’ – I bombardamenti su Canicattì del 13 luglio 1943 avevano danneggiato molti edifici, tra cui una saponeria.

Strage di Canicattì 1943Attraverso i varchi dei bombardamenti, l’azienda, l’indomani, fu invasa da saccheggiatori. Un colonnello americano dell’Amgot (Amministrazione alleata per l’ordine pubblico), giunto sul posto, ordinò ai tre militari che lo avevano accompagnato  di sparare alle persone che si trovavano sul posto; ma di fronte al reciso rifiuto provvide personalmente, sparando all’impazzata, lasciando a terra 18 persone, tra morti e feriti.
I TEDESCHI VENDICANO LO SMACCO – Il militare americano Norris H. Perkins nel suo libro “North African Odyssey” narra di una strage di sei inermi civili di Canicattì da parte dei tedeschi, inviperiti perché i civili esultavano per l’arrivo degli alleati:

“Invero noi abbiamo appreso più tardi che, quando un gruppo di civili a Canicattì si erano messi ad esultare nel sentire che gli americani stavano arrivando, essi furono raggiunti dal fuoco tedesco”

Il generale PattonLA STRAGE DI BISCARI –  Nell’aeroporto di Biscari, vicino Caltagirone, preso dagli americani il 14 luglio, furono uccisi senza giustificazione 76 prigionieri, in gran parte italiani e il resto tedeschi. Le autorità incriminarono due graduati, il sergente West e il capitano Compton, i quali si giustificarono, affermando che il generale Patton, famoso come “generale d’acciaio”, aveva dato ordini in tal senso. Patton, sentito, ammise di aver tenuto un discorso abbastanza sanguinario alla truppa, per determinarla  in battaglia, ma escluse di aver dato ordine di uccidere prigionieri. Il sergente West fu condannato all’ergastolo, mentre il capitano Compton fu assolto. Ma va considerato che fu facile scaricare ogni colpa su Patton, nel frattempo morto (dicembre 1945).

 

DEL PRESUNTO COINVOLGIMENTO DELLA MAFIA

Molto si è scritto sul presunto coinvolgimento della mafia  nello sbarco. A sgombrare il campo da questa fola, come viene ritenuta unanimemente dagli storici, vale la dichiarazione di uno storico assai rigoroso, qual è Francesco Renda, che afferma nella sua opera “Storia della Sicilia – Lo sbarco alleato”: il coinvolgimento della mafia è “un mito, mai provato da documenti e ricerche".
Sandro Attanasio, nell’opera citata, è più radicale:

”La leggenda che l’operazione Husky ebbe successo grazie alla protezione della mafia è soltanto una leggenda che “Cosa Nostra” ingigantì per ingigantire la propria potenza. In realtà, la mafia siciliana era allora in ginocchio”

Max Biagio Corvo


Bill Corvo, figlio di quel Max Biagio Corvo, capo dell’Office of Strategic Service Sezione Italia, dichiarò che il padre aveva rifiutato l’incontro con Lucky Luciano, perché Luciano non aveva alcun contatto serio con qualcuno in Sicilia, da cui era partito all’età di 4 anni, ed era all’epoca assai screditato. Inoltre, gli americani con i mezzi aerei a disposizione furono in grado di radiografare la situazione militare italo-tedesca dell’intera isola e non avevano certo bisogno di aiuti da parte della mafia, che non aveva alcuna competenza e conoscenza militare.

 

11 domenica Mag 2008

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alessio di giovanni, festa della mamma, letteratura - articoli, pirandello

RICORDO DI MADRI 

La Madre, Luigi Verrino
ALLA MADRE

 I
Ora la tua immagine si ridesta
prepotente nell’arco della sera,
la tua sembianza mesta
nel vano della porta dura
fosforescente miraggio
a lenire una più acuta paura
nel ricordo di un algido maggio.
 

II
Precipite la luna
s’inabissava dietro le colline,
lasciando appena
un alone boreale.
Rannicchiato, nell’angolo buio
trafelato di paura
battevo i denti;
mano di madre
grande ala protettrice
immensa si posò sul mio capo.

III
Le tue parole suadenti
come risonanze lontane
ritornano nelle sere cupe,
allorchè il cuore si stringe
e dal fondo rimesta
aspri sentimenti.
Con esse fermavi
le mie mani impulsive
ed ora l’eco dissolve
l’ultima barriera.
 

Ubaldo Riccobono

 

LA MADRE DI PIRANDELLO
La madre di Pirandello 

“Roma 11 VIII 1915

Mamma mia santa,
oggi passano da Roma Lina e Giovanni, che vengono a vederti; io non posso, purtroppo, e tu lo sai, venire con loro; ma tu pensami e vedimi insieme con Annetta e con Enzo, accanto a Te, Mamma, perché io non stacco un solo momento il mio pensiero da Te e ti vedo come se io fossi davanti e mi struggo di non poterti baciare codeste sante mani, che tante cure e tante carezze mi diedero quando forse d’un tuo conforto e d’una tua carezza non sentivo il disperato bisogno che sento adesso! Ma non credere, Mamma mia, che il mio animo non sia forte. Io resisto con coraggio alla prova; ma sento che meglio resisterei se Ti fossi vicino, se tu con gli occhi amorosi mi sostenessi di tanto in tanto.
Oggi ho buone notizie dal campo: Stefanuccio è a riposo e m’annunzia che forse il suo reggimento avrà il cambio. Sta bene; mi dice di sentirsi vivissimo, e che sotto la tenda ha trovato anche un momento di tempo per scrivere ai Nonnini due parole. Le avrete forse ricevute a quest’ora.
Bisogna che tutti ci facciamo forza l’un l’altro, in questo momento; ci teniamo uniti col cuore; nessuno manchi; il momento è grave; può diventare più grave; ma dobbiamo superarlo e lo supereremo.
Tu, Mamma, per tutti noi, comanda ancora al tuo corpo stanco e tormentato di resistere: noi vogliamo trovarci ancora insieme, quando Stefanuccio ritornerà, a festeggiare la nostra vittoria, la vittoria d’Italia.
Con questa speranza, e pieno di fede, Mamma mia, ti bacio con tutta l’anima. Pensa a me, vedimi con gli altri figli presente, e i nostri voti concordi siano esauditi!

Tuo, sempre Luigi.

Questo è il testo della lettera scritta da Luigi Pirandello alla madre morente e che fu messa tra le mani della morta due giorni dopo (13 agosto 1915). Subito dopo la morte della madre lo scrittore concepì la novella Colloqui con i personaggi, nella quale immagina che la madre lo venga a trovare per narrargli le vicissitudini della famiglia, i moti del ’48, l’esilio e la morte del padre a Malta, il risorgimento. 

"… E mi è venuto, accostandomi per la prima volta all’angolo della stanza ove già le ombre cominciavano a vivere, di trovarmi una che non mi aspettavo: ombra solo da ieri. Ma come, Mamma? Tu qui? E’ seduta, piccola, sul seggiolone, non di qui, non di questa mia stanza, ma ancora su quello della casa lontana… mi guarda e mi accenna di sì, che è voluta venire per dirmi quello che non potè per la mia lontananza, prima di staccarsi dalla vita…"

 Ci sono i crucci e le incertezze dei tempi di guerra, della grande guerra. E lo scrittore, triste e amareggiato, ritrova la madre viva, quella d’un tempo, che ha vissuto difficile esperienze familiari e lo incoraggia.; così gli rimane indelebile un ricordo, struggente ma reale al tempo stesso, e la cara voce che gli sospira:

 “Guarda le cose anche con gli occhi di quelli che non le vedono più! Ne avrai un rammarico, figlio, che te le renderà più sacre e più belle”

 

DUE SONETTI IN DIALETTO
DI ALESSIO DI GIOVANNI
IN MORTE DELLA MADRE

 Alessio Di Giovanni

‘NA DUMANNA

 

Persi la vita mia tutti li ‘ncanti…
Sugnu senza mammuzza ‘ntempu un nenti…
Oh Diu! pirchì sempri l’haiu davanti
Comu la vitti l’urtimi mumenti?!…

 Pàllita e stracangiata, ad occhi spanti,
Pativa li cchiù crudi patimenti,
Cu ‘na pacenza ca mancu li santi,
Pi nun dàricci pena a li parenti…

 Matruzza amarїata!… cci vasava
La manu fridda, ed idda nni la vara,
Cu l’occhi chiusi, muta, ca ‘un ciatava…

 Quant’era rispittusa nun si dici!…
Ed ora sulu, nni sta vita amara,
Ora com’è ca fazzu iu ‘nfilici?!…

 

 LACRIMI DI SANGU

 No, nun cci criju, no, ca tu si’ morta!…
Comu cala la sira, iu cci giuru
Ca sentu la tò vuci, apru la porta
Ed aspettu c’a vèniri sicuru…

 Si ‘na vuci lu ventu mi straporta,
Si nquarchedunu passa muru muru,
Iu ti chiamu trimannu, e di la porta,
Cu la manu ti cercu nni lu scuru…

 Oh, vinissi ‘na vota! … Addinucchiuni,
Comu davanti a Diu Sacramintatu,
Iu  ti dirria:- Mamà, dammi un vasuni!

 E si arreri sintissi la tò vuci,
Si p’un mumentu t’avissi a lu latu,

Purtassi cchiù sirenu la mè cruci!…

02 venerdì Mag 2008

Posted by ubaldoriccobono in Senza categoria

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1° maggio, arte, bronte, cinema, garibaldi, gattopardo, letteratura - articoli, mafia, poesia, portella della ginestra, renda, sciascia, storia, tomasi di lampedusa, verga

GIORNI DI MAGGIO

Leonardo Sciascia L’inverno lungo improvviso si estenua
nel maggio sciroccoso: una gelida
nitida favola che ti porta, al suo finire,
la morte – così come i papaveri
accendono ora una fiorita di sangue.
E le prime rose son presso le tue mani esangui,
le prime rose sbocciate in questa valle
di zolfo e d’ulivi, lungo i morti binari,
vicino ad acque gialle di fango
che i greci dissero d’oro. E noi d’oro
diciamo la tua vita, la nostra
che ci rimane – mentre le rondini
tramano coi loro voli la sera,
questa mia triste sera che è tua. 

(Leonardo Sciascia, In memoria,
da La Sicilia, il suo cuore)

 

DALLA PARTE DI SEDARA?
“IL GATTOPARDO” RIVISITATO

Gaspare AgnelloNasce nei giorni fatidici di maggio del 1860, il racconto de Il Gattopardo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, che quest’anno compie cinquant’anni dalla sua prima edizione.
Gaspare AgnelloE con un inconsueto saggio critico, da non addetto ai lavori, l’agrigentino Gaspare Agnello ha voluto celebrare l’evento, ponendo a se stesso e agli interlocutori un grosso interrogativo su un’interpretazione che ritiene suggestiva. Un canovaccio esegetico, che rovescia quasi i termini del romanzo, definito da Francesco Renda, professore emerito di Storia Moderna dell’Università di Palermo, “felice racconto  del 1860 visto dalla parte aristocratica”,.
Per sua stessa ammissione, Gaspare Agnello dichiara di essere prestato alla materia della saggistica storico-letteraria, dal momento che cura soltanto da neofita uno spazio televisivo su una TV locale, intitolato “Un libro per amico” (di cui ha ricavato anche un libro di recensioni), con l’intento precipuo di presentare le pubblicazioni, che con la Sicilia, la sua storia e la sua cultura hanno a che fare: spirito di servizio di un appassionato per appassionati.

Gaspare Agnello, raccolta recensioniTuttavia, egli affronta la proteiforme e spinosa problematica  del capolavoro di Tomasi con certosina umiltà, non scissa però da un pizzico di provocatoria polemica. Egli sostiene che il principe Don Fabrizio appartiene ad un ceto aristocratico in evidente declino, non solo nel regno delle due Sicilie, ma in tutta Don Calogero Sedara Europa, un ceto colto ma parassitario; mentre il borghese di provincia, don Calogero Sedara, può rivendicare il ruolo di una classe che produce e, se anche illetterata e ancora rozza, sicuramente portatrice di valori di cambiamento sociale.
Agnello contesta il settarismo dei giudizi storici affibbiati da Don Fabrizio: a Marx, definito “ebreuccio tedesco”, a Garibaldi tacciato come “quell’avventuriero tutto capelli e barba”, e all’ odiato e denigrato Calogero Sedara.

Francesco Renda  con un giudizio storico nel suo ultimo libro Autobiografia politica afferma:

 

In realtà, la filosofia de Il Gattopardo  non sta nel “cambiare tutto per non cambiare nulla”, ma nell’evitare che il cambiamento danneggi l’aristocrazia… Uscito dalla sala reale, dal colloquio con il sovrano il principe Fabrizio trae la conclusione che la monarchia borbonica è alla vigilia del tramonto. E ragionando fra sé e sé riflette:”Se al posto del re Ferdinando succedesse il repubblicano Mazzini, io diventerei il signor Fabrizio Tomasi e non sarei più il principe di Lampedusa. Se al re Borbone succedesse invece il re Sabaudo Vittorio Emanuele II, io resterei il principe Tomasi di Lampedusa e a cambiare sarebbe solo il dialetto: invece del napoletano si parlerebbe il piemontese. Nella forma cambierebbe tutto, nella sostanza non cambierebbe nulla”.

Leonardo Sciascia, nel capitolo-saggio Il Gattopardo dell’opera Pirandello e la Sicilia,  esalta il ruolo angolare che nel libro riveste il personaggio Angelica, senza il quale Il Gattopardo non avrebbe avuto motivo di esistere, stabilendo un interessante parallelismo con la Duchessa di Leyra di Verga. Angelica è il bel volto della borghesia che diventa aristocrazia, o forse meglio l’aristocrazia che si trasforma in borghesia per incorporazione – operazione di potere, insomma. Tancredi – o tempora, o mores – sposa i soldi, “il capitale”, con il sacrificio dell’amore della cugina Concetta, complice il principe-padre e lo stesso Tancredi. Vi sono nel romanzo due episodi estremamente rivelatori. Il primo riguarda le meditazioni di Angelica:

 “… pur non amandolo, essa (Angelica) era, allora, innamorata di lui, il che è assai differente… In Tancredi essa vedeva la possibilità di avere un posto eminente nel mondo nobile della Sicilia, mondo che essa considerava pieno di meraviglie…”

 Il secondo episodio sancisce il connubio definitivo, quando a don Calogero Sedara, che ammira più che la grazia del soffitto il suo valore monetario, Don Fabrizio dice:

“Bello, don Calogero, bello. Ma ciò che supera tutto sono i nostri due ragazzi.”

 Considera, il Principe Fabrizio, che il Sedara forse era un infelice come gli altri, come lui, e tempera il suo livore con una frase consolatoria per entrambi. Alla fin dei conti, con autoironia considerava che non si poteva tornare indietro e che altri – e non lui – doveva e poteva contaminarsi con il nuovo che incalzava. Che poi i due giovani, diventati vecchi, fossero destinati ad essere inutilmente saggi, rientrava nell’ineluttabilità della vita, così come l’ineluttabilità della saggezza del principe era stata l’unica che l’aveva collocato in un’aura di superiorità, dove i vinti possono trovare utile riparo da ogni contaminazione contingente, accettando la loro sconfitta.
 Palma di Montechiaro (Ag)


MAGGIO 1860

Più che romanzo di storia, Il Gattopardo rappresenta un romanzo introspettivo su destini individuali, collocati su uno sfondo storico. Anzi può affermarsi che mai fatti storici siano stati vissuti in un romanzo con così totale distacco. Del resto è l’indifferenza della Storia nei confronti dell’isola che fa dire a Leonardo Sciascia, a chiosa del famoso colloquio di Don Fabrizio con il funzionario piemontese Chevalley:

“… la convinzione del principe Salina e del principe di Lampedusa che gli arabi abbiano trovato la Sicilia “così”, nelle stesse condizioni in cui la trova il sottoprefetto di Vittorio Emanuele II”

Garibaldi nel 1860Così dovette trovarla Garibaldi, quando sbarcò a Marsala l’11 Maggio. Un popolo sottomesso, ma non dimesso, eserciti avversari increduli. Garibaldi fu favorito dall’effetto sorpresa, dalla fortuna e dalla sua abilità tattica.
Non era un avventuriero, come dice Tomasi di Lampedusa ironicamente, era consapevole di quello che voleva e doveva fare. Molto si è discusso sui presunti tradimenti di ufficiali borbonici, che avrebbero facilitato il compito di Garibaldi. Una posizione razionale e documentata ce la fornisce Leonardo Sciascia nel suo saggio critico Garibaldi e il padre Buttà.
Padre Giuseppe Buttà, di Naso, religioso d’inflessibile legittimismo e di strenua fedeltà ai Borboni e alla loro causa, anche quando fu chiaro essere causa irrimediabilmente persa, scrisse tre libri, tra cui un Viaggio da Boccadifalco a Gaeta. Nel saggio critico dice Sciascia: 

 “scrive tempestosamente, con la rabbia di chi ha visto (o ha creduto di vedere) la propria parte sconfitta non dal numero e dal valore di quella avversa, ma dalla interna disgregazione, dall’inettitudine e dal tradimento dei capi. Della seduzione degli ideali unitari e patriottici, dell’aspirazione alla libertà, di tutte le illusioni che si accompagnarono alla volontà di fare l’Italia, della cultura che le suscitava, non sa e non vuole tenere conto: per lui non c’è aspirazione, ideale, illusione che siano più alte di quelle dell’onore, della fedeltà… Per più di quattrocento pagine il cappellano militare del battaglione Bosco ci racconta fatti in cui il valore e le vittorie di Garibaldi si riducono a una specie di gioco delle parti: tutto già pattuito, il prezzo già pagato o promesso. Garibaldi non è che un piccolo uomo incerto, spaurito e quasi svanito, senza alcun piano, senza alcuna strategia”

Battaglia di Calatafimi Leonardo Sciascia, dopo aver ricordato che a Calatafimi e a Milazzo, Garibaldi riesce a vincere proprio quando stava per perdere, ricorda “la diversione di Corleone”,  punto nodale e fatale di tutta la guerra, quando una colonna di quattromila borbonici s’era affannata ad inseguirne sessanta, lasciando la possibilità al grosso di Garibaldi e ai volontari di La Masa di entrare a Palermo, che fu conquistata  non senza colpo ferire.

 

Barricata di PalermoPalermo bombardata, 1860




I FATTI DI BRONTE

Il film Bronte “Il 16 maggio 1860 giunse a Bronte notizia della vittoria di Calatafimi. I liberali scesero in piazza con la bandiera tricolore… Forse in quella stessa giornata, il notaro Ignazio Cannata (notaro della Ducea), alla vista della bandiera tricolore disse:”Perché non levate questa pezza lorda?” (Leonardo Sciascia, I fatti di Bronte, da Pirandello e la Sicilia)

Queste parole accrebbero l’odio e fecero crescere il fermento. La cittadina di Bronte era stato oggetto di soprusi, si può dire da sempre. Nel 1491 il suo territorio con Bolla Pontificia era stato trasferito all’Ospedale Maggiore di Palermo e nel 1799 una donazione borbonica l’aveva dato a Nelson. La causa che ne era scaturita  non vedeva mai sbocchi. Il popolo, dopo il proclama di Garibaldi sullo smantellamento dei feudi e la spartizione delle terre, riteneva che la donazione fosse decaduta ipso iure, soprattutto perché era stato restituito agli abitanti di Bisacquino un ex feudo. Le elezioni svoltesi nella seconda quindicina del mese di giugno, e conclusesi con la vittoria della fazione ducale, suscitarono tra il popolo il malcontento contro i cappelli (i galantuomini).

“Fra il primo e il 2 agosto, il paese venne bloccato da picchetti di popolani: i galantuomini  erano in trappola dentro il paese. Il notaro Cannata uscì di casa armato di doppietta: e la sua temerarietà fu forse la goccia che fece traboccare il furore popolare”(Leonardo Sciascia, I fatti di Bronte, da Pirandello e la Sicilia)

L’avvocato Nicolò Lombardo, capo della fazione comunista, cercò di arringare invano la folla in preda all’odio, che dilagò in un crescendo terribile.

 Giovanni Verga

“Sciorinarono dal campanile un fazzoletto a tre colori, suonarono le campane a stormo, e cominciarono a gridare in piazza:”Viva la libertà!”
Come il mare in tempesta. La folla spumeggiava e ondeggiava davanti al casino dei galantuomini, davanti al Municipio, sugli scalini della chiesa: un mare di berrette bianche; le scuri e le falci che luccicavano. Poi irruppe in una stradicciuola.
A te prima, barone! che hai fatto nerbare la gente dai tuoi campieri! – Innanzi a tutti gli altri una strega, coi vecchi capelli irti sul capo, armata soltanto delle unghie.
– A te, prete del diavolo! che ci hai succhiato l’anima! – A te, ricco epulone, che non puoi scappare nemmeno, tanto sei grasso del sangue del povero! – A te, sbirro! che hai fatto la giustizia solo per chi non aveva niente!”
(Giovanni Verga, Libertà, novella)

Bronte, cronaca di un massacroLe pagine di Verga sono la più alta e tragica testimonianza degli avvenimenti. Il notaro Cannata venne ucciso e con lui altri dieci tra nobili, ufficiali e civili. Arrivato a Bronte il generale Nino Bixio, fa giustizia sommaria, ha fretta di chiudere la partita. Pagarono Nicolò Lombardo e i suoi compagni, incredibilmente denunciati come capi della reazione borbonica, proprio da coloro della fazione ducale, che sedevano tranquilli nel Consiglio Civico. E tutto ciò malgrado il governatore di Catania avesse scritto che i fatti di Bronte non erano l’effetto della reazione, ma l’effetto d’essersi negata al popolo la divisione delle terre del demanio comunale.


Florestano Vancini Il regista Florestano Vancini nel suo film sul massacro è sulla stessa linea del Verga, tuttavia fa risaltare il silenzio colpevole della storia su un episodio che fu visto – forse voluto vedere – come una reazione canagliesca, mentre furono moti giustificati da diritti negati da tempo immemorabile, che avrebbero meritato intanto un processo giusto e po, per i colpevoli, una amnistia o quanto meno pene più eque.
Finirono per pagare innocenti, senza prove e possibilità di difesa; e, ironia della sorte, il proclama di Bixio dopo l’esecuzione capitale faceva cenno sul fatto che il governo si stava occupando del reintegro dei demani comunali.

 Gli assassini, ed i ladri di Bronte sono stati severamente puniti – Voi lo sapete! la fucilazione seguì immediata i loro delitti – Io lascio questa Provincia – i Municipi, ed i Consigli civici nuovamente nominati, le guardie nazionali riorganizzate mi rispondano della pubblica tranquillità!… Però i Capi stiano al loro posto, abbino energia e coraggio, abbino fiducia nel Governo e nella forza, di cui esso dispone – Chi non sente di star bene al suo posto si dimetta, non mancano cittadini capaci e vigorosi che possano rimpiazzarli. Le autorità dicano ai loro amministrati che il governo si occupa di apposite leggi e di opportuni legali giudizi pel reintegro dei demanî – Ma dicano altresì a chi tenta altre vie e crede farsi giustizia da sè, guai agli istigatori e sovvertitori dell’ordine pubblico sotto qualunque pretesto. Se non io, altri in mia vece rinnoverà le fucilazioni di Bronte se la legge lo vuole. Il comandante militare della Provincia percorre i Comuni di questo distretto. Randazzo 12 Agosto 1860.    IL MAGGIORE GENERALE G. NINO BIXIO.

In Noterelle di uno dei mille, Giuseppe Cesare Abba parla di un Nino Bixio in lacrime. Ma, vista tanta durezza e decisione, Sciascia non lo crede possibile e non gli si può dare torto.

1° MAGGIO 1947
A PORTELLA DELLA GINESTRA
1^ STRAGE DI STATO

Karl Marx  Karl Marx era morto da 6 anni, quando i delegati della seconda internazionale socialista istituirono a Parigi nel 1889 la festa del 1° Maggio. Da allora la ricorrenza venne regolarmente osservata. In Italia fu sospesa durante il regime fascista, ma venne ripristinata alla fine del secondo conflitto mondiale. E proprio nell’immediato dopoguerra, nel 1947, il 1° Maggio in Sicilia venne funestato da una strage: a Portella della Ginestra, dove s’erano raccolte duemila persone per festeggiare la festa dei lavoratori. Dalla vicina collina partirono raffiche di mitra che colpirono a morte undici persone, di cui due minori, e ne ferirono altre 27, alcune delle quali morirono in seguito per la gravità delle ferite.

Renato GurrusoA sparare erano stati gli uomini del famigerato bandito di Montelepre (Palermo), Salvatore Giuliano.
Francesco Rosi, registaUna testimonianza di questa fosca pagina della storia politica siciliana e italiana è il film-inchiesta di Francesco Rosi, sul quale Leonardo Sciascia, sul saggio La vera “storia di Giuliano fornisce il seguente giudizio:

“a mio parere è il migliore, assolutamente, tra i tanti che in questi ultimi anni della Sicilia hanno declinato fatti, aspetti e problemi”

Sciascia rilevò una certa adeguatezza nel rapporto tra il film e la realtà siciliana, tuttavia denunciò quelle reazioni di un certo pubblico tra cui viveva la leggenda del bandito cavalleresco, nobile, pietoso, consentendo quasi a un mito. E tutto ciò malgrado era netto il giudizio di condanna del film – umana, civile, storica – sulla classe dirigente da cui il bandito, per scopi di conservazione padronale ed elettoralistici, era mosso.
Ignazio Buttitta (1899-1997), poetaNella Vera storia di Turiddu Giuliano del poeta Ignazio Buttitta (1899-1997, premio Viareggio 1972 con Io faccio il poeta), Sciascia invece ritiene che il bandito non è del tutto sottratto al mito, anche perché la poesia di Buttitta, poeta di piazza, poeta popolareggiante, non può non esserne, in un certo senso, condizionata.

A Purtedda Ginistra, si cci iti,
truvati ancora petri ‘nsanguinati.
E ddeci nomi di morti liggiti
ca ‘nta na grossa petra su stampati.
Tannu si dissi ca fu Giulianu
ca siminò ddi morti ‘nta ddu chianu

 Tuttavia il sentimento che Buttitta ha verso Giuliano è di pietà, non di ammirazione, pietà per il figlio di mamma:

 La matri d’un briganti matri resta

Salvatore Giuliano, film di RosiQuello che dice Sciascia, della “vera” storia di Giuliano, era il messaggio che allora passava e faceva presa sul popolo: si era creata negli strati popolari, del personaggio, un’immagine mitica, che nella realtà era tutt’altro che mitica ed era anzi da rimuovere. E ciò resisteva, malgrado determinati fatti fossero stati ammessi poi dallo stesso Giuliano e dal suo luogotenente, Gaspare Pisciotta, che l’aveva ucciso nel 1950,  e che a sua volta, quattro anni dopo, fu avvelenato in carcere, dopo che aveva dichiarato di voler rivelare i mandanti della strage.
Quella festa, in effetti, cadeva appena dieci giorni dopo la incontrovertibile vittoria del Blocco del Popolo delle elezioni regionali siciliani del 1947 (Partito Comunista, Partito Socialista, Partito d’Azione, Indipendenti di sinistra)  con il 30% del voto dell’isola, e proprio in vista delle elezioni politiche nazionali.
Francesco Renda Una testimonianza in proposito ci proviene dallo storico, Francesco Renda, professore emerito di Storia Moderna all’Università di Palermo, il quale, quel giorno, avrebbe dovuto parlare alla festa di Portella della Ginestra, ma arrivò con qualche minuto di ritardo, mentre s’era scatenato l’inferno.

“Un attentato terroristico come quello di Portella della Ginestra non poteva essere opera del solo Giuliano  e della sua banda. Da Montelepre Giuliano non avrebbe potuto recarsi  a Portella senza il consenso e il concorso della mafia… Secondariamente l’attentato era di tale livello politico che Giuliano da solo non sarebbe stato in grado nemmeno di concepirlo, senza esservi spinto da personaggi in grado di garantirgli protezione e sostegno. La tesi di Scelba nell’attribuire a priori tutta la colpa a Giuliano escludeva il concorso della mafia e l’esistenza di mandanti” (Francesco Renda, Autobiografia politica)

La tesi di Renda è chiaramente orientata ad una evidente strage di Stato, sulla quale avevano avuto un ruolo non indifferente svariate componenti. Innanzitutto la dottrina Truman di mandare all’opposizione il Blocco del Popolo, programmata con De Gasperi, al quale il trambusto della strage tornò utile per aprire la crisi di governo. Non appariva confacente la strage di contadini in una sperduta campagna dietro i monti che circondavano Palermo. Ci doveva essere un obbiettivo più ravvicinato, quello di fermare le lotte contadine per la terra, disgregare il movimento contadino, colpire la sinistra comunista e socialista, creare tensione e terrore. Non a caso la Democrazia Cristiana, minoritaria in Sicilia, riuscì ad imporre un governo monocolore, che in seguito l’avrebbe fatta confermare come forza egemone, a maggioranza assoluta.
Non contraddice, anzi riafferma la tesi della strage di Stato la recente ipotesi di un tentativo di riaffermare un blocco nero ad opera di reduci fascisti, spalleggiati dei servizi neo-nazisti, reduci militanti della Decima Mas del principe Junio Valerio Borghese. Tuttavia la strana uccisione di Giuliano e poi quella di Pisciotta, quest’ultimo avvelenato in carcere, lasciano immaginare intrecci consolidati nel tempo e nello spazio e non certamente avulsi dal contesto politico siciliano, nazionale e internazionale di allora.

Portella della Ginestra, lapide

 

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