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UN FILO DI FUMO
…un bel dì vedremo
levarsi un fil di fumo sull’estremo
confin del mare.
E poi la nave appare
Illica-Giacosa, Madama Butterfly
L’attesa è inafferrabile ed evanescente come un filo di fumo, temuta e sperata come condanna o salvezza: questo il canovaccio del secondo romanzo di Camilleri con l’omonimo bel titolo, finito di stampare nel marzo del 1980 per i tipi della Garzanti.
Attesa di vita e di morte (commerciale) per una famiglia, attesa per una vendetta aspettata da un paese intero, vessato, e attesa per un trionfo letterario dietro l’angolo, che Camilleri covava nelle volute di fumo delle sue sigarette, mentre andava dipanando i pensieri di questo primo grottesco romanzo, nel quale compare il nome di Vigata. Nei successivi racconti di successo, il paese letterario diventa definitivamente il luogo privilegiato delle inchieste del commissario Montalbano, entrando quindi con il personaggio protagonista nell’immaginario collettivo, non solo dei siciliani.
Forse, ancora oggi, fumando intensamente come dieci turchi messi insieme, lo scrittore empedoclino pensa, umoristicamente, alla mancata trasformazione della sua cittadina natale, Porto Empedocle, nella sua Vigata letteraria.
Per rendere onore al suo successo quasi prodigioso, gli amministratori locali avevano fatto iscrivere sui cartelli stradali, tra parentesi, il nome letterario accanto a quello reale:
Porto Empedocle (Vigata)
Fin lì nulla quaestio. Ma l’obiettivo di sostituzione non è passato, ripudio dovuto essenzialmente ai canoni della fiction, che non ammette secondo il grande pubblico distorsioni surrettizie della realtà. Da quella persona intelligente qual è, Camilleri ne era consapevole in anticipo, sapendo tra l’altro che i nomi inventati da Pirandello per la sua Girgenti – tra i quali Milocca, Richieri, Montelusa – mai si sarebbero sostituiti a quello di Agrigento.
Ironia della sorte, oggi invece il contenuto di Un filo di fumo diventa quanto mai attuale, ritornando in auge nell’ambito dell’infuocata polemica sulla costruzione o meno, a Porto Empedocle, di un rigassificatore, destinato a portare il gas dall’Africa.
Si sta creando lo stesso clima aspro di aspettazione che contraddistingue la storia del romanzo, in un porto che come allora costituisce l’unica possibilità di sviluppo: allora mediante lo zolfo, oggi grazie all’energia. Ridotta all’osso, la querelle attuale sembra essere la seguente: arriveranno mai ad attraccare sul molo di Porto Empedocle le navi gasiere?
I pragmatici assertori dello sviluppo sostengono che la struttura, con il miglioramento del porto e dei suoi fondali, la maggiore agibilità per le navi di alto tonnellaggio e con la riconversione della zona super-inquinata della ex Montedison ad insediamenti meno invasivi e più redditizi, porterà opportunità imprenditoriali e posti di lavoro. Gli oppositori ritengono invece che i guasti ambientali, in prossimità dei luoghi pirandelliani del Caos, saranno irreversibili, mentre limitati risulteranno i vantaggi dello sviluppo. C’è da dire a onor del vero che già il progetto ha superato gli esami d’impatto ambientale ed è stato regolarmente varato dagli organi competenti. Tuttavia la lotta tra i fautori del sì e gli strenui difensori del no si è fatta aspra, con la raccolta nel capoluogo di firme di cittadini che si professano contro il rigassificatore. Di recente gli assertori del progetto hanno incassato il sì pesante del padre letterario di Montalbano, Andrea Camilleri, il quale ha fatto palese la sua opinione, argomentandola con i vantaggi indubbi che ne deriveranno all’economia del suo paese natale, ma anche all’intero hinterland del capoluogo. Un’opinione come tante, legittima, che merita rispetto e non ironie e dileggi, ma non gradita alla controparte per la valenza psicologica che assume, considerata la caratura del personaggio che la sostiene. La polemica monta. Certo, però, quel filo di fumo, che dà il titolo al romanzo, in cui s’incarna, da un lato, il timore di una famiglia e, dall’altro, la speranza di un’intera comunità, sta assumendo per la vicenda attuale un significato umoristico-pirandelliano. Nella fiction di Camilleri la nave arrivò, ma non riuscì ad attraccare sul molo, salvando capre e cavoli. Ma le navi gasiere attraccheranno? Chi vivrà, vedrà. Considerati i precedenti, l’occasione sarebbe propizia per scrivere un nuovo Filo di fumo, più moderno, più aggiornato. E non è detto che il prolifico Andrea Camilleri non esaudisca tale preghiera, magari presentando la nuova opera ad attracco avvenuto.
IL FUMO DI EMPEDOCLE
Solo una parte della vita
Che non è vita
Vedono gli uomini:
condannati a pronta morte
si dileguano come fumo.
Empedocle
Breve è la vita degli uomini secondo Empedocle, eppure essi sembrano ignorarlo: nella Contesa, nella Competizione, nella Lite sembra riassumersi tutta la loro esistenza, in un incessante sogno di grandezza, illusorio come l’enigmatico filo di fumo di Andrea Camilleri. Il teorema empedocleo ci dice che nell’attesa la vita scorre inesorabilmente.
«L’uomo è nato per soffrire affanni e liti. A nulla valgono i mezzi del sapere. Beato è solo chi possiede i beni della mente divina. Un giorno gli uomini furono tutti beati e sedevano nelle supreme magioni, a mensa con i numi; ma molti di loro si macchiarono le mani di sangue. Per volere del fato, per decreto antico degli Dei, costoro furono banditi dalle alte sedi e dovranno peregrinare tre volte diecimila stagioni. Dall’etere furono scagliati nel mare e, poi, rovesciati dall’onda sulla terra e ancora alle fauci ardenti del sole, e, poi, dal sole saranno affidati ai turbini dell’aria. Così, di sito in sito essi peregrinano al buio, dove hanno dimora la strage e l’ira. Uno di questi io sono, fuggiasco dai luoghi eterni, esule e ramingo, perché fede prestai nella furente Lite» (Da Una contrada chiamata Consolida di Ubaldo Riccobono)
IL VIZIO DI PIRANDELLO
«C’era nostra madre; c’era nostro padre; ma c’erano anche tant’altre cose, i vizi, le ragazze, le cravatte nuove, le illusioni, le sigarette, ed anche la patria» (Pirandello, Quando si comprende, novella)
C’è un beneficio culturale nella sigaretta? Stando a Pirandello, sembra proprio di sì.
La sigaretta era per lui quasi un bisogno essenziale, dal quale difficilmente riusciva a separarsi, soprattutto nei momenti di maggior concentrazione nel suo laboratorio, vincendo così quell’ansia di scrivere e di creare, che sempre lo accompagnava.
«Ho sofferto di palpitazione, fin quasi a rimanerne soffocato, poche notti addietro. Ora soffro invece per le proibizioni impostemi dal medico, le quali mi vietano assolutamente il caffè e il vino che non sia bene annacquato, il fumo delle sigarette, le veglie e la troppa occupazione. L’astinenza dalla sigaretta è per me solo ed incredibile sagrifizio» (Lettera da Roma, 27 maggio ’88)
La paura dell’ozio, la trappola dell’immobilità erano i pericoli dai quali il premio Nobel voleva fuggire. La vita era intesa da lui come eterno divenire, incessante trasformazione, flusso continuo, incandescenza, esattamente come diceva il conterraneo Empedocle, filosofo della natura e del movimento ciclico di tutte le cose, che nel cosmo si componevano e scomponevano eternamente.
Un’altra cosa devo dichiararti:
nulla ha inizio né morte,
perché esistono solo miscugli
ed è soltanto scioglimento
la morte delle cose miste.
Quando dal miscuglio primordiale
sorge la razza umana o quella degli uccelli
o delle piante o la famiglia dei bruti selvaggi,
allor si dice che essi nascono;
quando il miscuglio si discioglie
allor che han trista morte
(Empedocle, Sulla natura)
Il fumo era quindi per Pirandello la proiezione di sé, l’estremo bisogno di comunicare, di vincere l’impassibilità, di spendere il suo pensiero in ogni istante, anche nei momenti di quiete. La quiete per lui equivaleva alla morte.
«Soffro troppo, non bevo più per niente caffè, non fumo – è orribile! E debbo stare in ozio – così si muore più presto» (Lettera da Roma, 3 giugno ’88)
Pirandello non aspirava alla vita contemplativa o alla virtù e ai familiari che gli consigliavano espedienti per potersi liberare del vizio del fumo, rispondeva umoristicamente, sapendo che non avrebbe mai rispettato alla lettera le prescrizioni dei medici.
«E così, son presso che venti giorni che io professo la perfettissima virtù. Son rimasto agli occhi di tutti scevro di ogni vizio; non è stolto, in questo caso, farsi inganno – un vizio c’è sempre: il cuore, vizio e suprema molestia della vita mia. Non fumo più, non bevo più caffè, non più vino che non sia molto annacquato, ma che per questo? Credete voi che io abbia a liberarmi dalla affezione cardiaca? E’ impossibile. Anche io, come la ghianda, dovrei cangiar natura; ma né io, nella ghianda – contateci pure – la cambieremo. Ciò che dovrei fare per guarire è appunto quello che non posso fare. Dovrei diventare pecora – rimprosciuttirmi il cervello, non preoccuparmi di nulla, vivere insomma in beatissima apatia lontano dagli studi e in generale da ogni emozione; niente musica, niente poesia (e di comporne io, non se ne dovrebbe neanco far motto) – infine vegetare tutto chiuso in un puro ozio contemplativo. Queste le prescrizioni; se ve ne basta l’animo, consigliatemi di metterle ad effetto. Non v’impensierite, però, sul mio stato: niente di grave. E’ semplicemente una gran molestia» (Lettera da Roma, 1 febbraio 1989)
IL CAVALIERE E LA MORTE
«FUMO, VIZIO DI MORTE»
Per Sciascia il fumo diventa vizio di morte, è il tumore del personaggio, il cancro della società che tutto inquina e corrompe. Ne “Il cavaliere e la morte” la pulsione di morte aleggia in tutte le pagine dell’opera, è il motivo conduttore, il segno di un destino, il marchio di una società in caduta libera, che si rivela sin dall’incipit.
«Automaticamente, accese ancora una sigaretta. Ma l’avrebbe lasciata a consumarsi nel portacenere se il Capo, entrando, non gli avesse fatto il solito rimprovero sul tanto e rovinoso fumare. Vizio stupido, vizio di morte. Aveva smesso di fumare, il Capo, da non più di sei mesi. Ne era molto fiero: a misura della sofferenza che ancora sentiva, una certa invidia, un certo rancore, quando vedeva gli altri fumare; e si alimentavano del fatto che davvero ormai il sentore del fumo gli dava un fastidio che arrivava alla nausea, al tempo stesso che la memoria del proprio fumare gli era come di un paradiso perduto»
Si avverte nella scrittura un’intensa sofferenza, il presentimento della morte, palpabile in ogni parola, nella stanchezza del vicecommissario che indaga e sa di andare alla morte, quasi evocandola. Il testo era stato scritto a mano nell’estate dell’ ‘88, come se si trattasse di una registrazione di riflessioni personali, sia pure inserite in un canovaccio “giallo”. Ribattuto a macchina, fu pronto per la stampa a fine dicembre. Subito dopo, nell’aprile 1989 le condizioni di salute di Sciascia divennnero drammatiche, tanto da consigliare un ricovero a Milano. Tranne brevi pause, starà a Milano fino ai primi di settembre e morirà il 20 novembre nella casa di Palermo. In quest’ultimo romanzo, da considerarsi per certi versi autobiografico, perfino l’organizzazione sovversiva “Figli dell’89”, responsabile in apparenza dell’uccisione del vicecommissario (nel quale è individuabile lo scrittore stesso), reca una palese premonizione dell’anno della sua morte, anche se esso può apparire un riferimento all’anno della rivoluzione francese.
Gran bel post, questo sul fumo e i tre grandi letterati agrigentini. Ce ne sarebbero cose da dire sul fumo e la letteratura. Il discorso sarebbe però molto lungo. Il tuo post mi è piaciuto per la sua compattezza e scorrevolezza, che lo rende molto interessante.
Temistocle da Roma
Meraviglioso, come sempre.
C’è un particolare che risalta alla vista, la meravigliosa assonanza, la meravigliosa combinazione di temi.
Felicità
Rino.
Il fumo è un vizio dannoso, ma pare che i grandi pensatori riescano a concentrarsi meglio fumando, ogni voluta di fumo è un’idea che nasce. Ho conosciuto un poeta che nel suo studio immerso nel fumo come una cortina di nebbia, osservava la sua cenere che si compattava con la precedente sino a formare delle collinette che crescevano in altezza.
Gli chiesi il perchè, mi rispose: “Osservo il livello della mia stupidità!”
Interessante post su tre grandi della letteratura.
Buona serata.
Con amicizia,
Annamaria.
grazie del tuo commento, riguardo il test vedo che hai ottenuto buon punteggio ma non avevo dubbi!!
complimenti per questo nuovo post come sempre frutto di validi spunti e interessi uniti da un ‘fumo’ conduttore….complimenti!
“Gli altri, chi il vizio del fumo, chi quello del vino; lui aveva il vizio della sua lagrima.”
Mi pare che questa frasi di Pirandello serve per tutti i tre.
Un grande abbraccio.
Fatima
Anche io “Osservo il livello della mia stupidità!” 😦
Baci
Uto
Delizioso post.
Ho risposto al tuo pvt.
Qui cielo scuro e pioggia.
Bacio.
g*
bello questo post! come sempre del resto. l’idea del fumo che accomuna i tre scrittori e non solo loro.
un caro saluto a te Ubaldo, grazie per queste chicche che ci regali ogni volta!
nel ricordarti che l’appuntamento con la foto sfida tornerà il 20 febbraio, ti lascio:
Ti lascio questa sorpresina unitamente a questi bei versi d’amore:
Per il mio cuore basta il tuo petto, per la tua libertà bastano le mie ali.
Dalla mia bocca arriverà fino in cielo ciò che stava sopito sulla tua anima.
(P. Neruda)
Ciao, per ora solo un saluto .Arrivederci a presto!
rileggo e ribacio
g*
Grazie, Temistocle. Era un’occasione irripetibile per legare e accomunare il nome di tre grandissimi letterati della mia terra.
Rino, la presenza di un grande storico come te è un grande onore per il mio blog. Ti ringrazio sempre per la tua amicizia e solerzia. Un caro saluto
E’ vero quel che tu dici, Annamaria. Anch’io ho avuto modo d’osservare il mio livello di stupidità. Per fortuna ho smesso. Grazie, buona domenica, carissima amica.
Ringrazio te, Fiordicollina, per la sollecitudine che manifesti nei miei confronti. Buona domenica.
Sì, Fatima, una grande sensibilità, quella di pirandello. Un carissimo saluto alla tua San Paolo carnevalesca e un ringraziamento.
Grazie, Elisabetta. Il “vizio” del fumo nasce forse per emulazione, è tardo a morire, ma ci accorgiamo che, tranne poche eccezioni, è controproducente. Io ho avuto la fortuna di smettere per problemi di salute. Quando si dice non tutti i mali vengono per nuocere. Buona domenica.
Grazia, anche da noi il tempo è stato inclemente. Ieri, finalmente, c’era una bella giornata di sole, ma i miei impegni mi hanno portato sulle coste del Tirreno, a Cefalù, dove diluviava e grandinava. Al ritorno su Lercara stava nevicando. Mi è sembrato di rivedere i paesaggi alpini del Piemonte, ammantati di neve. Oggi è una domenica di sole splendente, ma a nord il nostro monte Cammarata è coperto da una coltre di neve.
Buona domenica baciata dal sole.
Grazie, Fioredautunno. E’ vero sul fumo ci sarebbe da dire moltissimo, se solo pensiamo a Svevo e all’importanza che esso ha avuto sulla sua letteratura. Grazie, un saluto caro.
Un caro ringraziamento a Tamango.
Risaluto con un bacio domenicale, Grazia
Post davvero interessante e arguto. Complimenti!
Un caro saluto.
Già nel titolo, Un filo di fumo, Camilleri ha saputo sintetizzare tutta una serie di sensazioni, di emozioni, di speranze e di illusioni che nascono nel cuore dell’uomo, sospeso tra vagheggiamento e realtà di un evento che si deve realizzare. E’ un Camilleri che sa manovrare gli ingredienti del thriller, anche se il romanzo, o racconto lungo, giallo non è. E la realtà odierna del rigassificatore, così come ce la proponi, è legata tutta a questa attesa. Calibrate anche le altre parti del post, che destano curiosità e interesse.
Un professore a zonzo.
Grazie per la visita, Ballyon68. Buona domenica.
Camilleri è un grande scrittore, Professore. Grazie per il contributo. Un caro saluto
Ciao Ubaldo grazie per la tua visita sono felice che sia piaciuta la sorpresina 🙂 trovo questo blog davvero interessante e ben fatto..complimenti!!
nell’attesa la vita scorre inesorabilmente
Lo scorrere della vita di cui spesso non ci accorgiamo, mentre sciupiamo giorni, anni, a volte intere esistenze.
grazie, Marnu.