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Amici di Pirandello, Sciascia, Empedocle

~ "La vita o si vive o si scrive" (Luigi Pirandello) – "Regnando Amicizia ogni cosa va ad unirsi" (Empedocle) – "Non si capisce un sogno se non quando si ama un essere umano" (Leonardo Sciascia)

Amici di Pirandello, Sciascia, Empedocle

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25 lunedì Mag 2009

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agnello, agrigento, camilleri, castello, chiaramonte, cultura, letteratura - articoli, libro, montalbano, pirandello, porto empedocle, scultura, siculiana, trainito

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IL FENOMENO CAMILLERI

Saggio di Marco Trainito

Camilleri:”Quello di Marco Trainito è il migliore libro

in assoluto fino a ora dedicato alla mia opera”

 

Andrea Camilleri – Ritratto dello Scrittore di Marco Trainito, Editingedizioni Treviso, ora Edizionianordest, saggio, dicembre 2008, pagine 254, € 15.00 info@editingedizioni.com, www.editingedizioni.com, info@edizionianordest.com, www.edizionianordest.com 

 

Per un saggista gli studi non finiscono mai. Deve confrontarsi con i testi dell’autore, con il suo pensiero, con la critica sul suo pensiero, con le opere degli altri autori – a volte tanti – che lo richiamano, con la cultura presente e quella del passato.  Insomma il saggista deve essere occhiuto, tuttologo, quasi onnisciente e, forse, anche veggente. Nel caso di Camilleri, scrittore prolifico con produzione infinita, un saggista deve operare miracoli di memoria, sapienza di collegamenti e di rimandi, conoscere l’infinità delle sue opere, apparentemente semplici, ma poliedriche nei contenuti e nelle sciarade che vi sono disseminate: insomma deve conoscere a menadito la letteratura regionale, nazionale e internazionale. C’è da domandarsi come abbia fatto Marco Trainito, giovane e valente professore di filosofia di Gela, anche se già può vantare nel suo palmarès una notevole esperienza e un invidiabile curriculum, ad imbastire una biografia così bella, profonda, stimolante, completa, a tutto tondo sul fenomeno letterario così complesso qual è quello di Camilleri. Non si tratta soltanto d’intelligenza, e Trainito lo è stato tra l’altro per aver saputo governare e dosare un materiale, che poteva risultare troppo magmatico e per ciò stesso proteiforme. Non si tratta neanche di bagaglio culturale, e Trainito ne ha a iosa, conoscendo tutti i segreti del mestiere e dall’alto di una encomiabile assiduità di studi. La verità vera è che Marco Trainito, oltre a possedere una grande passione per la letteratura, è uno scrittore saggista geniale; sa usare la penna come un bisturi che è in grado di incidere in lungo e in largo, con operazioni di  microchirurgia e macrochirurgia critica. Nulla sfugge alla sua analisi e lo fa con tocco di mano e linguaggio suadenti. Il suo libro non ha sbavature, si dipana con scorrevolezza e profondità di contenuti in tutte le direzioni, inseguendo Camilleri in tutti i meandri delle sue opere e della sua anima. E i primi risultati lo hanno già premiato: prima tiratura esaurita in una settimana e già la Casa Editrice che l’ha scoperto la EditingEdizioni, ora Edizionianordest, è giunta alla terza edizione. Un’opera fondamentale sul padre di Montalbano da non perdere e da mettere in evidenza nella propria libreria, non solo da parte dei fans di Camilleri, ma anche da chi ama la letteratura in generale: un saggio che entra di diritto nella storia della critica letteraria.

 Marco Trainito con Camilleri

Un filo di fumo

Dal romanzo officina

ai pizzini di Provenzano

 

Romanzo di Andrea CamilleriNella sua incisiva analisi, tra una carrellata e l’altra di temi a getto continuo, supportati con citazioni e riferimenti di notevole spessore, che costituiscono ulteriori inviti ad approfondire, a leggere e rileggere, Marco Trainito individua in Un filo di fumo il prototipo strutturale della produzione camilleriana, che si sostanzia precipuamente in quattro elementi che rappresentano delle costanti che percorrono in vario modo le opere successive:

1) l’invenzione di Vigata, il paese geograficamente inesistente nel quale Camilleri ambienta tutti suoi romanzi, il centro più inventato della Sicilia più tipica, “una sorta di buco nero che ingloba tutto. Tutto ciò che succede dentro i confini della Sicilia”. Su Vigata il saggio indugia giustamente, perché appare essenziale nell’economia dei romanzi di Camilleri, non fosse altro che per quel giuoco di realtà e finzione (tra Borges, Pirandello e Sciascia) che appare una caratteristica fondante di tutta l’opera del Maestro di Porto Empedocle. E Trainito ne coglie l’essenza dimostrando con analisi testuali, intertestuali e intratestuali, come Vigata sia una, nessuna e centomila, come del resto il Commissario Montalbano, e Camilleri stesso come scrittore.

2) l’invenzione della lingua. Con Un filo di fumo – interessante la coincidenza del “filo” del libro con il filo conduttore e strutturale di tutti i romanzi successivi – viene introdotta la lingua tipica di Camilleri e acquista rilevanza il Glossario, in cui viene fissato un vero e  proprio codice. Il dialetto di Camilleri ha fatto discutere molto e ancora farà discutere, perché è l’invenzione, diremmo la “rivoluzione copernicana”, che ha spalancato a Camilleri le porte del successo. Pirandello, grandissimo scrittore in dialetto in alcune commedie, ritenne che il dialetto non potesse far pervenire l’arte a livello universale. Il dialetto di Camilleri invece rende le sue opere comprensibili non solo ai lettori italiani, ma anche nelle 33 nazioni che le hanno tradotto. Come si spiega? Certo l’uso del dialetto da parte di Pirandello era integrale e per ciò stesso non si prestava ad andare oltre i confini regionali e comunque non era recepibile da tutti. Camilleri risolve in maniera intelligente il quesito pirandelliano, perché la lingua dei suoi romanzi è quella italiana, ma si avvale di un colorito glossario dialettale, che non ha significato di linguaggio dal punto di vista formale, ma acquista un sapore e uno spessore “antropologico-culturale”, che fa cogliere il sentimento dell’artista e delle situazioni che vengono ad essere rappresentate.

3) Camilleri riprende una particolare ambientazione storica siciliana, caratteristica dei grandi romanzi I viceré di De Roberto, I vecchi e i giovani di Pirandello, il Gattopardo di Tomasi di Lampedusa: una particolare società, nella quale entrarono in crisi valori, classi, politica e società, che hanno lasciato indiscutibili tracce sulla precarietà dell’età contemporanea. E perciò la cerniera di collegamento tra presente e passato rende l’opera di Camilleri quanto mai attuale e stimolante.

4) Lo spunto del romanzo-officina è un documento anonimo e viene in rilievo in taluni personaggi la scrittura di lettere o documenti, motivo ricorrente nei successivi romanzi, e nella serie di Montalbano, che addirittura scriverà lettere a se stesso.

Altri elementi ricorrenti sono i rimandi – palesi o occulti – a moltissimi autori di spessore, con giochi intertestuali o intratestuali evidenti o reconditi. Lo scrittore interagisce con autori come Aulo Gellio, Manzoni, Conrad, Conan Doyle, Cervantes, Faulkner, Calvino, Sciascia, Borges, Gadda, Simenon, D’Annunzio e trova in ciò una goduria senza limiti, come un divertissement è la biblioteca di Vigata del Commissario Montalbano, in cui entra perfino Camilleri stesso. Ovviamente non poteva mancare Zio Luigino Pirandello – come lo chiama Camilleri: e Vigata viene vista, pirandellianamente, una nessuna e centomila, cangia di continuo; così come, del resto, assistiamo pirandellianamente allo sdoppiamento del Commissario Montalbano, e per certi versi dello stesso scrittore, “costretto” quasi ad inseguire nel suo laboratorio, e quindi nella narrazione, la necessità di questo sdoppiamento.

La spina dorsale del saggio è data dalla divisioni in tre blocchi principali: la genesi (L’origine della specie da Un filo di fumo), l’evoluzione dell’opera camilleriana (Giochi intertestuali e impegno civile), l’approdo laico di Camilleri (Dalle bolle ai pizzini. Lo spirito laico di Camilleri), in cui si va anche alla ricerca della cultura clerico-mafiosa, di cui tanto scrisse Leonardo Sciascia, dal quale Camilleri attinge a pieni mani, decodificando modernamente i fatti ultimi di mafia, tra i quali i pizzini di Montalbano.

Nutritissima la bibliografia, che abbraccia tutti i testi di Camilleri dal 1978 al 2008, nonché tutta l’opera critica uscita fino a tutto il 2008. Un’analisi colossale quella di Marco Trainito, che offre infiniti spunti sulla letteratura e tantissimi autori, decodificati a livello filosofico, psicologico, filologico, sociale con incursioni in tutti i campi dell’umano sapere, che non è facile in questa sede riassumere, ma che va letta per gustarne l’intensità e lo spessore argomentativi di uno scrittore, a guisa di opera narrativa.

 

L’autore- Marco Trainito è nato a Gela il 25 aprile 1969. Dopo la laurea in filosofia e storia nel 1994 (tesi su Nietzsche) ha conseguito il titolo di Dottore di ricerca in filosofia e storia delle idee nel 1998 (Tesi su Wittgenstein e Popper) insegna filosofia e scienze sociali al Liceo Socio-psico-pedagogico “ di Linguistica "Dante Alighieri” di Gela ed è tutor di Linguistica Generale, Filosofia Teoretica e Filosofia del linguaggio nel corso di laurea in Scienze della comunicazione dell’Università di Catania, decentramento didattico di Gela. Ha pubblicato: Popper e il Wittgenstein antropologo. Un’ipotesi di confronto, 2000; I bambini, la televisione e la scuola nel pensiero di Karl Popper, 2002; Il “Big Typescript di Wittgenstein, 2002. Ha pubblicato saggi su Umberto Eco e Stefano D’Arrigo. Scrive per giornali e riviste on line.

 

IL GIORNO PIU’ LUNGO DI CAMILLERI

Sotto il cielo di Vigata

La statua del Commissario Montalbano 

Un critico ha definito Vigata

“Il paese più inventato della Sicilia più vera”

Se stesse in me, correggerei la definizione:

“Un paese, in parte vero, della Sicilia più inventata”

                                                Andrea Camilleri

 Camilleri con il sindaco Calogero Firetto di P.Empedocle

 Un giorno a Porto Empedocle, paese che c’è, per vivere un giorno a Vigata, paese che non c’è; oppure un giorno a Vigata, paese in parte vero di una Sicilia inventata da Andrea Camilleri. Con questa visione borgesiana, tra realtà e finzione, è stata concepita dal comune di Porto Empedocle, dov’è nato il grande scrittore, la giornata “Sotto le stelle di Vigata”, una giornata ricca di eventi culturali di spessore.

Innanzitutto il tema iniziale assai suggestivo “Montalbano, un commissario non troppo di carta” condotto da un trio: il Sindaco di Porto Empedocle, Calogero Firetto, uomo colto e competente, che ha intrapreso una battaglia culturale e sociale a 360 gradi per la cittadina marinara; lo stesso scrittore Andrea Camilleri e un critico letterario di grande valore, Salvatore Ferlita, accademico dell’Università di Palermo, che scrive per la pagina culturale di Repubblica.

Il secondo evento è la firma ufficiale per la costituzione della Fondazione letteraria Andrea Camilleri, che avrà sede nella casa di famiglia dello scrittore, donata al Comune di Porto Empedocle.

Dice il Sindaco di Porto Empedocle, Calogero Firetto:

 

“Un cordone ombelicale, che non verrà mai reciso, unisce Porto Empedocle ad Andrea Camilleri. Per questo motivo abbiamo deciso di dare vita ad una Fondazione intitolata al nostro illustre concittadino: non un museo ma una struttura viva e dinamica”

 

Giuseppe Agnello, scultore di MontalbanoIl secondo evento è stata la scopertura, da parte di Andrea Camilleri, della scultura iperrealista raffigurante il celeberrimo Commissario Montalbano, opera dello scultore Giuseppe Agnello, di Racalmuto, lo stesso che ha concepito la scultura bronzea  di Leonardo Sciascia, che passeggia sul Corso principale di Racalmuto, con l’eterna sigaretta in mano. Dal 1989 Giuseppe Agnello insegna Scultura e Tecniche della Scultura tra l’Accademia di belle Arti di Palermo e quella di Carrara.

 

 

 

Associazione Culturale Humus Racalmuto

La conclusione della mattinata è avvenuta con un aperitivo vigatese con “arancini” del Commissario Montalbano, nel Caffè Vigata, a pochi metri della statua di Montalbano.

 

Montalbano: uno, nessuno, centomila

La statua di Montalbano scoperta da Camilleri  

A proposito della scultura del Commissario Montalbano, assai diversa dallo Zingaretti della fiction, Camilleri ha scritto un’interessante minirelazione sulla brochure di presentazione dell’evento:

 

“Nell’immaginario collettivo le immagini del commissario Montalbano corrispondono a quelle di Luca Zingaretti che l’interpreta in tv. In realtà il mio personaggio, quello che opera a Vigata, è un po’ più anziano perché naviga per i sessanta anni essendo nato nel ’50. Il mio commissario è pieno di capelli, ha i baffi ed è facilmente riconoscibile sulla pagina. E’ giusto quindi che Vigata – Porto Empedocle realizzi un’immagine del vero volto del commissario Montalbano, così come si può desumere dalle mie, certo non ricche, descrizioni fisiche del personaggio. Non vorrei sbagliarmi, ma mi pare che in Italia di monumenti destinati ad un eroe di romanzo esista solo quello a Pinocchio dovuto al grande scultore Emilio Greco. Ora immaginare Pinocchio, non dovrebbe essere difficile, dato che si tratta di un burattino oltretutto perfettamente descritto da Collodi. Eppure le decine e decine di pittori e di disegnatori che hanno tradotto in immagini Pinocchio, l’hanno fatto uno diverso dall’altro perché ogni artista, dentro di sé, aveva il “suo” Pinocchio. Di fronte a un personaggio come Montalbano, che è uomo comune, i problemi del dargli una forma concreta si moltiplicano. Gli stessi lettori ne danno ogni volta un’immagine differente e, credetemi, non c’è una descrizione che coincida con un’altra. Accadrà così con quest’opera, è inevitabile. Questo è il Montalbano visto dal Maestro Giuseppe Agnello che l’ha, impresa certo non facile, tradotto in bronzo. A me piace questa immagine di Montalbano; soddisfa molto e ancor più mi piace che il mio Commissario se ne stia appoggiato ad un lampione a guardare i “marinisi” che passeggiano! So già che molti diranno che non somiglia a Montalbano. E che altrettanti diranno invece che gli somiglia. E’ inevitabile: ogni lettore si crea un suo Commissario. Come ogni personaggio romanzesco Montalbano infatti è, pirandellianamente, uno, nessuno, e centomila!”

                                                                                                  Andrea Camilleri

 

Prima della scopertura, Andrea Camilleri ha voluto salutare l’evento, cavando dal suo cappello a cilindro delle battute umoristiche.

 

Tu, cu si’?

 

Era un pomeriggiu estivo di vampa e iucavu al piccolo chimico, quando sintivu bussare alla porta. I miei genitori dormivano. Andai ad aprire e mi truvavu davanti un ammiraglio in feluca e mantellu, ca mittennumi due jta sutta a frunti, mi disse:

”Tu, cu si’?”

“Sugnu Nenè Camilleri” risposi subitu.

“Chiamami to’ patri e ta’ matri e dicci ca c’è Luiginu Pirandello!”

Ci fu un’aggitazzioni generali, perché nessuno era prontu alla visita di Ziu Luigi, abbigliato d’Accademico d’Italia.

Ora vidennu la statua di Montalbano poco distante da quella svettante di Pirandello in mezzu a’ Marina, mi ricordu sti dui jta puntati che Pirandello dall’alto del suo monumento immagino puntari a Montalbano, dicendogli:

“Tu, cu si’”

 

Camilleri 2 – Sentendo la citazione introduttiva sulla realizzazione in bronzo della statua, Camilleri nel preambolo del suo discorso ha detto:«Non parliamo di metalli, perché dalle nostre parti il bronzo ricorda il detto poco edificante “faccia di bronzo”»

 

 

IL CIELO RUBATO. DOSSIER RENOIR

di Andrea Camilleri

L 

Castello di SiculianaIn serata al Castello chiaramontano di Siculiana, appartenente alla famiglia Firetto di Porto Empedocle – la stessa del sindaco -, che ne ha fatto un lussuoso resort per eventi – matrimoni, meeting, manifestazioni –  è avvenuta la presentazione dell’ultimo libro di Andrea Camilleri “Il cielo rubato. Dossier Renoir”, in cui si racconta un viaggio del pittore Renoir ad Agrigento, allora Girgenti – forse avvenuto o forse no – attorno al quale lo scrittore ricama una storia ricca di mistero, tra realtà e finzione. Mai luogo fu più indicato per effettuare tale presentazione, perché il castello di Siciliana è quello in cui vissero l’avvenente Costanza II Chiaramonte e Antonino Delcarretto, dei marchesi di Savona Noli e Finale. Costanza II amava il lusso e i divertimenti. Della compagnia di gaudenti del castello venne a far parte Ser Branca Doria, il nobile genovese che attirato il suocero Michele Zanche in un suo castello, lo aveva ucciso, per succedergli nel dominio di Logudoro in Sardegna. Dante lo aveva collocato in vita nella Tolomea negli assassini degli ospiti, assieme al Conte Ugolino della Gherardesca, nel canto XXXIII dell’Inferno:

 

Tu ‘l dei saper, se tu vien pur mo giuso:

elli è ser Branca Doria, e son più anni

poscia passati ch’el fu sì racchiuso

 

“Io credo” diss’io lui, “che tu m’inganni;

che Branca Doria non morì unquanche,

e mangia e bee e dorme e veste panni”.

 

Corte del Castello chiaramontano di SiculianaNel mio romanzo “Una contrada chiamata Consolida” ricostruisco la storia scellerata della fedifraga Costanza II e Branca Doria, i quali ebbero dalla loro unione sette figli. Una storia fitta di mistero in uno dei tanti castelli dei Chiaramente.

E in effetti, come hanno chiarito il presentatore Fabio Carapezza Guttuso e il critico letterario Salvatore Ferlita, alla base di “Il cielo rubato” sta un grosso mistero di un viaggio, vero o fittizio, di Renoir, dal quale si dipana tutta la storia, in un racconto epistolare di sostanza, secondo un sistema già collaudato da Camilleri, di cui Marco Trainito ha diffusamente parlato nel suo “ritratto dello scrittore”.

Tutto ciò è stato anche ribadito da Andrea Camilleri nel suo intervento, il quale ha finito per sottolineare il giuoco continuo di rimandi delle sue opere, come esca offerta ai critici letterari, i quali assai spesso non riescono a coglierli tutti.

In quest’ultimo libro Camilleri ha evidenziato anche il pirandellismo dell’apparenza, della realtà e della finzione, ma ha lasciato in sospeso altri possibili enigmi celati. Ma la struttura del racconto è chiaramente sciasciana, con un riferimento quanto mai aderente a “Il consiglio d’Egitto”, dove i temi di verità, realtà, impostura, e della verità che diventa impostura e dell’impostura che diventa realtà, sono svolti dall’illuminista Leonardo Sciascia in maniera stringente. L’impostura finisce per prevalere sulla verità e diventa essa stessa verità, ma è pur sempre la ragione che trionfa, perché è la ragione che fa scoprire la seduzione e l’imporsi dell’impostura.

 

“Sono un contastorie”

Andrea Camilleri «Non sono un cantastorie, perché sono stonato. Sono un “contastorie”, uno che racconta, che lavora per i lettori. E poiché lavoro per i lettori, devo essere sempre diverso, uno, nessuno e centomila, così come uno nessuno centomila è il personaggio del Commissario Montalbano» ha detto nel corso della presentazione del suo ultimo libro Andrea Camilleri.

E ha poi aggiunto:«Confesso che con Montalbano mi sono trovato spesso a mal partito, quasi in galera. E’ la ripetitività il vizio più grande della letteratura e per liberarmi di questa presenza ossessiva del Commissario, ero costretto a gettare dei nuovi racconti, come pezzi di carne ai lupi di una slitta, perché Montalbano mi lasciasse libero di creare dell’altro. Certo, con Montalbano le vendite aumentano, i lettori sono più veloci di me e famelici aspettano altre storie. Non è bello sentirsi in galera e così, se riesco a sottrarmi a Montalbano, rientro in una posizione meno difficile, passando dalla galera agli arresti domiciliari, creando delle storie che mi intrigano molto»

C’è in queste dichiarazioni di Camilleri tutto il dramma moderno dello scrittore, costretto a confrontarsi ogni giorno con i suoi lettori.

«Mi dicono che dopo la mia morte, le mie opere saranno dimenticate? Non me ne importa un bel niente, l’unica cosa importante è scrivere “storie”»

Leonardo SciasciaDietro queste parole ci sono Borges, Sciascia e anche Pirandello. Borges preconizzava una teologia laica dei libri, che convergono verso l’unico, il più grande libro in assoluto. Sciascia ricordava che lo scrivere è sempre gioia, stato di grazia. Per Pirandello invece lo scrivere era vita (la vita o si vive o si scrive).

«Non voglio entrare nelle antologie – ha detto Camilleri – Porta jella. Portò jella ad Alessandro Manzoni, uno dei più grandi letterati di tutti tempi: la scuola così come l’ha fatto conoscere ha finito per farlo odiare. Appreso che una scuola siciliana, al posto dei Promessi Sposi, aveva adottato come antologia il mio Il birraio di Preston, ho scritto una lettera aperta  ad un giornale indirizzandola a Manzoni “Caro Sandro, la colpa non è tua, ma della scuola…”. Concetto quest’ultimo già evidenziato da Leonardo Sciascia pubblicamente, con l’affermazione che lo studio dei Promessi Sposi a scuola era consolatorio, mentre il quadro dipinto da Manzoni non era affatto consolante ma desolante.

A proposito dei libri e dei critici come sacerdoti, Camilleri ha posto il quesito:

«Che cos’è l’arte?»

Per lui l’arte è creazione di storie, sempre nuove, sempre diverse, mai scontate, perché l’arte consiste nella fruizione, nella massima fruizione; l’arte è vita e per esserlo veramente deve uscire dalla ripetitività. Vi è in ciò il contrasto pirandelliano tra vita e forma. Al lettore interessa la concretezza delle storie, più che la forma con la quale le si racconta.

Luigi PirandelloE ricordando il giudizio lusinghiero su una sua messa in scena degli anni sessanta del “Finale di partita” di Beckett, da parte di un critico, il quale  diceva che Camilleri era l’unico a poter dare del tu a Pirandello, Camilleri ha precisato d’aver risposto:

«Ringrazio immensamente del giudizio lusinghiero, ma a Pirandello, cui mi ha legato peraltro un vincolo di parentela, io continuerò a dare come sempre del “Voscenza”, che dalle nostre parti significa “Vostra eccellenza”»

 

19 giovedì Mar 2009

Posted by ubaldoriccobono in Senza categoria

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agrigento, alfano, archeologia, chiaramonte, cultura, infrastrutture, pittura, spettacoli, tre torri, turismo, valle dei templi, viaggi

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ON THE ROAD

FESTA DELLA PRIMAVERA

 Samantha Torrisi

Abituati come siamo a viaggiare quotidianamente, anche per brevi tragitti, forse trascuriamo di approfondire l’importanza delle infrastrutture di lungo percorso nel mondo di oggi. Agrigento, ultima città d’Italia sotto il profilo economico-sociale sente invece questo grande problema, pagando a caro prezzo la sua marginalità, in un’isola che è già marginale rispetto all’Europa e all’Italia del Nord.

Ma questo grande contenitore artistico-culturale, patrimonio unico al mondo, proiettato verso i paesi del Mediterraneo ma tagliato fuori dall’Europa e anche dal resto dell’Isola, vuol uscire dal tunnel, per imboccare decisamente la strada maestra del turismo, quale volano privilegiato del suo sviluppo.

Ministri Matteoli e AlfanoLa settimana scorsa, A Racalmuto, proprio nella terra di Sciascia, è stata posta la prima pietra del raddoppio della Statale 640 da Agrigento a Caltanissetta, alla presenza dei Ministri Matteoli e Alfano, che dovrà rendere più celeri i collegamenti che dalla parte orientale dell’Isola portano nella città dei templi. Per fare di questa città un polo turistico come si deve, europeo e mondiale, continuano a marciare anche altre progettualità: Porto, Aeroporto, raddoppio della Statale con Palermo.

A latere si muove anche l’iniziativa privata: numerosi albergatori hanno costituito Il Logo ConsorzioConsorzio Turistico della Valle dei Templi, che vuol porsi come soggetto attivo e propositivo permanente di offerta turistica. La prima iniziativa che ne è scaturita è il ricco programma della prima Festa della Primavera, un fine settimana (20-22) destinato a coniugare lo spirito della vacanza a contatto della natura, cultura, spettacolo e sapori (per saperne di più www.hoteltretorri.eu o cliccare il link sul blog HOTEL TRE TORRI).

Festa Primavera AgrigentoE’ l’inizio, cui seguirà un ventaglio di concrete proposte per fare di Agrigento un punto di riferimento ben preciso. Non bisogna dimenticare che la Valle dei Templi è il sito siciliano più visitato dell’Isola e uno dei più visitati al mondo. 

 

SENTIERI, SAPORI

SPETTACOLO NOTTURNO NELLA VALLE

Tempio della Concordia, Valle dei templi AgrigentoTempio di Ercole (notturno) Valle dei templi Agrigentotramonto dalla casa natale di Pirandello 

Non mancano di certo i posti in città, nella mitica Valle dei Templi, ma anche nell’immediato hinterland, dove poter apprezzare il connubio incredibile delle bellezze archeologiche e della natura, che si sveglia in questi giorni dal letargo invernale per proporsi in tutto il suo fulgore

 Agrigento, Telamone, Tempio di GioveMandorlo in fiore e Tempio di ErcoleAgrigento, Tempio di Castore e PolluceAgrigento, Tempio di Castore e Polluce

E nel pacchetto turistico è previsto un  pranzo con “Menu di Primavera” in ristoranti tipici con prodotti “Bio” ed a “Km 0”, cioè rigorosamente locali e freschissimi.

Il programma si avvale di un suggestivo spettacolo notturno, sabato sera (ore 21), di danza e musica nel cuore della Valle dei Templi, al cospetto dei santuari greci tutti illuminati.

 Onirico Tempio Concordia Tomba di Terone, Valle dei Templi Agrigento


LE FABBRICHE CHIARAMONTANE

 Fabbriche Chiaramontane Agrigento

Presso le Fabbriche Chiaramontane, centro permanente per eventi culturali e d’arte nel cuore della città, gli appassionati di pittura potranno visitare la Mostra, tutta al femminile, di quattro pittrici: Olga Brucculeri, Rosalba Mangione, Samantha Torrisi, Liliana Zappalà.

Rosalba Mangione Il VoloBrucculeri Olga, pittrice


Samantha Torrisi








E presso i luoghi pirandelliani (Biblioteca Museo Pirandello) espone anche il trapanese Peppe Caiozzo.Peppe Caiozzo, Gnomoni

 

MERCATINO DEL BIOLOGICO

AIAB ASSOCIAZIOME ITALIANA AGRICOLTURAOmaggio allAgrigento I Festa del Bio 

A cura dell’A.I.A.B. (Associazione Italiana Agricoltura Biologica) saranno allestiti nella giornata conclusiva di domenica (dalle ore 7.00 alle 13.00), in centro città, numerosi stands a beneficio dei visitatori buongustai, i quali potranno degustare sapori genuini di una volta e leccornie autoctone di ogni tipo, che potranno anche acquistare.

 

 

19 giovedì Giu 2008

Posted by ubaldoriccobono in Senza categoria

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agrigento, arte e cultura, chiaramonte, letteratura - articoli, racalmuto, racconti, storia

LO STRANO CASO DI
COSTANZA CHIARAMONTE

 (RACCONTO)

 Racalmuto Castello Chiaramontano
Costanza era una giovane bellissima, che da sempre aveva attirato l’attenzione di tutti i principi della Sicilia, ed essendo la primogenita, era destinata dal padre Manfredo Chiaramonte al governo della città, alla morte di lui.
    Fu un matrimonio d’amore quello che unì Costanza con Francesco I Ventimiglia di Geraci? o semplicemente un’unione d’interessi tra due delle famiglie più potenti dell’epoca?
    I due s’erano incontrati ad un ballo di gala apparentemente per caso, perché  le due famiglie, sotto sotto, avevano combinato tutto, con l’impegno solenne che, se i giovani non si fossero decisi, si sarebbero messi in campo interessi di dinastia.
    Fortunatamente tutto filò liscio: alla festa, malgrado la corte spietata di giovani nobili ancora più blasonati di Francesco, lei non vedeva che lui e, quando danzava tra le sue braccia, ansante e appassionata, chiudeva gli occhi e si lasciava trasportare in un mondo di fiaba. Egli, invece, sapeva mantenere il sangue freddo in ogni situazione. Risoluto e vendicativo, veniva chiamato “il conte di ghiaccio”, anche dagli amici più fidati. E tale, infatti, era il suo temperamento, che faceva leva anche su un atteggiamento ipocrita e falsamente accondiscendente.
    Mentiva spudoratamente nella maniera più naturale del mondo, sembrava cadere dalle nuvole quando gli rivelavano importanti segreti, uscendosene indifferentemente con una scrollata di spalle. Il disinteresse dissimulato gli faceva acquistare credito, cosicchè riusciva a conoscere pettegolezzi e dicerie, a ricevere confidenze e a mettere in giro, come verità, fandonie e menzogne nei confronti di chicchessia. Astutissimo e diplomatico al tempo stesso, si serviva di tutti e sfruttava abilmente tutte le situazioni. Era anche un uomo attraente e amatore inesauribile.
    Non passò un mese e gli sponsali furono celebrati in gran pompa nella chiesa di Santo Spirito. Gli sposi andarono a vivere in uno dei castelli dei Chiaramonte, ma non fu la vita che Costanza si aspettava. Sulle prime Francesco fu innamoratissimo, ma era lecito credergli considerati i precedenti?
    Ma passato il primo periodo di passione, ritornò a preoccuparsi unicamente dell’attività politica, la tradiva sfacciatamente e impudicamente, anche con prostitute d’alto bordo, disinteressandosi quasi del tutto di lei.
    Lei trascorreva i giorni come una reclusa e, in assenza del marito, trascinava la sua esistenza come un’anima in pena, aggirandosi per il castello come in un mausoleo
    Sempre più rare erano le occasioni per organizzare feste e ricevimenti e anche la presenza dei familiari, della madre, del padre e dei fratelli, era infrequente. Cominciò a prendere un gusto spasmodico a dare ordini, a volte strani o scriteriati, al servitorame e alle guardie di palazzo.
    Le sue dame di compagnia le aveva in uggia e le tiranneggiava con mille oppressioni. Per questo si alzava tardissimo, e occupava tutto il tempo a truccarsi e ad abbigliarsi come una regina, in maniera quasi maniacale, presentandosi a pranzo vestita di tutto punto, anche quando non vi era alcun ospite, e cioè nella stragrande maggioranza dei casi. Nel salone sterminato del castello, spesso, cenava tutta sola, Facendo accendere tutte le luci.

    Passarono gli anni e figli non ne arrivavano: Francesco, ormai certo della sua sterilità e mai rassegnato ai sogni dinastici, mugugnava e a volte s’indispettiva, protestava, rinfacciava. E lei rispondeva per le rime, diventava arrogante, lo accusava di mille manchevolezze e di vili abiezioni, lo disprezzava irridendolo in maniera sarcastica.
    A volte arrivò a tacciarlo perfino d’impotenza e fu l’addebito più grave, che le venne ribaltato da Francesco, che l’incolpava a sua volta, con parole di fuoco, di sterilità.
    Francesco, che con il matrimonio si era ripromesso di inaugurare la sua stagione politica e di entrare nelle grazie del re Federico, vedeva tramontare i suoi disegni per colpa di quella pazza, come lui ormai la chiamava pubblicamente.
          Gli screzi e i dissapori familiari venivano riferiti alle due famiglie, i cui rapporti si erano pure allentati. Il padre di Costanza, Manfredo Chiaramonte, uomo di guerra e di polso, piombò un giorno nel castello della figlia e volle conoscere tutta la verità.
    Distrutta dalle lacrime, esacerbata dalle angherie e dai torti subiti, lei rivelò al padre tutte le bassezze, i tradimenti, le azioni ignobili che Francesco era stato capace di cagionarle in tanti anni di matrimonio, narrando per filo e per segno gli episodi piccoli e grandi – e non erano pochi – della sua contrastata e tristissima vita coniugale.
    Manfredo I Chiaramonte non era l’ultimo arrivato sulla scena politica dei tempi. Uomo di cappa e di spada, acutissimo diplomatico, persona sagace ed autoritaria, sapeva essere accomodante quando lo voleva e pungente e astioso a tempo debito. Al racconto della figlia rimase contrariato per una serie di motivi. Innanzitutto, la famiglia Ventimiglia non era di lignaggio da poco e valeva quasi la famiglia dei Chiaramonte.
    Non poteva, quindi, rivolgersi al padre di Francesco, senza sentirsi mettere in campo repliche e opposizioni che potevano risultare spiacevoli e avrebbero potuto mettere a rumore l’ambiente di corte. Dare ragione fino in fondo alla figlia sarebbe stata, quindi, una mossa sbagliata e avrebbe potuto rinfocolare le ire e i contrasti tra i coniugi. Divisò quindi di rabbonire Costanza alla men peggio e di sentire gli intendimenti del genero.
    Manfredo aveva saputo delle mire politiche di Francesco, ma ciò non l’inquietava; anzi per lui tutto ciò si collocava nella naturale ambizione dell’uomo che dopo tutto finiva per far piacere, trattandosi del genero. Ma che tali scopi potessero passare sulla pelle della figlia, e quindi della casata, questo non era ammissibile e non poteva incontrare in alcun modo la sua approvazione.
    L’incontro tra suocero e genero avvenne in una parte recondita del vastissimo giardino del castello, lontano da occhi e da orecchi indiscreti.
    Alle rimostranze del suocero, sapientemente ammannite e snocciolate con acume ed ingegno, oltre che con sottile ironia, Francesco, sapendo di avere colpe non indifferenti e rendendosi conto che scherzare con la famiglia Chiaramonte non era una condotta raccomandabile, accampò pretesti e querele a sua volta, tirando in ballo le offese subite dalla moglie e un tradimento di lei con un servo e che l’onore non c’entrava in bel niente.
    Manfredo, sorpreso e irritato al tempo stesso, trasecolò. La figlia aveva taciuto quell’episodio, esponendolo quasi alla berlina, con un vantaggio per il genero che non poteva più essere colmato.
    La sua reazione, comunque, fu mascherata abilmente e camuffata con mille rimproveri e consigli che egli si permise di dare al genero, come se si fosse trattato di un figlio suo.
    Gli disse a chiare lettere che la condotta coniugale doveva essere adeguata al blasone delle due famiglie, che dovevano riprendere festini e ricevimenti, ai quali sarebbe stata invitata la migliore nobiltà dell’isola: insomma bisognava mutare registro, soprattutto per occhio di mondo. Che poi i dissapori dovessero essere custoditi nel chiuso delle mura domestiche, questo era un altro paio di maniche e lui stesso lo consigliava.
    Diede qualche contentino alle ragioni del genero, dispensò le raccomandazioni del caso, e licenziò Francesco, concludendo che discorso analogo avrebbe fatto alla figlia, per chiudere la partita.
     La famiglia Ventimiglia fu avvertita e il padre di Francesco gradì moltissimo la condotta di Manfredo I, manifestata a suo dire con grande diligenza e avvedutezza, e intervenne nei confronti del figlio affinchè il comportamento dei due coniugi non desse pubblico scandalo.
        Francesco e Costanza, in pubblico, ora sembravano filare d’amore e d’accordo ed erano anfitrioni impareggiabili alle feste e ai divertimenti che si solennizzavano ad ogni pie’ sospinto, nonostante il livore e il disprezzo covassero nei loro animi, risultando pura finzione il loro contegno di innamorati che tubavano come colombi. Tale è l’abisso dell’animo umano.
        Nel 1321 Manfredo I Chiaramonte morì gloriosamente in guerra, fu celebrato con esequie da re e lasciò la famiglia nel più cupo sconforto. Costanza, letteralmente impazzita, si chiuse nei suoi appartamenti e non ne volle uscire se non dopo in paio di mesi.
        Frattanto Francesco ne aveva approfittato per eclissarsi, non si sapeva per quale affare politico e in quale posto della Sicilia. La morte del suocero lo aveva reso più forte e poteva contare sull’aiuto del fratello del morto, Giovanni, il quale non avrebbe avuto più rivali per acquisire la primazia della famiglia.
    Nel castello l’aria era divenuta irrespirabile per tutti i suoi abitanti e il comportamento dispotico della signora riemerse, tale e quale quello d’in tempo. Per ripicca lei aveva ripreso ad amoreggiare con il servo, ma i suoi sfoghi non l’appagavano più, ne usciva ogni giorno umiliata e infelice al massimo grado. Nessuno veniva più al castello e in giro correva voce che la signora fosse ormai uscita fuori di senno.
        Passarono alcuni mesi e venne la decisione di Costanza di ritirarsi nel monastero di Santo Spirito, dove poteva essere accudita dal medico personale, nell’infermeria delle monache di clausura, che serviva da piccolo ospedale per la nobiltà agrigentina.

Il chiostro del monastero di S.Spirito    Costanza se ne stava chiusa nella sua stanza e non ne usciva quasi mai, non voleva dare a nessuno la soddisfazione del ripudio da parte del marito.
      Ma quell’evento le sconvolgeva la mente, gettandola in un’ambascia inenarrabile, che la prostrava oltre il limite dell’umana sopportazione, che la faceva disperare e gridare come un’ossessa.
        Vedeva il marito da tutte le parti, con quel sorriso sardonico sulle labbra, freddo ed impassibile di fronte alle sue sofferenze; e lei parlava ad alta voce con lui, come se fosse veramente presente nella sua cella e fosse in grado di risponderle. Inveiva, offendeva, si sgraffiava e, a volte, come una pazza furiosa, percuoteva con i pugni i muri, facendosi male e procurandosi delle ferite. In quei casi, niente o nessuno poteva acquietarne il furore.
    Talora, invece, giaceva nel giaciglio senza articolare parola, con lo sguardo assente, e sembrava voler penetrare il muro, verso un miraggio lontano e mai raggiungibile.
        Era allora che faceva più paura, perché subito dopo veniva squassata da crisi improvvise e con la bava alla bocca sembrava che di lì a poco dovesse rimanere soffocata.
    Chiamato anche di notte, Riggero d’Accardo si prodigava come poteva, impotente a domare quella malattia a lui sconosciuta, ribelle a tutti i rimedi della scienza. Per cui s’era limitato a curarne gli effetti, sedando le crisi d’angoscia, l’affanno e le difficoltà del respiro. Laddove era possibile con i farmaci a sua disposizione, riusciva a stordirla, frenandone le manifestazioni più gravi. Era soddisfatto quando la vedeva più serena nel suo giaciglio, anche se in uno stato di semideliquio.
    Quando le crisi cominciarono ad aumentare di ora in ora e, poco tempo dopo, di minuto in minuto, capì che non v’era più niente da fare e chiamò il vescovo che impartisse l’estrema unzione, come s’usava da tempo nella città.
    La notizia della morte di Costanza raggiunse il marito nel colmo di una festa, mentre in compagnia della nuova fidanzata, nel crocchio degli amici, discuteva del più e del meno, con aria faceta, ciarliero, disinvolto e spigliato come sempre.
    Non battendo ciglio, lo si vide continuare a chiacchierare, imperterrito, come se niente fosse. In cuor suo si persuase subito che ormai gli si schiudeva la porta della carriera politica d’alto rango, e che neanche la madre Chiesa avrebbe trovato più nulla a ridire, giacchè era vedovo e poteva convolare a nuove nozze.

 

Copertina mio romanzo




(dal romanzo “Una contrada chiamata Consolida”, di Ubaldo Riccobono, tutti i diritti riservati)

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