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Amici di Pirandello, Sciascia, Empedocle

~ "La vita o si vive o si scrive" (Luigi Pirandello) – "Regnando Amicizia ogni cosa va ad unirsi" (Empedocle) – "Non si capisce un sogno se non quando si ama un essere umano" (Leonardo Sciascia)

Amici di Pirandello, Sciascia, Empedocle

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10 domenica Gen 2010

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letteratura - articoli, pirandello, teatro

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LUMIE DI SICILIA, LA MORSA

CENTO ANNI FA

IL DEBUTTO DI PIRANDELLO IN TEATRO

 

Il 1910 fu l’anno della svolta per l’attività artistica di Luigi Pirandello. Già a fine 1909 era apparso, a puntate nella “Rassegna Contemporanea”, il romanzo I vecchi e i giovani, mentre  il Corriere della Sera” pubblicava tre novelle Mondo di carta (4 ottobre), La giara (20 ottobre), Il lume dell’altra casa (12 dicembre).

Il 19 gennaio del 1910 il direttore del Corriere della Sera Albertini scrive a Luigi Pirandello una lettera, invitandolo con qualche raccomandazione a una collaborazione duratura con il giornale che già lo scrittore aveva definito il principe dei nostri giornali quotidiani

 

Egregio Professore,

Come avrà visto, abbiamo già pubblicato tutte le Sue novelle. Ora saremo lieti se Ella vorrà mandarcene qualcun’altra. Se ci è lecito farLe una raccomandazione, vorremmo dirLe che, per un giornale quotidiano ci sembra, quando è possibile, più opportuno evitare gli argomenti o troppo tristi ovvero che possano, per qualche ragione, riuscire un po’ ripugnanti. L’ideale delle novelle sarebbero: “La giara” o “Il lume dell’altra casa”. Questo lo dico solo per Sua norma, poiché Ella ha così gentilmente corrisposto alla nostra richiesta di collaborare al Corriere, ma Ella sa come la Sua collaborazione sia sempre molto accetta.

            Le sarò grato se vorrà scrivermi qualche cosa e la prego di credermi.

 

La collaborazione di Luigi Pirandello con il Corriere della Sera continuò ininterrottamente fino all’8 dicembre 1936, cioè 2 giorni prima della morte del Premio Nobel.

Precoce fu l’interesse dello scrittore verso il teatro. Già in una lettera ai familiari del 4 dicembre del 1887  Pirandello aveva soltanto venti anni – così scriveva da Roma:

 

Ieri sera sono stato al teatro Valle… alla rappresentazione della Morte civile, per Tommaso Salvini… Oh il teatro drammatico! Io lo conquisterò. Io non posso penetrarvi… senza provare una viva emozione… un eccitamento del sangue per tutte le vene… E’ la vecchia passione che mi vi trascina, e non mi entro mai solo, ma sempre accompagnato dai fantasmi della mia mente…

 

Il 9 dicembre del 1910 quello che Pirandello era un sogno diventa realtà. Al teatro Metastasio di Roma la compagnia “Teatro minimo” di Nino Martoglio rappresenta gli atti unici Lumie di Sicilia e La morsa. Mentre Lumie di Sicilia era una piece teatrale ricavata dalla novella omonima del 1910, la stesura de La morsa risale – pare – al 1892 e il soggetto della stessa andò sotto forma di novella nel 1897, a riprova della precocità teatrale di Luigi Pirandello. Fu un debutto che richiamò l’attenzione sull’autore, che cominciò a dedicarsi con molto impegno al teatro, fino a realizzare commedie rappresentate in tutto il mondo che contribuirono a fargli ottenere il Premio Nobel nel 1934.

 

Lumie di Sicilia

 

Le lumie di Sicilia sono grossi limoni profumati e nell’immaginario del protagonista dell’atto unico, Micuccio Bonavino che suona in una banda del paese l’ottavino, rappresentano l’ingenuità, la fedeltà e il ricordo del passato. Dopo una lunga malattia, che l’ha tenuto tra la vita e la morte, guarito grazie anche ad una somma di denaro fattagli pervenire dalla grande cantante Teresina Marnis, ora Sina, da lui scoperta, egli si reca in una città settentrionale per incontrarla e realizzare il loro sogno d’amore. Ma le illusioni amorose del giovane si scontrano con la nuova realtà. Sina non è più la ragazzina rozza che lui ha scoperto e ha fatto studiare in conservatorio, dopo aver venduto un podere; ha avuto un grande successo e conduce una vita libera. Resosi conto dello stridente contrasto, la sua reazione alla fine è violenta e ritira le profumate lumie che ha portato a Teresina dal paese.

 

SINA (facendo per accorrere): Oh! Le lumie!Le lumie!

MICUCCIO (subito fermandola) Tu non le toccare! Tu non devi neanche guardare da lontano! (Ne prende una e la avvicina al naso di zia Marta.) Sentite, sentite l’odore del nostro paese… – E se mi mettessi a tirarle a una a una su le teste di quei galantuomini là?

MARTA: No, per carità!

MICUCCIO: Non temete. Sono per voi sola, badate, zia Marta! Le avevo portate per lei… (Indica Sina.) E dire che ci ho anche pagato il dazio… (Vede sulla tavola il danaro, tratto poc’anzi dal portafogli; lo afferra e lo caccia nel petto di Sina, che rompe in pianto.) Per te, c’è questo ora. Qua! qua! ecco! così! E basta! – Non piangere – Addio, zia Marta! – Buona fortuna!

Si mette in tasca il sacchetto vuoto, prende la valigia, l’astuccio dello strumento, e va via.

Tela

 

Nella restituzione dei soldi inviatigli da Sina e nella negazione delle lumie, c’è un disprezzo viscerale da parte di Micuccio del successo ottenuto dalla cantante, dalla quale lo separa un passato sepolto che non può ritornare. Micuccio è un vinto che vive di ricordi e si è fermato, mentre Sina è una donna viva che ha trovato la sua strada. C’è in questo iato incolmabile, forse, anche il dramma dello scrittore che ha potuto raggiungere il successo, sacrificando sogni e persone care, fino ad affermare poi “la pazzia di mia moglie sono io”.

 

La morsa

 

La morsa è un bel titolo per riassumere in una parola la situazione di questo dramma, con la protagonista Giulia, presa in mezzo alla vigliaccheria dell’amante e all’irriducibilità vendicativa del marito. La donna non ha via d’uscita di fronte alla titubanza estrema dell’amante che teme che il marito abbia scoperto la loro relazione. L’amante non costituisce una valida alternativa al rapporto coniugale andato in frantumi. Ne approfitta il marito che le tende una rete, dicendole di averli visti amoreggiare, e la costringe al suicidio, senza concederle di vedere per l’ultima volta i figli. All’amante che accorre grida:”Tu l’hai uccisa!”.

In questo atto unico il gioco psicologico è molto più sottile rispetto a quello di Lumie di Sicilia e tiene il dramma lontano da ispirazioni veriste. Ancora una volta Pirandello sottilmente si schiera dalla parte della donna, che diventa in questo dramma vittima sacrificale.

 

ANDREA:… Comincerò daccapo, pe’ miei figli! Va’ via!

GIULIA: Andrea, uccidimi piuttosto! non parlarmi così! Ti chiedo perdono per loro: ti prometto che non ardirò più di guardarti in faccia… Per loro…

ANDREA: No.

GIULIA: Lasciami in casa per loro…

ANDREA: No!

GIULIA: Sarò la tua schiava!

ANDREA: No!

GIULIA: Te ne scongiuro…

ANDREA: No, no, no. Non li vedrai più.

GIULIA: Fa’ di me quel che vuoi…

ANDREA: No!

GIULIA: Ma sono pur miei!

ANDREA: Ci pensi ora? Ora? Ci pensa ora!

GIULIA: Sono stata una pazza…

ANDREA: Anch’io!

GIULIA: Sono stata una pazza; la mia colpa non ha scusa, lo so! Io non accuso che me… Ma un momento di pazzia, credimi. Ti amavo, sì! Mi sono sentita trascurata da te…

26 domenica Lug 2009

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agrigento, cultura, dialetto siciliano, letteratura - articoli, liolà, montalbano, pirandello, poesia, racconti, sciascia, sicilia, teatro, vino

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Luigi Pirandello RICORDO DI PIPPO MONTALBANO

ATTORE PIRANDELLIANO

 

Quando tu nascesti, tutti sorridevano,

                       solamente tu piangevi…

                                   Fa’ si che quando morirai, tutti

piangano e solamente tu sorrida

                                     (Anonimo Arabo)

Esergo di “A schiticchiata di Firticchiuni”

 Pippo Montalbano 2007, Premio Sikelè

Con la presentazione agli amici, ai colleghi di lavoro e di teatro, e ai suoi estimatori, della sua composizione “A schiticchiata di Firticchiuni” liberamente ispirata e tratta da “U schiticchiu” di Vincenzo Licata, pubblicazione curata dal figlio Salvatore, è stato ricordato nei giorni scorsi in maniera semplice e antiretorica l’attore agrigentino Pippo Montalbano – una vita intera la sua dedicata al teatro.

Non è facile tracciare il ricordo di Pippo Montalbano, in special modo a chi – come me – ha avuto la fortuna d’incontrarlo e di esserne stato a più riprese beneficato.

Il mio primo incontro è stato all’INPS di Agrigento, dove ho lavorato tre anni, dal marzo ’70 al febbraio ’73, mentre Pippo Montalbano vi prestava servizio già da due anni.

Pippo Montalbano, attore, 1970Conoscevo molto bene le sue doti di attore di teatro, grande interprete di commedie di Pirandello, ma subito mi colpì quel suo modo di essere naturale nella vita, così come sulla scena: umorista per vocazione e generoso per carattere. Sembrava che Pirandello avesse scritto le commedie – Liolà e Il Berretto a sonagli principalmente – proprio per lui. Nelle brevi pause lavorative, nel bar interno dell’INPS, Pippo Montalbano riusciva a sciorinare continue battute con immediatezza, dando estemporaneamente piccoli saggi di recitazione. Non erano digressioni a buon mercato, ma citazioni che avevano un senso di vita. Era la sua ricchissima umanità che traboccava sul lavoro, sulla scena, nella vita privata. Era un uomo di grande coerenza, un umile ma entusiasta Liolà in ogni occasione:

 

Non m’importa di nulla: so recitare

È mia tutta la terra e tutto il mare…

 

Mi sia passata la licenza di aver adattato i due versi del Liolà di Pirandello, sostituendo “cantare” con “recitare”, ma posso testimoniare – e con me lo potrebbero fare in tanti – che i due versi rispecchiano perfettamente il modo di essere e la gioia di recitare di Pippo Montalbano.

E con quanto sentimento l’avevo visto interpretare alla Settimana Pirandelliana il personaggio di Ciampa nel Berretto a sonagli, lui che per la sua creatura, La settimana Pirandelliana appunto, s’era sempre battuto strenuamente e, specialmente negli ultimi tempi, aveva dovuto subire non poche delusioni, per l’ interruzione della rassegna, che prima s’era tenuta regolarmente per molti lustri, anno dopo anno, con grande successo davanti alla casa Natale di Pirandello, splendido scenario naturale per le commedie pirandelliane:

 

“La cassa dell’uomo, signora, comporterebbe di vivere, non cento, ma duecent’anni! Sono i bocconi amari, le ingiustizie, le infamie, le prepotenze, che ci tocca d’ingozzare, che c’infràcidano lo stomaco! Il non poter sfogare, signora! Il non potere aprire la valvola della pazzia!” (Luigi Pirandello, Il berretto a sonagli, commedia)

 

Ma il suo grande cuore, la generosità verso gli altri, gli facevano superare le contraddizioni della vita, e il suo insegnamento dalla scena emergeva sempre e in ogni occasione genuino, così come del resto il suo modo di pensare, che possiamo riassumere negli ultimi versi della sua composizione “La schiticchiata di Firticchiuni”

 Pubblicazione di Pippo Montalbano

E lu penzu e dicu ca tuttu ‘u munnu sanu

avissi bisognu di un tempu stabilitu

ca si verificassi chistu purtentu arcanu:

ch’è chiddu di stari l’unu cu l’autru unitu,

senza ‘mmidia, gelosia, ma dànnusi ‘a manu;

fari di l’amuri regula prima e ritu.

Tantu… ‘a la fini di tutt’a salita

Chi ‘nni rimani chiù di la nostra vita?

 Pensionamento di Pippo Montalbano

Un poemetto giocoso, umoristico il suo, scritto per il suo pensionamento dall’INPS e per quello dei colleghi, Mimma Fiorino, Angela Restivo e Totò Vella, e intonato alla grande festa con una grande mangiata che ne era scaturita nell’ottobre del 2004. La sua composizione è un elogio al vino e al godimento del momento nell’abbondanza, a guisa di tante opere pirandelliane, dove vien fuori lo schietto modo di essere del popolo; ne  La giara, ad esempio:

 

“Zi’ Dima pensò di far festa quella sera insieme coi contadini che, avendo fatto tardi, rimanevano a passare la notte in campagna, all’aperto, su l’aja. Uno andò a far le spese in una taverna lì presso. A farlo apposta, c’era la luna che pareva fosse raggiornato.

A una cert’ora don Lollò, andato a dormire, fu svegliato da un baccano d’inferno. S’affacciò a un  balcone della cascina e vide su l’aja, sotto la luna, tanti diavoli: i contadini ubriachi che, presisi per mano, ballavano attorno alla giara. Zi’ Dima, là dentro, cantava a squarciagola…” (Luigi Pirandello, La giara, novella)

 

Oppure nel contrasto tra vita e morte della novella Sole e ombra, dove Ciunna, cassiere del magazzino generale dei tabacchi, che ha deciso di suicidarsi per non subire l’onta dell’arresto per essere stato costretto a rubare 2.700 lire per amore del figlio, disoccupato con cinque figli, vive una giornata godereccia e riesce a rinviare la fatale decisione:

 

La sala da pranzo s’era riempita d’una ventina d’amici del Ciunna e dell’Imbrò e gli altri avventori della trattoria si erano messi a desinare insieme, formando così una gran tavolata, allegra prima, poi a mano a mano più rumorosa: risa, urli, brindisi per burla, baccano d’inferno. (Luigi Pirandello, Sole e ombra, novella)

 

Ma il poemetto dialettale di Pippo Montalbano vuol essere un’occasione anche per qualche riflessione storica, pur in momenti giocondi, allietati dal sincero vino siciliano:

 

“Calibardi, s’avissi avutu scienza”

dissi, tuttu arrabbiatu, Lillu Penninu

“quannu sbarcà a Marsala, ‘na dispensa

s’avia accattari e vinniri lu vinu.

Cu st’Italia unita, n’cunfidenza,

ci sunnu sempri sciarri di continû.

Siddu s’avissi dda domiciliatu,

astura ognunu fussi sistimatu.

Ammeci lassà Marsala e lu vinu,

li sordi suli di Palermu si purtà.

Spuglià parrini, ricchi e pupulinu

e li sordi a Cavurru ‘l cunzignà.

‘Nzumma: nni cangià la vita e distino

picchì chistu bon vinu unn’assapurà.

‘U nostru stemma, a ditta di tutti,

‘a st’ura fussi ‘na putenti vutti.

 

PROFETA IN PATRIA

APPREZZATO DOVUNQUE

Pippo Montalbano, Nino Bellomo, Giovanni MoscatoUn attore non è amato soltanto per quello che recita e per come sa renderlo sulla scena. Un vero attore va amato oltre la sua professionalità: per quello che sa esprimere nella vita di relazione. Pippo Montalbano era l’uno e l’altro. Il suo stigma era l’umiltà, che non vuol dire modestia, ma che significa essere sempre se stesso, alla portata di tutti, popolare, senza orpelli, apparenze o nascondimenti. Anche nella recitazione dei brani per la presentazione di libri in sede locale teneva ad andare agli appuntamenti già preparato e non si negava a nessuno o declinava impegni. Una serietà la sua che è una caratteristica degli attori agrigentini.

Brani teatrali del mio romanzo “Una contrada chiamata Consolida”, di cui fa parte integrante un piccolo dramma “Falaride”, hanno avuto la fortuna nel novembre del 2004 di essere stati recitati da attori agrigentini: Pippo Montalbano, Nino Bellomo, Giovanni Moscato, Lia Rocco. Grazie a loro la sala Zeus del Palacongressi di Agrigento si riempì di oltre 200 spettatori, venuti ad ascoltarli. Mi è rimasta scolpita nel cuore la recitazione finale di Pippo Montalbano, nei panni di Falaride:

 

FALARIDE: (irato) Appare strano, o cittadini, come uno straniero voglia subornare voi giudici e venga ad intentare un processo alla mia persona senza averne l’autorità, trasformandolo in una tracotante accusa ed esautorandomi nella facoltà di decidere, ed esautorando il popolo stesso, da me delegato a giudicare secondo discrezione.

Ciò è oltraggio alle leggi, scritte e non scritte, divine e umane.

E poi quale sarebbe la mia colpa?

Quella di avere fatto grande e ricca una città?

Molti errori del passato sono stati riparati, ad altri si potrà porre rimedio.

Il mio primo ministro è uomo di talento, giusto e timorato: voi ne avete apprezzato già i pregi.

Non incorrete nell’errore della mia piccola isola, che anzitempo mi mandò in esilio ed oggi si pente di averlo fatto. Queste che io vi leggerò (tira fuori un messaggio) sono le parole di un cittadino di Astifalea che, dopo tanti anni di governo aristocratico, si continua a dolere della sua esistenza. Volete anche voi cadere in quest’inganno?

 

Legge recitando:

 

Maledetto paese

Lontano dalla civiltà,

tagliato fuori dal mondo intero!

Esecrabile è l’esistenza

In questa terra mediocre

Grigia

Senza orgoglio di patrie memorie

E di tradizioni

Senza stimolo di immaginazioni

O conforto di sognanti abbandoni…

 

Falaride viene interrotto da un improvviso volo di colombi. Guarda in alto e tutti l’imitano. Pitagora ne approfitta per prendere la parola.

 

PITAGORA: (puntando l’indice verso l’alto) Popolo di Akragas, guarda come una grande moltitudine di uccelli viene inseguita da un nibbio solitario! Basterebbe che i colombi avessero più animo per volgere in fuga il prepotente. Cosa può fare un uomo solo contro la coalizione di molti? Suvvia! Questo è il momento opportuno per liberarsi dalla tirannide (agita il pugno verso il tiranno, il popolo grida “morte al tiranno”).

 

Telemaco lancia un sasso verso Falaride, imitato dai popolani. La sassaiola si fa più fitta…

 

FALARIDE: (cercando inutilmente di parare i colpi con un braccio) Muoio! Morire ora… così… sulla pubblica piazza è una stoltezza, che tu, o popolo, pagherai a caro prezzo (cade).

 

La grande dote di Pippo Montalbano?

Rendeva grandi anche le cose piccole. Era il suo stile, la sua natura, quello di recitare sempre, in ogni luogo, per grazia ricevuta.

 

L’ULTIMO RECITAL

 Ultima recita di Montalbano

L’ultima recita di Pippo Montalbano è stata il 14 febbraio di quest’anno a Favara, nel recital tra musica e poesia “Viaggio nel mondo dei sentimenti”, organizzato dall’Associazione Culturale “Il libero canto di Calliope”, presieduto dalla poetessa Liliana Arrigo.

Fu felice di recitare dei brani di un mio racconto su un amore giovanile di Luigi Pirandello. Purtroppo, chiamato da impegni inderogabili fuori sede, non fui in grado di partecipare a quella grande manifestazione di amicizia, di signorilità, di disponibilità, che Pippo Montalbano mi tributò, con lo stesso impareggiabile spirito con il quale riusciva sempre a gratificare gli agrigentini che ne ammiravano la sua bravura.

 

La prima infatuazione di Luigi Pirandello a quindici anni

 

(brani dal racconto In famiglia, di Ubaldo Riccobono)

 

 

Jenny Schultz Lander Dieci anni aveva Giovanna; ma fanciulla in pieno rigoglio, ne dimostrava almeno quindici. E bella era, anzi bellissima, leggiadra come una piccola dea, con le treccine nere e gli occhi grandi di Madonna. Luigi l’incontrava spesso sul portone di casa, o per la via, sempre accompagnata dal padre oppure dalla madre, o a volte dalla sorella maggiore; e quelle sue labbra di corallo e gli occhi sfavillanti gli facevano sognare i primi baci d’amore e in segreto lo facevano smaniare. Quando Giovanna passava, i loro sguardi s’incrociavano per un attimo ed egli, alla sua vista, si sentiva rimescolare e borbottava un saluto sommesso e precipitoso, arrossendo sin nel bianco degli occhi.

Chiuso nella sua cameretta a studiare, di pomeriggio, se ne stava lungamente a meditare e i suoi pensieri volavano subito a lei, che stava al piano di sopra. Era una malia: possibile che una bambina di appena dieci anni potesse destargli quei sentimenti?

Avrebbe voluto vederla, parlarle a lungo, farla sorridere allegramente, come quando la sorprendeva per strada in conversazioni fitte fitte e innocenti coi familiari, ilare e disincantata. A costo di apparirle stupido, quante parole tenere le avrebbe sussurrato, se avesse avuto la fortuna di starle vicino per qualche momento.

 

Luigi fu al settimo cielo perché Giovanna ora scendeva spesso a trovare la sorella Annetta e, se avesse voluto, egli avrebbe potuto vederla in qualsiasi momento. Ma era stranamente ritroso: forse l’età di lei lo intimidiva,  o forse temeva di mancare di delicatezza nel rivolgerle la parola, perché intuiva che le ragazze era abili a leggere perfino nei meandri del cuore. Le rare volte che entrava, con il cuore in tumulto, nella stanza delle sorelle, quella visione angelica della fanciulla, che gli si rivolgeva con un meraviglioso sorriso, gli destava un desiderio impetuoso e folle di baciarla.

 

L’idillio sbocciò improvviso: era un giorno tiepido di primavera e Luigi s’era messo a studiare sul balconcino. Ogni tanto distoglieva lo sguardo dal libro che stava leggendo e, mettendo un dito per segno tra pagina e pagina, volgeva lo sguardo verso l’alto, al balconcino della stanzetta di Giovanna. Lei, quel giorno, apparve, celestiale visione, e sporgendosi gli rivolse per la prima volta la parola.

Pur potendo parlare a piacimento, i loro furono dialoghi timidi, frasi spezzate, discorsi indeterminati. Quando rimaneva solo, Luigi si diceva ch’era uno stupido: avrebbe potuto dirle tante cose. Dirle ad esempio che le voleva bene. Ma sempre, quand’era il momento, credeva di compromettersi troppo con parole definitive, serie, da grandi, che forse riteneva false; e desisteva. Era diventato un gioco tra loro, che si parlavano solo al balcone e mai

allorchè la fanciulla scendeva a trovare Annetta. E come in un gioco, a Luigi venne l’idea di mandarle dei messaggi, nei quali poterle esprimere i suoi sentimenti. La prima volta, scrisse un breve pensiero su un foglio di carta, lo avvolse ad un piccolo sasso e, con timore e mille titubanze, lo lanciò nel balcone di sopra.

 

Luigi cominciò a tempestarla di biglietti, sempre più coraggiosi; lei, sì, stava al gioco, ma si mostrava sempre la stessa, indecifrabile. Un giorno che s’era sporto più del dovuto per lanciare un biglietto, Luigi rischiò di cadere di sotto. Riuscì ad aggrapparsi all’inferriata all’ultimo momento, ma per fortuna se l’era cavata con un dente scheggiato.

Rientrato stanco dal lavoro, il padre, messo al corrente dell’accaduto, si arrabbiò. I biasimi del padre misero fine alla corrispondenza amorosa: pochi mesi più tardi, la famiglia di Giovanna andò a vivere in una città del nord, dove il padre era stato trasferito.

 

DEDICHE ALL’ATTORE

 

Nino Agnello, poeta, scrittore, saggistaGrande Finale

di Nino Agnello

 

Voce gesto corpo

Grido d’anima che se ne va

dietro le quinte di palcoscenico astrale.

 

Noi qui, astanti smarriti,

pronti a recitare l’ultimo atto

del suo capolavoro – la vita vissuta –

appena ricompare in punta di piedi

il regista, lui

l’eterno Liolà della Valle.

 

Siamo già coro compatto all’applauso,

al grande finale che l’incoroni

Maestro del dramma

che resta tutto per noi.

 

Lodi

a lui che ci precede,

a noi

il rimpianto dell’incompiuta

ultima cena in comune.

 

Università St.Andrews (Scozia) Lezione Sulla scena vuota

 di Ubaldo Riccobono

 

Sulla scena vuota

– dove parole erompevano

ed erano applausi

dalla platea formicolante –

la recitazione è conclusa.

 

In un’eco sonora

soltanto il ricordo

può effondersi ora

e durare in eterno.

 

Un marzo avaro di primavera

chiude il sipario di una vita

ma il tempo non potrà cancellare

nei cuori il Sogno dell’attore.

 

 

 

BIOGRAFIA DELL’ATTORE

 

Pippo Montalbano nasce ad Agrigento l’1 febbraio 1940. Esordisce a 14 anni, con "Pinocchio" di Collodi. Con alcuni amici fonda, nel 1963, la Compagnia di Prosa "Maschere Nude" che, nel 1965, è diventata la cooperativa ‘Piccolo Teatro Pirandelliano Città di Agrigento’ e nel 1989 ‘Piccolo Teatro Città di Agrigento’.  Dal 1 aprile 1968 al 30 aprile 2004 presta attività lavorativa presso l’INPS di Agrigento.
I registi teatrali e cinematografici con i quali ha collaborato sono:
Filippo TORRIERO, Ruggero JACOBBI, Emanuele PAGANI, Francesco ROSI, Giuseppe DI MARTINO, Andrea CAMILLERI, Gianni SALVO, Guglielmo FERRO, Silvio BENEDETTO, Marco PARODI, Fernando BALESTRA, Pino PASSALACQUA, Josè Maria SANCEZ, Alessandro DE ROBILANT, Marco Tullio GIORDANA, Roberta TORRE, Alberto SIROLI, Fabrizio CATALANO SCIASCIA, Giulio BASE, Graziano DIANA.

Principali rappresentazioni teatrali:

Luigi PirandelloDi Luigi Pirandello: LIOLA’, nei panni del protagonista dal 1973 al 1993, con quattro diverse edizioni e regie. Con l’edizione del 1976, della quale ha curato anche la regia, ha vinto il 2° premio al festival nazionale d’arte drammatica di Pesaro. Con l’edizione del 1986, con regista Gianni Salvo, ha vinto il premio come migliore attore protagonista della 4^ rassegna ‘Teatroclassicoggi’ di Mantova, anno 1992. Nel 2005, in una nuova messa in scena presentata alla XXXIII settimana Pirandelliana, ha interpretato il ruolo del co-protagonista don Simone.
CAPPIDDAZZU PAGA TUTTU di Pirandello-Martoglio, nel ruolo del protagonista don ‘Nzulu con la quale, nel 1985, ha vinto il festival nazionale d’arte drammatica di Pesaro.

Sempre di Luigi Pirandello ha interpretato:
COSI’ E’ (SE VI PARE), in tre diverse edizioni e, rispettivamente nei ruoli del consigliere Agazzi, del signor Ponza e di Lamberto Laudisi.
IL BERRETTO A SONAGLI, in quattro diverse edizioni e regie (alcune delle quali hanno previsto l’utilizzazione del testo dialettale ‘A BIRRITTA CU I CIANCIANEDDI dello stesso autore) nel ruolo di Ciampa.
PENSACI GIACOMINO, in tre diverse edizioni e regie.
‘A LA CALATA D’O SULI, della quale ha curato elaborazione testi e regia.
LA SAGRA DEL SIGNORE DELLA NAVE, in tre diverse edizioni e regie.
L’UOMO, LA BESTIA E LA VIRTU’, in due diverse edizioni e regie.


E ancora:


MA NON E’ UNA COSA SERIA – LA NUOVA COLONIA – LUMIE DI SICILIA – LA GIARA – LAZZARO – IL GIOCO DELLE PARTI – ‘U CICLOPU – VESTIRE GL’IGNUDI – IL PIACERE DELL’ONESTA’ – ‘A VILANZA di Pirandello/Martoglio

Interpretazioni di autori vari:
IL TEATRINO DI DON CANDELORO da G. Verga di Maricla Boggio
Leonardo SciasciaL’ONOREVOLE di Leonardo Sciascia in tre diverse edizioni e regie
IL RE MUORE di Jonesco
IL MARCHESE DI RUVOLITO – SAN GIOVANNI DECOLLATO di Martoglio
NOZZE DI SANGUE di Federico Garciaa Lorca
LA LUPA di Giovanni Verga
IL CAMALEONTE di Lo Presti
EUFROSINA di A. Zaccaria
SABATO, DOMENICA E LUNEDI’ di Eduardo De Filippo
IL VITALIZIO da Pirandello di Andrea Camilleri, in due diverse edizioni e regie
IL BELL’ANTONIO da Vitaliano Brancati, di Antonia Brancati – con Paolo Calissano e Guia Jelo
IL GIORNO DELLA CIVETTA da Leonardo Sciascia, di Gaetano Aronica – con Giulio Base e Milena Miconi – Regia di Fabrizio Catalano Sciascia. Con questo testo sono state effettuate due importanti tournèe invernali, nei mesi di gennaio/marzo del 2006 e del 2007, recitando nei più importanti teatri italiani.
MALERBA E LA LUPA di G. Volpe (da LA LUPA di G. Verga) nel ruolo di Malerba.
LUNA PAZZA da L. Pirandello di e regia di Gaetano Aronica, con Daniela Poggi.

 

Esperienze televisive e cinematografiche:

Anno 1974 – LE CHAMIN DE LA CROIX per conto della televisione nazionale francese, canale 2 di Marsiglia
Anno 1978 – LA MANO SUGLI OCCHI, tre puntate su RAIDUE, sceneggiato tratto dal Romanzo di A. Camilleni “Il corso delle cose”. Protagonisti: Leopoldo Trieste, Ida Di Benedetto, Massimo Mollica, regia di Pino Passalacqua
Anno 1982 – WESTERN DI COSE NOSTRE, tre puntate su RAIDUE, con Domenico Modugno, Raimond Pellegrin, regia di Pino Passalacqua
Anno 1993 – IL GIUDICE RAGAZZINO, con Giulio Scarpati, Sabrina Ferilli, regia di Alessandro De Robilant
Anno 1995 – UNA MADRE INUTILE, con Leo Gullotta, Athina Cenci, regia di Josè Maria Sanchez
Anno 1999 – I CENTO PASSI, con Tony Sperandeo, Luigi Burruano, Luigi Lo Cascio e la regia di Marco Tullio Giordana.
Il film, presentato alla 52^ mostra del cinema di Venezia, ha vinto il Leone d’oro per la migliore sceneggiatura ed è stato scelto per rappresentare l’italia per l’assegnazione dell’oscar del 2001. Ha vinto cinque “DAVID DI DONATELLO” nel 2001. il film è stato proiettato in tutte le più importanti sale italiane ed estere ed è stato e continua ad essere trasmesso da tutte le televisioni italiane ed internazionali. Viene utilizzato, spesso, per arricchire incontri e dibattiti sulla legalità e contro la violenza mafiosa.

Andrea Camilleri Anno 2000- “TOCCO D’ARTISTA” dalla serie del “Commissario Montalbano” di Andrea Camilleri, regia di Alberto Siroli, con Luca Zingaretti, trasmesso da RAI/DUE in prima serata, il 16.05.2001, e più volte replicato.
Anno 2001 -“ANGELA”, per la regista Roberta Torre, film che ha partecipato al Festival del cinema di Cannes del 2002
Anno 2002- “LA MEGLIO GIOVENTU”, con Luigi Lo Cascio, Alessio Boni, regia di Marco Tullio Giordana. Il film ha partecipato al festival di Cannes del 2003, vincendo il premio speciale “un certain regard”. Ha anche inaugurato la 50^ edizione del film-festival di Taormina il 7 e l’8 giugno 2003.
Anno 2005- “TAROCCHI DI SANGUE”, dalla serie “DON MATTEO”, trasmessa da RAI/UNO, in prima serata, il giorno 1 febbraio del 2006, con Terence Hill, Nino Frassica, Flavio Insinna, regia di Giulio Base. L’episodio è stato replicato, su RAI/UNO, il 01.07.07 ed il 26.08.08.
“THE INQUERY”, film storico-religioso ambientato al tempo di Gesù Cristo. Girato in lingua inglese tra la Tunisia e la Bulgaria, cooproduzione Italo-Americana con Daniele Liotti, Monica Cruz, Ornella Muti e il Premio Oscar Murray Abraham, due puntate trasmesse da RAI/UNO il 2 e il 3 aprile 2007, in prima serata.
Anno 2006- “MARASCIA’…un eroe antimafia”,nel ruolo del maresciallo Giuliano Guazzelli, ucciso dalla mafia nei 1989. E’ stato realizzato un DVD distribuito in Italia dall’Assoc. Culturale “Dietro le quinte”.
Anno 2007-“UNA VITA RUBATA” film tratto da un fatto di cronaca con protagonista Beppe Fiorello e la regia di Graziano Diana. Il film è stato trasmesso da RAIUNO, in prima serata, il 10.03.08.

 

Riconoscimenti

 Pippo Montalbano 2007, Premio Sikelè

1976: premio “LA ROSA DI PESARO” al 29° festival nazionale d’arte drammatica.
1985: premio “LA ROSA DI PESARO” al 38° festival nazionale d’arte drammatica.
1987: premio “MASCHERE NUDE”, 3’ edizione, comune di Porto Empedocle.
1988: premio speciale “LA TORRETTA D’ORO” città di Grotte.
1988: premio speciale “CIULLO D’ALCAMO” come migliore attore protagonista nel ruolo di LIOLA’ al teatro di Alcamo.
1992: premio speciale come migliore attore protagonista alla rassegna nazionale “TEATROCLASSICOGGI” di Mantova.
1992: premio speciale “SCENA” alla carriera, comune di Zafferana Etnea.
1997: premio “PIRANDELLO NEL CUORE”, comune di Porto Empedocle.
1998: premio “SALVO RANDONE” come migliore attore protagonista nel personaggio di Marabito del “VITALIZIO”, al 6° festival nazionale teatro di base città di Sciacca.
1999: premio “EURAKO ’99”, come migliore attore protagonista, nel ruolo di CIAMPA de “Il berretto a sonagli”, a Termini Imerese.
1999: premio speciale alla carriera “TELEACRAS-PUNTO FERMO” Agrigento.
2001: premio “ALESSIO DI GIOVANNI” per i successi teatrali e cinematografici.
2001: premio internazionale “CAOS” 2001 per tutti i personaggi pirandelliani a cui ha dato vita e vigore e per essere l’unico attore sempre in scena in tutte le 28 edizioni della “SETTIMANA PIRANDELLIANA”.

2007: Premio Sikelè per il teatro

15 lunedì Dic 2008

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letteratura - articoli, pirandello, saggi, sciascia, teatro

EDITORE PER CASO

 Il fuoco e la ragione, saggio su Pirandello e Sciascia

Pirandello in love

Gli editori e i tipografi hanno i loro tempi biblici. Così, dopo infinite traversie per presentare al pubblico i miei due libri, su carta stampata, ho preso il coraggio a due mani e ho deciso di pubblicare in proprio, acquistando i codici ISBN individuali e appoggiandomi ad una tipografia di Caltanissetta, la Lussografica, solerte ed efficiente, che mi ha fatto recuperare remore non indifferenti. Così oggi divento editore di me stesso. Situazione forse “pirandelliana”, i cui risultati sapremo dai posteri per un’ardua sentenza; ma, per intanto, il dado è tratto e resta il piacere di far vedere la luce – come figli –  a due libri dalla veste grafica accurata, contenuti in un cofanetto elegantissimo. Due volumi che escono assieme, all’insegna di Pirandello, perché nel saggio su Pirandello e Sciascia, “Il fuoco e la ragione”, traccio un identikit sciasciano di marca pirandelliana, così come asseriva pubblicamente Il Maestro di Regalpetra stesso, di sentirsi cioè figlio di Pirandello. E poi, ad impreziosire cofanetto e volumi, ci sono due splendidi dipinti del maestro Vincenzo Sciamè, che mi onora della sua gratificante amicizia. Ne “Il fuoco e la ragione” spicca il soggetto  “Maschere nude”, mentre nella commedia “Pirandello in love” è riprodotta “La rosa”, una meravigliosa rosa rossa recisa sul palcoscenico: entrambi i quadri costituiscono due pezzi pregiati della grande mostra tematica “Pirandello e la luna nel Caos”, che Vincenzo Sciamè tenne alla Biblioteca-Museo “Luigi Pirandello” nel 2007 e ripresentò poi a novembre dello stesso anno nella sua Sambuca di Sicilia, nell’ambito della più corale "personale", intitolata “Elegia del rosso”.  E la presenza dominante del rosso dei due quadri ben si presta a rappresentare, sin dalla copertina, il tema dell’incandescente e magmatica arte pirandelliana, in contrapposto alla ragione ma non in antitesi, e il fuoco dell’amore della commedia Pirandello in love.

 

IL FUOCO E LA RAGIONE

Università St.Andrews (Scozia) Lezione St. Andrews Teatro e Aula Magna dell

Il saggio offre spunti di riflessione sulla letteratura di Pirandello e Sciascia, focalizzandosi su genesi e filiazioni, itinerari comuni e non, identità, contiguità, convergenze e differenziazioni; nonché tracciando attraverso brevi flash il loro laboratorio poetico e evidenziando per grandi linee lo spessore europeo del loro magistero letterario. Il saggio è stato illustrato all’University di St. Andrews, la più antica di Scozia. (Dalla quarta di copertina)

 Il fuoco giusto e la ragione Quarta di copertina ok giusta 2 Immagine-197

 

PIRANDELLO IN LOVE

Jenny Schultz Lander Antonietta Portulano, moglie di Pirandello Marta Abba

La vita o si vive o si scrive, affermava Luigi Pirandello. E in effetti la sua vita rappresentò un dramma amletico, divisa come fu tra l’Arte, l’amore supremo, e le donne, che tutte sacrificò per perseguire il suo sogno di scrittore: la cugina Linuccia, la tedesca di Bonn Jenny Schulz-Lander, la moglie Antonietta Portulano e, sullo sfondo, la passione senile per la grande Marta Abba. Si tratta di tre atti intensi, che rivelano aspetti nuovi del modo di sentire del Premio Nobel, nel suo rapportarsi con le donne e con la famiglia. (Dalla quarta di copertina)

Pirandello giusto in love Quarta di copertina giusta 2 Immagine-198

 

 

 

06 sabato Dic 2008

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agrigento, gaetano savatteri, liolà, musica, pianoforte, pirandello, racalmuto, racconti, sciascia, teatro

LA MUSICA DI PIRANDELLO
Ediardo Savatteri, pianista agrigentino 
IL VALZER DI LIOLA’
 
Leonardo Sciascia«A somiglianza di una celebre definizione che fa dell’universo kantiano una catena di causalità sospesa a un atto di libertà, si potrebbe» dice il maggior critico italiano dei nostri anni «riassumere l’universo pirandelliano come un diuturno servaggio in un mondo senza musica, sospeso ad una infinita possibilità musicale: all’intatta e appagata musica dell’uomo solo»    (Leonardo Sciascia, Todo modo)
 
La musica dell’uomo solo pirandelliano è la stessa musica dell’uomo sciasciano, che in particolare nel romanzo Todo modo, di fronte al terrifico potere metafisico che lo trascende, è costretto all’atto gratuito di marca gidiana, a un delitto emblematico, che testimonia esemplarmente, con la ribellione singola, l’unica possibilità che è data per uscire dal ginepraio.
Edoardo Savatteri, pianista agrigentinoE questa musica, sciasciana e pirandelliana a un tempo, sembra averla assimilata come modo di essere, un giovane compositore di talento, il pianista Edoardo Savatteri, cresciuto si può dire nel mondo di Sciascia, a due passi dalla contrada Noce di Racalmuto, dove lo scrittore racalmutese si ritirava a meditare tutte le sue opere.
Edoardo Savatteri non è un pianista nato per caso: la musica è per lui l’essenza e l’estrinsecazione “filosofica” della sua anima, tanto da avere intrapreso per vocazione gli studi di filosofia, che insegna ora nei licei: un musicista che concepisce la musica come filosofia, e la filosofia come musica. Non una filosofia “orecchiata”, ma vissuta, ascoltata, filtrata attraverso le parole dei genitori, amici intimi di Leonardo Sciascia, che conservano memorie e documenti unici del grande scrittore della ragione. E con la tesi di laurea Edoardo Savatteri non poteva tradire questa vocazione familiare: “Influssi storico-filosofici del ‘900 spagnolo nel pensiero di Leonardo Sciascia”, questo è il titolo della sua brillante dissertazione all’Università di Palermo. E del suo curriculum prestigioso non potevano non fare parte integrante e sostanziale le musiche dal vivo per spettacoli teatrali, come “La luna lo sa” con la regia di Marco Parodi, “Quando si è capito il giuoco” con la regia di Matteo Tarasco, “Fa che non ti manchi la voce” con testi e regia di Alfonso Gueli, altro agrigentino doc, “Questo amore” con la regia di Giovanni Volpe. Rodatosi alla grande con interventi musicali in manifestazioni culturali, come i caffè letterari dei Parchi letterari “Pirandello” e “Tomasi di Lampedusa”, Edoardo Savatteri ha composto ed eseguito musiche di scena per spettacoli teatrali del “Piccolo Teatro Pirandelliano”, raggiungendo l’apice con “Il valzer di Liolà”, che ieri ha eseguito in un suo concerto al Teatro della Posta Vecchia, con richiesta meritatissima di bis “a furor di popolo”.
Edoardo Savatteri, pianista agrigentinoIn effetti, l’interpretazione musicale di Savatteri è una tra le migliori critiche letterarie sull’opera teatrale di Luigi Pirandello “Liolà”, commedia campestre del 1916 in tre atti (in lingua agrigentina, come fecero notare competenti critici), in versione italiana nel 1927, rappresentata però soltanto nel 1942 dalla Compagnia Tofano-Rissone-De Sica, al Teatro Nuovo di Milano, a morte avvenuta dello scrittore (10 dicembre 1936), il cui anniversario ricade tra quattro giorni.
Pedissequamente la critica andò a rimorchio della definizione di Pirandello “commedia campestre” e “gioconda che non par mia”, che metteva l’accento sulla parte folclorica e disinvolta, forse per l’esigenza d’attirare l’attenzione, visto che l’opera nasceva in dialetto ed era rappresentata dalla Compagnia Angelo Musco, che della sicilianità faceva il suo cavallo di battaglia.
Invece nel canto di Liolà – e Pirandello lo sapeva – c’è più di una semplice espressione di vita campestre alla maniera verghiana; emerge imperiosamente la scissione della personalità del personaggio, diviso tra il voler vivere l’amore fino alle estreme conseguenze con una donna e il non poterlo essere per i casi e le incomprensioni della vita. C’è, insomma, il dramma d’un originario genuino candore, che stenta e non può rimanere tale per gli altri, dissidio ineludibile già preconizzato nel nome stesso, Liolà, come evidenzia lo stesso Pirandello:
 
E’ questo è LI, e questo è O, e LA’
e tutt’e tre che fanno LIOLA’!
 
Non a caso la commedia nasce dalla costola de Il fu Mattia Pascal, da quell’ambivalenza della vita già sperimentata drammaticamente da Mattia-Adriano Meis.
Edoardo Savatteri, pianista agrigentinoIl valzer di Edoardo Savatteri è una geniale composizione, che sintetizza in musica, in maniera intimamente aderente, il dramma dell’uomo solo e la pena di vivere così del personaggio. Si è grandi compositori quando nella musica si fanno immaginare scene e parole. In ciò Savatteri raggiunge il diapason, con registri apparentemente gioiosi, a rappresentare la voglia di vivere, alla stregua di quanto diceva il drammaturgo, ma che sottendono una tristezza di fondo e una rassegnazione ad un destino che non può o non si può cambiare. La musica traduce fedelmente questo clichè, lasciando quasi riaffiorare alla memoria degli ascoltatori la musicalissima canzone di Liolà:
 
Io, questa notte, ho dormito al sereno;
solo le stelle m’han fatto riparo:
il mio lettuccio, un palmo di terreno;
il mio guanciale, un cardoncello amaro.
Angustie, fame, sete, crepacuore?
non m’importa di nulla: so cantare!
canto e gioia mi s’allarga il cuore,
è mia tutta la terra e tutto il mare.
Voglio per tutti il sole e la salute;
voglio per me le ragazze leggiadre,
teste di bimbi bionde e ricciolute
e una vecchietta qua come mia madre.
 
Un Liolà che rimarrà solo, dopo aver avuto tante donne e nemmeno un poco d’amore, ma che accetterà l’ennesimo frutto dei suoi amori:
 
Non piangere! Non ti rammaricare!
Quando ti nascerà, dammelo pure.
Tre e uno quattro! Gl’insegno a cantare.
 
MUSICA VECCHIA
 
Il Valzer di Liolà di Savatteri è musica moderna e attuale, che però non infirma, anzi riafferma, la validità della musica del passato e le diverse versioni musicali date alla piéce pirandelliana.
 Rappresentazione musicale di Liolà 1935
La musica fu componente essenziale dell’opera pirandelliana, perché in tutti i testi delle sue opere c’è una progressione e una musicalità interna che vanno carpite per gustarne appieno la letterarietà e l’umorismo.
A ragion veduta Leonardo Sciascia parlò e s’informò alla musica dell’uomo solo pirandelliano, che riscontrò quotidianamente nel corpus delle sua sterminata produzione. Pirandello era consapevole che la musica era in grado di evidenziare tutte le gradazioni dell’umorismo e più volte torna a sfruttarne gli argomenti. Per tutte citiamo le novelle “Zuccarello distinto melodista” e “Leonora addio”; da quest’ultima trasse la celebre commedia “Questa sera si recita a soggetto”.
Nella novella “Musica vecchia” (apparsa per la prima volta nel 1910 sul Corriere della Sera) Pirandello volle narrare ex professo il contrasto tra musica vecchia e sue contaminazioni e musica nuova e sue eterodossie, non per vezzo, ma per poter sancire da tale contraddizione il dramma dell’esclusione: un musicista e compositore che ha sbarcato il lunario in America, Icilio Saporini, che vuol rientrare nella vita romana che nel frattempo è cambiata irrimediabilmente.
 
Il maestro di musica, che suona il pianoforte,  in America per sessant’anni, aveva fatto fortuna, e ora vuol goderne i frutti in patria.
 
“A giudicar dall’apparenza, la professione del maestro di musica italiano doveva aver fruttato bene; il maestro Icilio Saporini doveva aver raccolto una discreta sommetta, con la quale aveva potuto attuare il sogno, chi sa quanto vagheggiato là, di venire a chiudere gli occhi in patria. Ma forse, povero vecchiettino, si figurava di ritrovar Roma quale l’aveva lasciata nel 1849. Roma, la sua Roma, quella che viveva per lui, nei suoi ricordi lontani, era invece sparita; scomparsi, morti, tutti i conoscenti della sua generazione. Arrivando da lontano, da tanto lontano, non s’immaginava certo di dover trovarsi davanti a un’altra lontananza irraggiungibile: quella del tempo” (Pirandello, Musica vecchia)
 
Rientrare nella vita? Agli occhi della figlia  di una sua antica fiamma, la signorina Milla, dalla quale va in visita, rimane uno sperduto che non riesce a trovar posto, non solo nel presente, ma anche nel passato, in quel mondo d’allora. “Come niente era adesso, niente era stato anche allora”.
Mettendo piede nel “salotto” della signorina Milla, non riesce a trovare però quello che cercava.
 
“Ma il piacere d’aver ritrovato questo posticino, questo cantuccio dei ricordi, cominciò in breve ad essergli amareggiato da quel pianoforte lì, da quegli altri strumenti musicali, che lo intronavano, che lo intontivano addirittura, con certe zuffe di suoni, ire di Dio, che facevano andare in visibilio tutti quei signori, stranieri per la maggior parte, che si riunivano nel salotto antico del maestro Rigucci, del maestro Rigucci adoratore di Rossini! E più di tutti facevano andare in visibilio la nipote del maestro Rigucci, la figlia di Margherita Donnetti-Rigucci!”
(Pirandello, Musica vecchia)
 
Alla signorina Milla, Icilio Saporini osa obiettare che i forestieri la musica l’intendono così, ma “noi abbiamo la nostra musica, le glorie nostre: Paisiello, Pergolesi, Rossini, Bellini, Donizetti, Verdi….”
Saputolo, il tedesco Begler, amico della signorina Milla, gli organizza uno scherzo con gli altri musicisti, interrompendo un suo concerto con il Rigoletto, tra simulate risate generali, e definendo, quella di Verdi, musica di bersaglieri.
Il vecchietto reagisce, ma viene oltraggiato con altri scherzi, fino a non mettere più piede nel salotto della signorina Milla.
In seguito, quest’ultima scopre un’arietta di Icilio Saporini dedicata alla madre e. quando viene a sapere che il maestro di musica è sul letto di morte, prende accordi con il Begler e assieme vanno a casa Saporini. Dall’altra stanza, all’insaputa del morente, il Begler esegue l’arietta e il vecchietto tra le lacrime bisbiglia il nome della madre della signorina Milla: “Margherita”. Ma all’improvviso scatta un beffardo PIROLI’.
 
“Il vecchietto ebbe un sussulto; come colpito, riabbandonò il capo che aveva sollevato appena dai guanciali, quasi attratti dal canto. E non lo rialzò più” (Pirandello, Musica vecchia)
 
Conclusione crudele del dramma dell’esclusione e dell’impossibile recupero di un mondo e d’un’innocenza perduta.
 
LA PIANISTA E L’UFFICIALE
 
(da un diario dimenticato)
 
Il padre della pianista1. Il nonno portava al mare mia madre e le sue sorelle alle sette del mattino. La decisione veniva presa il giorno prima, a pranzo. Era ammesso il rifiuto soltanto per motivi di salute, giustificato da Monsieur Lepic, il medico di famiglia, un francese burbero e poco accondiscendente, che curava con purghe e tisane. Le ragazze lo avevano soprannominato Barbablù, per via della sua barba lunga e folta e della sua voce cavernosa; ma in fondo sapevano che non aveva mai fatto torto a nessuno e, quando riuscivano a fargliela franca, inventando malesseri inesistenti, ci facevano su quattro risate.
2. L’aria non era ancora torrida e l’acqua era fredda, quando le ragazze si bagnavano più per costrizione che per diletto: se qualcuna non aveva voglia, mio nonno stabiliva il da farsi sul posto; ma in genere intimava di bagnarsi, perché – diceva – il mare «diaccio» avrebbe fortificato il corpo e lo spirito. Mia madre aveva cinque sorelle e tre fratelli. Questi ultimi non potevano andare al mare insieme con le sorelle, ma preferivano andare con lo zio Natalino, un capitano di lungo corso, che in vita sua ne aveva fatte di cotte e di crude, e aveva un modo tutto suo di raccontare le avventure. I ragazzi si divertivano un mondo ad interrogarlo sui suoi amori e sulle vicissitudini di guerra.
Nei suoi racconti non si sa quanto c’era di vero e quanto fosse pura fantasia: a lui piaceva raccontare, come ai ragazzi ascoltare.
3. Delle giornate trascorse al mare, mia madre ci narrava quelle di Leptis Magna, tra ruderi antichi e macchia mediterranea, con tutta la famiglia riunita: gli zii, i cugini e altri parenti. Raramente partecipavano gli amici, peraltro pochi e contati sulle dita di una mano. I servi arabi imbandivano tavolate piene d’ogni bendiddio. I ragazzi sciamavano sulle balze sabbiose o se n’andavano sulla spiaggia deserta a perdita d’occhio. Qualche volta nascevano romanzetti platonici tra cugini: sguardi furtivi, sorrisi, messaggi recapitati, nulla più! I ragazzi si scambiavano confidenze nei crocchi; le ragazze riportavano tutto sui gelosi diari. I fidanzamenti tra cugini erano stati proibiti dal nonno e nessuno aveva mai osato contraddire.
4. Quale primogenita e preferita, a mia madre fu data l’opportunità di studiare il pianoforte. Tutti i giorni alle ore convenute   veniva l’insegnante per le lezioni teoriche, cui facevano seguito i solfeggi e le esercitazioni alla tastiera. Dopo alcuni mesi fu deciso di tenere, in pubblico, il primo concerto a quattro mani, per i parenti e qualche amico. Fu lì che mia madre e mio padre si conobbero. Nonostante fosse poco espansivo per le cose intime, mio padre faceva un’eccezione quando si parlava del talento di mia madre. Dire che rimaneva estatico al solo ricordo, è dire poco. Egli poteva snocciolarci tutte le romanze che erano state suonate, conoscendo a memoria le canzoni, che talora egli stesso canticchiava sottovoce.
5. Mio nonno aveva notato il tenente dell’esercito che sedeva in prima fila a tutti i concerti: gli andò subito a genio! Lo avevano colpito l’aria composta e lo sguardo chiaro, dal quale traspariva la serietà degli intenti. Genero e suocero (siciliano e lucano) s’incontravano nel parco della villa di Homs, edificata dal mio bisnonno, console di Libia. Prendevano il tè, barattando poche parole con stile formale, e non avevano altra compagnia, se non dei servi arabi che andavano e venivano, portando quanto occorreva, secondo le indicazioni. Entrambi accaniti fumatori, intercalavano i loro discorsi, nudi e scussi, fumando, lungamente e tacitamente, in giardino. Era ammessa soltanto mia madre per i fugaci saluti di promessa sposa.
6. Al matrimonio, che si celebrò nel parco della casa di famiglia, furono invitati soltanto gli intimi: un centinaio di persone che, dopo la cerimonia officiata dal vescovo, si sparsero nei giardini, seguiti dai servi arabi con i rinfreschi. A sedici anni, la sposina, avvezza a vivere da sempre in famiglia, ancora non aveva cognizione dei compiti che l’attendevano. Lei si divertiva come se il ricevimento non la riguardasse e si trattasse della consueta festicciola, con le solite chiassate dei ragazzi alle spalle dei grandi e dei servi. Dodici anni più grande, lo sposo invece appariva contegnoso nella sua divisa impeccabile d’ufficiale e in questo modo si pavoneggiava nel gruppo degli anziani. 
7. Quindici giorni più tardi mia madre lasciò l’Africa, per andare a vivere a Capaci, a pochi chilometri da Palermo. Colle lacrime agli occhi, sul ponte della nave, vide allontanarsi nella foschia il continente e tutta la sua gioventù.
La casa dei suoceri, all’uscita del paese, era immersa nella campagna; ma, troppo angusta per due famiglie, vi si stava allo stretto. Abituata agli spazi della casa paterna, mia madre si sistemò alla bell’e meglio in due stanzette, ma ottenne la promessa da mio padre che si sarebbero trasferiti presto in città. L’accoglienza del suocero fu affettuosa al massimo grado. La suocera, invece, gelosa del figlio e del marito, l’aveva ricevuta con sussiego. Le due famiglie avevano di che vivere, ma mia nonna paterna era assai tirata; spesso la si sentiva ripetere:”Meglio un vestito nuovo che lo stomaco pieno, perché sotto il vestito la gente non vede!”
8. Gli uomini rincasavano la sera, e la nonna e mia madre sembravano quasi ignorarsi, sebbene la dimensione della casa le costringesse ad incontrarsi spesso durante il giorno.
Mia madre si chiudeva per lunghe ore in una delle due stanzette e piangeva a dirotto, mentre dietro la porta, a denti stretti, la nonna sussurrava, in modo da essere udita:
”Piangi, africana! Piangi!…”
Lei sopportava in silenzio, sfogandosi con una fitta e appassionante corrispondenza colla madre e le sorelle. Le notizie che arrivavano dalla Libia non erano buone: gli inglesi stavano prendendo il sopravvento e i coloni italiani correvano il rischio di essere cacciati. Accettata a malincuore la partenza della figlia prediletta, mio nonno, per seguire l’evolversi della situazione, trascorreva il suo tempo più a Tripoli che nel suo eden terrestre, che non poteva più vedere, senza pensare di averlo irrimediabilmente perduto.
9. A sei mesi dal suo viaggio di nozze, mia madre rimase incinta; ma la gravidanza la costrinse lungamente a letto, in uno stato di semiprostrazione, perché la suocera si limitava ad un’assistenza minima e appena formale. Nei giorni migliori, quando riusciva a reggersi in piedi, doveva subire persino qualche sgarbo; ma lei ora aveva mille motivazioni per superare ogni ostacolo e, quando fu arrivata al settimo mese di gravidanza, accolse con liberazione l’annuncio di mio padre che si sarebbero trasferiti a Palermo, in una casa nuova e molto più ampia, che aveva davanti un giardinetto con un grande albero.
Quando il trasloco fu avvenuto, finalmente lei potè assaporare la soddisfazione di avere un piccolo regno tutto suo.
In una notte freddissima di febbraio, mentre una rara neve imbiancava le pendici del Montepellegrino e i tetti delle case di tutta Palermo, nacque il maggiore dei miei fratelli.
 10. La notizia della morte del nonno materno arrivò per posta a primavera inoltrata. Quando vide entrare mio padre pallido, costernato in viso e il foglio spiegato in mano, mia madre, che stava allattando il neonato al seno, capì tutto immediatamente e, prima di leggere la lettera della madre, si sciolse in lacrime.
Mio nonno era morto solo, in un bar di Tripoli, fulminato da un infarto. Negli ultimi giorni, oltre alle preoccupazioni della crisi politica, una contestazione ereditaria da parte del fratello l’aveva provato oltremisura. A ciò bisognava aggiungere il disagio dell’andirivieni da Homs a Tripoli – oltre cento chilometri di strada accidentata – e le sue abitudini di grande fumatore, che in quei giorni decisivi erano state alquanto accentuate. Nella lettera si diceva che la famiglia, dopo avere svenduto tutto il patrimonio, che non era cosa da poco, si stava preparando per imbarcarsi per raggiungere Napoli e poi, da lì, Roma.
11. Due mesi dopo, quando seppe che la sua famiglia si fu messa a posto nella capitale, mia madre rispose con un biglietto di poche righe:”Siamo come particelle nell’universo, scrisse alla madre lontana, percorrendo la propria strada, ognuno vive tutti i giorni la sua solitudine come un calice dolce e amaro; e pertanto di quello che ciascuno si porta dentro, gli altri non potranno mai sapere. Da fanciulla non ho mai conosciuto mio padre, non ho mai conosciuto te e, neppure, posso dire di avere conosciuto me stessa. Ora, da donna, posso dire che vi ho amato e vi amerò sempre, perché mi avete dato tutto, a volte anche dietro gli sguardi severi e le parole inespresse”.
 
Ubaldo Riccobono (©tutti i diritti riservati)
 
 
  
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

01 venerdì Feb 2008

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63^ SAGRA DEL MANDORLO IN FIORE
53° FESTIVAL INTERNAZIONALE DEL FOLKLORE
**AGRIGENTO 3-10 FEBBRAIO 2008**

 Tempio della Concordia, Agrigento
Sommario: I) L’eterna primavera che si rinnova nella valle; II) I bambini del mondo; III) Folklore ed Amicizia; IV) L’Opera dei Pupi al Teatro della Posta Vecchia; V) Pirandello e il Folklore; VI) Gemellaggio e la Sagra a tavola; VII) La Mostra del libro; VIII) “La Settimana Ungherese".

I
L’ETERNA PRIMAVERA
CHE SI RINNOVA NELLA VALLE

Mandorlo in fiore
Nella Valle dei Templi la primavera è arrivata in netto in anticipo e il mandorlo è già in piena fioritura. Da questo sortilegio della natura, che si ripete invariabilmente, 63 anni fa è nata la Sagra del mandorlo in fiore, dapprima come evento folkloristico regionale, e successivamente – dieci anni dopo – assurto a dimensione internazionale, come festa intesa quale legame di pace tra i popoli, con gruppi, provenienti da tutte le parti del mondo, che si ritrovano nella mitica valle greca, a danzare nei loro caratteristici costumi. La cultura dell’amicizia fu il messaggio originario del filosofo della natura Empedocle, che l’ha tramandato come valore perenne, in una Valle unica al mondo, oggi diventata Patrimonio dell’Umanità. Non a caso Pindaro definì Akragas “la più bella città dei mortali”.

 Agrigento Tempio di Castore e Polluce

Agrigento, Tempio di Castore e Polluce

Agrigento, Tempio di Castore e PolluceAgrigento, Tempio di Castore e PolluceMandorlo in fiore, Tempio di Giove AgrigentoAgrigento, Telamone, Tempio di GioveMandorlo in fiore, Tempio di GioveMandorlo in fiore e Tempio di Ercole

II
I BAMBINI DEL MONDO

 I bambini del mondo
Ad aprire la kermesse sarà il festival “I bambini del mondo”, un vera manifestazione nella manifestazione, giunta ormai all’ottava edizione, ma rivelatasi subito per il suo elevatissimo spessore: gruppi agguerritissimi, danze e costumi così vari da incantare gli spettatori smaliziati.

I bambini del mondo

Peraltro, l’evento si svolge sotto l’alto patrocinio dell’Unicef, allo scopo di poter sviluppare un progetto di solidarietà e di beneficenza internazionale “I bambini aiutano i bambini”.Inoltre, l’Accademia di Studi Mediterranei di Agrigento ha indetto, quest’anno,  un convegno “I bambini del Mediterraneo nel terzo millennio” ( 1 e 2 febbraio), che affronterà le problematiche giovanili sotto molteplici aspetti. Sarà conferito, infine, sempre dalla predetta associazione, il premio Nicholas Green, al fine di ricordare agli adulti la necessità di tutela dei diritti dei bambini.    

I bambini del mondo  

III
FOLKLORE E FRATELLANZA

 
Accensione del tripode dellIl Folklore, come fratellanza tra popoli e razze, vedrà il suo clou emblematico con l’accensione del Tripode dell’Amicizia, al Tempio della Concordia, cui parteciperanno tutti i tredici gruppi presenti: Folklore ensemble Tirana (Albania), Shirak ensemble Jerecan (Armenia), Taduga di Minsk (Bielorussia), Slanchev Bryag ensemble (Bulgaria), Korean folk dance group Seoul (Corea), Kuu Zvon Medimurje (Croazia), Verdikousia Larissa (Grecia); Desert Gipsy Jaipur, Halleluia dance group Netania (Israele), Folk dance ensemble Vijurkas Klapeida (Lituania), Erdenet songs and dance Erdenet (Mongolia), Student folk Katowice (Polonia), Bakalama Dakar (Senegal). Fuori concorso per l’aggiudicazione del “Tempio d’oro”, parteciperà alla manifestazione il gruppo ungherese State folk dance di Budapest.   


Conclusione al tempio della ConcordiaNon mancheranno le bande musicali e le majorettes a vivacizzare le sfilate e le esibizioni in piazza e per le vie cittadine: la banda Nif e majorettes Lofan dell’Ungheria, la banda musicale di Lagundo (Bolzano).

Esibizione all
Fiaccolata dell


Altro momento caratteristico, secondo la tradizione, sarà la Fiaccolata dell’Amicizia, che si snoderà la sera di mercoledì 6 febbraio per le vie cittadine, mentre i gruppi sfileranno tra suoni e danze.



Francesco Bellomo In quest’anno di crisi e di razionalizzazione delle spese, la macchina operativa è partita in ritardo. Tuttavia il “patron” artistico Francesco Bellomo, noto produttore teatrale e di eventi culturali in campo nazionale, nominato all’ultimo momento, è convinto di portare il meglio che si poteva ottenere nelle condizioni attuali. Bellomo avrebbe voluto contare su Nino Frassica e Manuela Arcuri, ma entrambi avevano preso già impegni. Il direttore artistico della Sagra ritiene che “Le notti del mandorlo etnico e non solo…” sarà un fiore all’occhiello, in quanto si avvarrà di artisti di spessore: Roy Paci, Aretuska, gli Stadio e Dulce Pontes, ai quali si affiancheranno i locali Riccardo Gaz e Camera Zhen. I presentatori degli spettacoli “folk” al chiuso saranno Veronika Maya ed Ettore Bassi, mentre Alessia Cardella, nota attrice teatrale, presenterà “Le notti del mandorlo”. Gli spettacoli per tutta la settimana saranno portati in scena al Palacongressi, per le vie cittadine, sulle piazze, rendendo l’atmosfera carica di allegria e di spensieratezza, come si può vedere nelle immagini del pluripremiato gruppo agrigentino "Val d’Akragas", entrato ormai nella storia del folklore internazionale e che ha vinto in casa propria ben tre Templi d’Oro.

Danza dei pescatori Sfilata conclusiva in città Danza in piazzaBallo per le vie cittadine
E per chi è anche alla ricerca di ulteriori emozioni dal 3 al 5 può recarsi nella vicina Sciacca a vedere uno dei Carnevali più belli della Sicilia.

Carnevale di Sciacca  
IV
L’OPERA DEI PUPI AL TEATRO
DELLA POSTA VECCHIA

Teatro posta vecchia Opera dei Pupi

Opera dei PupiOpera dei Pupi

Teatro posta vecchia, esterno



L’Opera dei Pupi è uno degli appuntamenti, collaterali alla Sagra, più interessanti e si svolgerà nel Teatro della Posta Vecchia, nel cuore della città, a poche decine di metri della centralissima via Atenea. E’ una piccola ma simpatica struttura, quella creata dall’eclettico artista agrigentino, Giovanni Moscato, che sforna, come menu prelibato, il miglior cabaret  che si vede sugli schermi televisivi nazionali.



Ficarra e Picone, per citare dei nomi famosi, sono passati da queste parti più volte. Anzi, Giovanni Moscato ricorda con piacere che un loro spettacolo venne scritto proprio ad Agrigento, per essere portato in scena alla Posta vecchia, e ogni sera i due comici l’adattavano secondo gli umori che coglievano tra il pubblico, a riprova dell’inventiva e della versatilità dei due attori siciliani.

Teatro posta vecchia Agrigento
Giovanni MoscatoGiovanni Moscato, che ha inciso molte canzoni folk in parlata girgentana ed è stato attore teatrale, ne fa un punto d’orgoglio nel proporre teatro di buon livello, nonché interessanti spettacoli musicali ed eventi di vario genere.

Giovanni Moscato artista AgrigentinoGiovanni Moscato artista agrigentino1968, Giovanni Moscato con Iva Zanicchi


Teatro posta vecchia Agrigento, plateaIl teatro è anche scuola di ricerca, di studio e di preparazione per giovani artisti e gli agrigentini si vanno sempre più appassionando alla struttura, per il suo spessore di qualità.
L’opera dei Pupi è uno dei cavalli di battaglia, voluto fortemente dal Teatro della Posta Vecchia, per la sua valenza istruttiva, indirizzata prevalentemente agli studenti, ma  che riesce a calamitare l’interesse anche dei meno giovani. Nell’opera dei pupi è insita una schietta cultura regionale e popolare, che acquista un sapore, umano e sociale, universale, per lo spessore delle storie dei Paladini di Francia, che da sempre hanno colpito l’immaginario collettivo. Per chi ne volesse sapere di più  link sul mio blog "Teatro Posta Vecchia".

Giovanni Moscato artista Agrigentino 
V
PIRANDELLO E IL FOLKLORE

Pirandello al tempio della Concordia Sua Maestà Luigi Pirandello, da eccelso agrigentino, non poteva non mettere lo zampino anche nel campo del folklore. Tre opere sono da citare, in particolare, tagliate per rappresentare l’elemento del regionalismo siciliano: Liolà, La giara, La Sagra del Signore della Nave. Certo, le tematiche sono sempre quelle pirandelliane dell’umorismo, ma è evidente che in esse lo scrittore prende le mosse dal microcosmo. Liolà, in tre atti, fu definita da Pirandello senza alcuna esitazione commedia campestre e inizialmente fu stesa “nella parlata di Girgenti, che tra le non poche altre del dialetto siciliano, è incontestabilmente la più pura, la più dolce, la più ricca di suoni, per certe sue  particolarità fonetiche, che forse più di ogni altra l’avvicinano alla lingua italiana”.
Cratere attico di PirandelloNella danza, nei suoni e nei canti de
La giara, atto unico, si può notare la gioia scanzonata e la spensieratezza del popolo che si fa beffe umoristicamente del possidente danaroso ma tirchio. Anche La giara inizialmente fu scritta nella parlata di Girgenti con il titolo A giarra.
La commedia in un atto (tratta dall’omonima novella)
La Sagra del Signore della nave  ha un’impostazione di Sagra paesana godereccia, e illustra il tradizionale avvenimento folkloristico della macellazione del maiale, siccome avviene in molti paesi del sud e della Sicilia. Però, il folklore, Pirandello lo piega alla sua maniera, facendo affiorare tutto il grottesco dell’uomo, con i suoi propositi contraddittori e con la logica del predicare bene e razzolare male. L’umorismo contraddistingue un Liolà, dongiovanni siculo sui generis, che ha molti amori senza amore, ma deve rinunciare al suo unico vero amore. Sacro e profano si mescolano nel rito del Signore della Nave, con l’uomo che ottunde la sua intelligenza nel godimento materiale e rituale, durante una festa sentita, della quale però viene dimenticata la genuinità del valore religioso. Nel gusto farsesco della Giara, unfine, c’è un Pirandello, divertente e divertito, a creare due personaggi che si distinguono nel medesimo orgoglio puntiglioso, pretesto per un quadretto paesano, che, sotto sotto, vuol  far meditare.     
La Biblioteca Museo Luigi Pirandello fa bene, quindi, a ricordare Pirandello proprio in questo periodo, in coincidenza dell’effettuazione della Sagra del Mandorlo in Fiore, dedicandogli  l’appuntamento fisso del mese di Febbraio.

Febbraio con Pirandello

Il calendario prevede oggi la presentazione di due mostre: 1) Mostra storica dell’800 agrigentino (I libri della memoria) presentata dal noto bibliofilo agrigentino Attilio Dalli Cardillo, che ha fornito volumi importanti e di pregio della sua notevole collezione; 2) Colori e luci della Sicilia, mostra personale di pittura di Giuseppe Forte, presentata da Rossa Tirinto.
Gaetano Allotta, storico agrigentino


Il venti febbraio sarà presentato il volume dello storico agrigentino, Gaetano Allotta, “Filatelia Agrigentina”, relatore Ubaldo Riccobono, che affronterà fra l’altro alcuni temi letterari di Pirandello e Tomasi di Lampedusa, contenuti nel testo.   


 

VI
GEMELLAGGIO
LA SAGRA A TAVOLA

 

Gemellaggio tra mandorlo e mele del SudtiroloAnche l’alimentazione è un momento importante della Sagra e quest’anno si avvale di un gemellaggio tra il mandorlo e le mele. Saranno almeno sessantamila mele, provenienti dal Sudtirolo, le Marlene “Fuji, ad essere degustate dagli agrigentini e dai turisti che si troveranno a passare. Convegni sulla corretta alimentazione sono previsti a scuola da parte dell’ufficio dell’educazione alimentare dell’Unità Sanitaria Locale di Agrigento, nel quadro della partecipazione alla giornata mondiale dell’educazione alimentare.
La cucina agrigentina, ricca soprattutto per i numerosi dolci di mandorle, pistacchi e ricotta, si avvale anche di altri gustosi piatti tipici. Spiccano come curiosità i “Fusilli alla Pirandello”: a base di filetti di acciuga, pomodoro, olive verdi e nere, capperi, origano. Un primo piatto di cui era ghiotto il Premio Nobel agrigentino, il quale, da Roma e da Bonn, scriveva sempre alla famiglia per farsi mandare tali ingredienti (oltre la pasta, s’intende).

 

VII
LA MOSTRA DEL LIBRO

 Mostra del libro
Agrigento figura all’ultimo posto della graduatoria dei capoluoghi di provincia. La posizione marginale nell’ambito dell’isola, della nazione e dell’Europa, ne hanno mortificato i fermenti culturali e le potenzialità turistiche eccezionali. Priva di veloci collegamenti di terra e senza aeroporto (telenovela degli ultimi quarant’anni), la città ha visto penalizzare la sua economia e le capacità di sviluppo turistico, a vantaggio delle aree metropolitane di Palermo e di Catania e del loro hinterland.
La città, sotto il profilo culturale, è assai vivace, anche se le risorse affluiscono lentamente e non sono adeguate ai bisogni. Ad Agrigento proliferano gli sportelli bancari, veri collettori di ricchezza che la incanalano verso il nord.

La cultura e la presa di coscienza civile, sociale e politica, appaiono quindi le uniche armi per il riscatto e il cambiamento.
Mario Gaziano Una bella iniziativa culturale, che da otto anni a questa parte tiene banco durante la Sagra del Mandorlo in fiore, è la
Mostra del libro di Tradizioni Popolari e di Cultura Dotta della Sicilia dal ‘700 al ‘900, ideata dal docente universitario, giornalista e scrittore agrigentino, Mario Gaziano, che può contare nel suo palmarès esperienze come editore e regista teatrale, presentatore d’eventi, Direttore Artistico e regista della Sagra del Mandorlo, si ripromette d’implementare la cultura del libro e, se sarà consentito,  allargare gli orizzonti della Mostra, facendone un appuntamento nazionale. Gaziano ha collaborato con la Rai e con televisioni private ed attualmente, con l’emittente regionale Teleacras di Agrigento, cura e presenta la rubrica settimanale “Puntofermo”, che è un notevole veicolo di promozione della cultura agrigentina e siciliana. Agrigento vanta mostri sacri della cultura, che si chiamano Empedocle, Pirandello e Sciascia ed appare oltremodo riduttivo che non si faccia attività di ricerca a livello internazionale.
Per la sua caratura professionale e artistica, che ha illustrato Agrigento in svariati campi, Gaziano ha ricevuto numerosi attestati, tra i quali il Premio Sikelè.

Mario Gaziano riceve il premio SikelèGaziano può menare vanto, ancora molto giovane, di avere realizzato una bellissima intervista esclusiva a Leonardo Sciascia, che ha pubblicato in volumetto.

Mario Gaziano intervista Leonardo Sciascia okUna famiglia vivacissima quella di Gaziano, che da tanti anni si spende per la cultura. Il figlio Alessandro è conosciuto in campo nazionale per la sua attività televisiva con il nome di Alessandro Mario, avendo esordito nella serie TV Incantesimo 4 nel 2001. E’ diventato famoso grazie alla soap opera di Canale 5 Cento vetrine (Premio Telegrolla d’oro).

Mario Gaziano Alessandro Mario, che fa anche cinema, ha una grande passione per il teatro pirandelliano e al Teatro della Posta Vecchia di Agrigento ha voluto rappresentare i monologhi tratti da Il fu Mattia Pascal e da Non si sa come, riscuotendo un grande successo di presenze e di critica. Anche l’altro figlio di Gaziano, con il nome Riccardo Gaz, opera nel mondo dello spettacolo e cine-televisivo e sarà presente in questa edizione della Sagra.

 

VIII
“LA SETTIMANA UNGHERESE”

Budapest, Ponte delle catene
Novità assoluta di questa edizione del Festival Internazionale del Folklore è “La settimana Ungherese”, organizzata in collaborazione con il Ministero della cultura ungherese. L’Ungheria può fregiarsi di un folklore di livello qualitativo assoluto ed è il più premiato dei gruppi che hanno partecipato alla kermesse agrigentina, con ben quattro primi posti. I rapporti tra folklore ungherese e quello agrigentino sono ormai consolidati e la manifestazione si prefigge di mettere in mostra la cultura ungherese in molteplici aspetti, con una serie di appuntamenti che illustreranno usi, mestieri, tradizioni, costumi, artigianato. La parte folklorica sarà affidata alla maestria del gruppo della capitale magiara “State folk dance”, nonché alla banda “Nif” e alle Majorettes “Lofan”.

Budapest, lungofiumeNon mancheranno degustazioni di prodotti e di vini ungheresi, e musica tzigana.

Budapest

 

13 sabato Ott 2007

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I LUOGHI DEL MITO

 Tempio della Concordia, Valle dei templi Agrigento

"Studiato dal vivo, il mito non è una spiegazione che soddisfi un interesse scientifico, ma la resurrezione in forma di narrazione di una realtà primigenia, che viene raccontata per soddisfare profondi bisogni religiosi, esigenze morali. Esso esprime, stimola e codifica la credenza; salvaguarda e rafforza la moralità; garantisce l'efficienza del rito e contiene regole pratiche per la condotta dell'uomo. Il mito è dunque un ingrediente vitale della civiltà umana; non favola inutile, ma forza attiva costruita nel tempo". Bronislaw Malinowski

Tempio della Concordia, Valle dei templi Agrigento Tempio di Ercole, Valle dei Templi AgrigentoTempio di Ercole (notturno) Valle dei templi Agrigento

La più bella città dei mortali fu definita la città di Akragas, non a caso, da Pindaro e non per facile piaggeria nei confronti del tiranno Terone, di cui era poeta di corte. Akragas (e poi Agrigentum, Kerkent, Girgenti, Agrigento) fu città mitica, tragica, drammatica, terra di passaggio e di conquista, dove le storie degli uomini si incrociarono e si susseguirono e ispirarono poeti, drammaturghi, scrittori; dove tanti viaggiatori illustri vennero (tra tutti Goethe) e lasciarono traccia del loro arrivo, ricavandone immagini e suggestioni.


Tomba di Terone, Valle dei Templi AgrigentoRempio di Giunone, Agrigento, valle dei templi

 

IL MITO ALLA CASA NATALE DI PIRANDELLO

 

 

 

Le maschere e il mitoHa ragioni da vendere Francesco Giordano a voler fare del suo testo “Le maschere e il mito” uno spettacolo teatrale itinerante nei luoghi del mito, dove cioè esso nacque, si sviluppò nel tempo e vive tuttora nella bellezza dei monumenti che testimoniano un passato e che non è morto e sepolto, se si riesce a farlo decodificare. Lo spettacolo dell’AC Muralia vuol parlare alla gente, soprattutto agli studenti, e diventare un itinerario immaginifico, che proprio nella mitologia greca trova la sua ragione d’essere e sulla scena riesce a tracciarne il percorso in maniera palpabile (visiva, uditiva e sensoriale).

 

 

 

Sarà stata la particolarità evocatrice del luogo, la Casa Natale di Pirandello:

Tomba di Pirandello: tronco del vecchio pino e nuovo pino.sarà stato l’assemblaggio calibrato di recitazione, musica e danza; saranno state la “verve” e la veemenza degli attori, costretti a recitare senza microfoni per mero e “fortunato” accidente; sarà stata la sostanza dei testi, tra dramma, poesia e guitteria aristofanesca: certo, “Le maschere e il mito”, di Francesco Giordano   (che ne è scrittore, attore, regista) è opera di solido impianto e di autentico spessore culturale.

Le maschere e il mitoLe maschere e il mitoLe maschere e il mito

 

 

 

 

 

 

 

 

Da limare, indubbiamente, e da supportare con effetti scenografici più corposi, costumi più variopinti, supplemento di altre maschere dissacranti – elementi che sulla scena non sono inutile orpello -, ma che si tratti già di opus ben confezionato, vario, scorrevole, egregiamente raccontato e recitato,  nessuno può confutarlo. Si è creata, dunque, nell’ambiente suggestivo all’aperto del  Caos, una carica satura di elettricità, terreno di coltura ideale per la riuscita di una trasposizione teatrale, che cercava il dialogo e l’osmosi con il pubblico e li ha trovati.

Le maschere e il mitoLe maschere e il mito

 

 

 

 

 

 

 

 

Tramonto dalla casa di Pirandello

 


Ci è sembrato, a un certo punto, di assistere veramente alla nascita degli dei dal Caos primordiale e, subito dopo, la capacità affabulatoria del racconto – già, mito vuol dire etimologicamente racconto – ce li ha spiattellati, gli dei, in panni umani, ad ingannarsi per giochi di potere, a vivere e soffrire, con sentimenti umani, in bassezze e crudeltà, ora grandi e nefandi, talora celesti e sovrumani, talaltra terrestri e meschini, così come l’infanzia dei popoli ce li ha tramandati, antropomorficamente.  Opera di ricerca, quindi, che scava e sa scavare nei meandri del pantheon greco, che spiega le fonti e le sue interpretazioni moderne, diventando ora dramma e poesia, ora ironia e divertissement, in un caleidoscopio continuo di quadri cangianti, dove danza e musica fanno da contrappunto esemplare.

 

 

 

 

Testa di Giove, museo del Bardo TunisiIl punto nodale, in cui il mito diventa storia, è la favola di Zeus, il padre degli dei, orditore di inganni, mentitore e seduttore impenitente, che viene “buggerato” da un iattante Prometeo, che gli ruba il fuoco per donarlo ai mortali. Zeus si vendica, ma il danno è fatto: gli uomini, grazie al fuoco, usciranno dalle caverne e daranno vita alla civiltà. Ma Zeus, offeso, scatena la sua vendetta con Pandora, dal cui vaso tutti i mali piomberanno sull’umanità.

Quindi, il mito che diventa storia, ma anche dramma eDonna, pittura di Salvatore Lauricella tragedia; ad esempio con Medea, traditrice per amore, che asseconda però il sogno dell’Ellade di civilizzare il mondo, ma diventa agnello sacrificale della protervia maschile, perché ha osato sfidare il potere.
Il cast degli attori, che in scena, ma anche dietro le quinte, assumono tutti i ruoli, anche i più umili, è di alta caratura., a cominciare dal bravissimo Francesco Giordano, pure regista attento e meticoloso, nonché esemplare curatore del testo, utilizzando stralci da “Trilogia” di Clelia Lombardo e Patrizia D’Antona.

 

Patrizia d’Antona è una Medea superba, e inoltre efficacissima e favolistica Cantadora:

Le maschere e il mito Cocò Gulotta impersona un Prometeo perfetto, un po’ smargiasso e caustico, ma drammatica generosa vittima.

 Le maschere e il mito


Crea momenti di rara emozione la danza di Daniela Donato, che in spazi più ampi potrà sprigionare al top la sua ieratica energia.

Le maschere e il mitoLa sax Rita Collura e il percussionista Francesco Prestigiacomo hanno arricchito lo spettacolo, con suoni e musica assai suadenti, conferendo il giusto amalgama e lo spessore necessario alla recitazione e alla danza.

 

Spettacolo Le maschere e il mito“Lo spettacolo è stato scritto appositamente per essere realizzato all’interno degli spazi della cultura, archeologici o museali, all’aperto o al chiuso; spazi particolari ricchi di vita e di passato, di mistero e di spiritualità, ove il visitatore non distratto possa regalarsi attimi di intimo benessere.” ha affermato il regista Francesco Giordano.
E uno di questi, ideali a creare suggestioni, non poteva che essere la Casa Natale di Luigi Pirandello.

 

 Casa Natale di Pirandello

 

IL MITO SECONDO PIRANDELLO

Le maschere nude, sulla rozza pietra delle ceneri di Pirandello 

COTRONE: Lucciole! le mie. Di mago. Siamo qua come agli orli della vita, Contessa. Gli orli, a un comando, si distaccano; entra l’invisibile: vaporano i fantasmi. E’ cosa naturale. Avviene, ciò che di solito nel sogno. Io lo faccio avvenire anche nella veglia. Ecco tutto. I sogni, la musica, la preghiera, l’amore… tutto l’infinito ch’è negli uomini, lei lo troverà dentro e intorno a questa villa.          

Da I giganti della montagna, L.Pirandello

 

Telamone, Museo archeologico AgrigentoIn un’atmosfera di grandezza, di fantasia e di poesia, che non potevano che essere i luoghi del mito dell’antica Akragas e del natio Caos, Pirandello, nei suoi miti (La Nuova Colonia, Lazzaro e I giganti della Montagna), soprattutto ne I Giganti della Montagna, perviene all’assoluto dell’arte, come scrittura alternativa alla vita, dove le maschere, le mille maschere nude dell’uomo, si dissolvono e si ricompongono in una visione ascetica. Il mito non muore mai, secondo Pirandello, perché è forza dirompente dell’eternità dell’arte, nasconde in sè il dramma della coscienza nuda e della sua scissione, come una maschera tragica.

Scultura di maschera graca


Dietro le maschere pirandelliane si nasconde la verità. Ma quale verità, se la verità è quella che appare sempre a ciascuno di noi, ed è relativa, così come parla la verità per bocca della Signora Ponza:

"Io sono colei che mi si crede"

Apparenza e finPirandello20

 

 

IL MITO DI FALARIDE

 

Figura con barba, Museo del Bardo TunisiQuello di Falaride, tiranno dell’antica Akragas, è un autentico mito, un mito che possiamo definire pirandelliano. Falaride è uomo del suo tempo, il prototipo del potente che ha smania di potere, è geniale inventore di armi e di stratagemmi, è il classico uomo solo; circondato da gente senza scrupoli, egli marcia irrimediabilmente alla catastrofe finale. La fama posticcia di aguzzino e di carnefice, affibbiatagli dai suoi concittadini, trapasserà ai posteri:

 

 

 

Come il bue cicilian, che mugghiò prima

 

col pianto di colui (e ciò fu dritto),

 

che l’avea temperato con sua lima,

 

 

 

mugghiava colla voce dell’afflitto,

 

sì, che con tutto ch’ei fosse di rame,

 

                                         pure e ‘l parea dal dolor trafitto. (Dante, canto XXVII, Inferno)

 

 

 

Falaride in verità non condannò a morte Perillo, l’artefice del toro (la terribile macchina di condanna che veniva arroventata con dentro la vittima). Dietro la maschera tragica di persona feroce ed esecranda, che gli aderiva a guisa di forma pirandelliana, in Falaride si celava un uomo che voleva fare grande la tua terra, ma che fu osteggiato dal potere locale, facendone un mostro. Nel dramma si cela, quindi, l’ineluttabilità del fato, com’era inteso dai greci.

 

 Testa di un dio, Museo del Bardo Tunisi

ATROPO: (si siede sul trono del tiranno e mostra il rotolo) (scandendo le parole con voce stentorea) Noi siamo le figlie della necessità, immenso ed eterno è il nostro potere. Anche gli dei si piegano al nostro volere, perché sono gli uomini con le loro azioni a segnare il cieco destino. Tutto è stato scritto, tutto è stato detto, tutto è stato deciso. In questo rotolo si racchiude la vita.

 

CLOTO: (dal recinto del popolo) Finalmente è giunta la resa dei conti e a me non è più consentito filare, con questo fuso, il presente (lo butta).

 

LACHESI: (poggia l’urna sulla panca degli imputati) Nell’urna era già pronto il responso ed ora non mi resta che estrarlo (trae fuori il messaggio, lo legge, lasciandolo cadere per terra con raccapriccio). A me, o sorelle, la sorte comanda in modo orrendo di tagliare subito. Gli uomini invano s’illudono di avere tempo: la morte invece è sempre l’effetto del momento (l’urna cade e si rompe: tutte gridano per la sorpresa).

 

 da “Una contrada chiamata Consolida” di Ubaldo Riccobono

tramonto dalla casa natale di Pirandello

La suggestione dei luoghi, la bellezza incomparabile della natura, in questo lembo della Sicilia non potevano che dare linfa ai miti e ai sogni, alle passioni e alle lotte politiche, che si sono tramandati secondo una visione dualistica della vita, che il filosofo della natura Empedocle, grande poeta, così espresse:

Questo ciclo cominciò col mondo
e durerà in eterno
per impulso di due principi:
l'Amicizia che mescola tra di loro le radici
e l'Odio che, una volta unite, le sparpaglia.
Così l'Uno nasce dal più
e dall'Uno il più rinasce.
Entrambi han vita
ma il loro ciclo stabile non è;
la loro alternanza infaticabile
dura in un cerchio eterno.

(Frammento tratto da "Sulla natura" di Empedocle, liberamente tradotto in "Una contrada chiamata Consolida" di Ubaldo Riccobono)

 

 

 

 

 

(Ubaldo Riccobono, tutti i diritti riservati)

23 domenica Set 2007

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GIORNATE EUROPEE DEL PATRIMONIO

 

LA BIBLIOTECA MUSEO

“Luigi Pirandello”

 Vincenzo Sciamè, ritratto di Pirandello

 Pirandello, disegno di Vincenzo Sciamè

e

MURALIA
Associazione Culturale

AC MURALIA 

Ass. Culturale Muralia





PRESENTANO:

Spettacolo teatrale con danze e musica Locandina Casa Natale Pirandello e programma

“…Mnemosyne… come non averci pensato prima… ricordare… tutto quello che abbiamo raccontato finora accadeva, ma è come se non fosse mai accaduto… perché nessuno lo raccontava…”
 

Francesco Giordano, Regista-attore, scrittoreLa forza del mito e del ricordo, per raccontare le origini e le nostre radici, in una rappresentazione scenica che si dipana per quadri, con musiche e danze: “Le maschere e il mito”, per la regia di Francesco Giordano, saranno il clou delle Giornate Europee del Patrimonio, che si svolgeranno sabato 29 e domenica 30 settembre presso la Casa Natale di Luigi Pirandello.
“Io credo che restituire alla scena teatrale, alle note di attenti musicisti, alle voci e alle guitterie (perché no?) degli attori, alle loro maschere ed ai loro ghigni buffoneschi e tragici le storie degli uomini sia un giusto (anche se insufficiente) ristoro di quel Dio che ha donato all’uomo il dominio dell’intelligenza.”

 
Il mito è trasformazione di storia e di storie, ma è anche memoria. Nasce come Mnemosyne, dea della memoria, figlia di Urano e Gea, che venne amata per nove giorni da Zeus, sotto mentite spoglie di pastore, e generò le nove Muse. Mito che Esiodo fa rivivere nella sua Teogonia e che celebra anche nelle Opere e i giorni, precipuamente basate sulla glorificazione della potenza di Zeus:

Museo del Bardo, Tunisi

Innalzo il mio canto ispirato
grazie alle Muse eliconie,                   
sovrane del sacro monte,
le quali, intorno alla fonte scura
e all’altare del forte figlio di Crono,
con tenere movenze danzavano,
e bagnate le membra leggiadre
nel Permesso e nell’Ippocrene
o nell’Olmeio divino,
sulle alte pendici dell’Elicona  
intrecciavano ritmi belli e soavi
con volteggi veloci.
Di lì levatesi, nascoste da molta nebbia,
notturne andavano, con incantevoli accenti
a celebrare il padre degli dei ed Era signora,
argiva, dagli aurei calzari,
e la figlia dell’Egioco , la glaucopide Atena,
e Febo Apollo, e Artemide saettatrice,
e Posidone, signore della terra, scuotitore del suolo,
e Temi veneranda, e Afrodite dagli occhi guizzanti,
e Ebe dall’aurea corona, e la bella Dione,
e Leto e Iapeto e Crono dai torti pensieri,
e Aurora, e Sole grande e Luna splendente,
e Gaia, e il grande Oceano, e la nera Notte,
e degli altri immortali, sempre viventi, la sacra stirpe.
Esse una volta a Esiodo insegnarono un canto armonioso,
mentre pasceva gli armenti sotto il divino Elicona;
questo mito, per primo, a me dissero le dee…
(Esiodo, Teogonia)

 

“Zeus annienterà anche questa generazione di uomini votati a morte, quando al nascere appariranno già maturi e con le tempie grigie” (Esiodo, Le opere e i Giorni)


Cocò Gulotta impersona Prometeo

Cocò Gulotta, attore-regista, scrittoreStorie e leggende di uomini e di dei e di semidei s’intrecciano con quadri tratti anche da Apollodoro, autore dell’opera Sugli dei, dove si parla del gigante Asterione, figlio di Urano e Gea, cielo e terra, di Minosse e del Minotauro. Lettura mitologica, però, in chiave moderna, con stralci da “Trilogia” di Clelia Lombardo e Patrizia D’Antona. Si tratta anche di una visione poetica molto aggiornata, che si avvale di studi e ricerche di autori  del calibro di Jean Pierre Vernant (Le origini del pensiero greco), di Robert Graves (La mitologia greca) con la sua contestata teoria pelasgica, di Christa Wolf, scrittrice, tra l’altro, del romanzo Medea.
E a proposito della Medea infanticida di Euripide, che contrasta anche con la etimologia del nome “colei che porta consiglio”, la Wolf è riuscita a documentare e a sovvertirne il mito distorto (grazie all’ausilio di studi e reperti molto recenti), dimostrando che furono i Corinzi a lapidarne i figli per vendetta e che Euripide nella sua tragedia, dietro onorario, si prestò a contraffarne la storia.

“Sai cosa cercano, Medea? Cercano una donna che dica loro che non hanno colpe; che sono gli dei, oggetto casuale di adorazione, a trascinarli nelle loro imprese. Che la scia di sangue che si lasciano dietro fa parte della mascolinità cosí come gli dei l’hanno determinata. Grandi bambini terribili, Medea. E’ cosa che s’intensificherà, credimi. Si propagherà… “. (Christa Wolf, Medea)

Dice Francesco Giordano, che ha curato testo e regia ed ne è anche attore, che lo spettacolo vuole coinvolgere in particolar modo gli studenti e, per la sua flessibilità, può essere fruito da una vasta gamma di spettatori: “Lo spettacolo nasce dal desiderio di vivere momenti di emozione negli spazi che la storia e il “fato” ci hanno restituito integri nella loro capacità di affascinare; spazi particolari ricchi di vita e di passato, di mistero e di spiritualità.”
Le storie, come tutte le storie di maschere, si prestano anche ad una lettura pirandelliana, in linea con il luogo della rappresentazione; in particolare quella di Medea, cui il mito diede la “forma d’infanticida”, fino alle estreme conseguenze, malgrado il suo puro messaggio di donna e di madre.

Pirandello1Vincenzo Sciamè, La luna nel Caos

Il programma delle due giornate

Sabato 29 settembre: visita guidata alla Casa Natale di Luigi Pirandello (ore 13.00; 15.00; 18.00);
viaggio sentimentale “I luoghi del Caos” dell’associazione “Il cerchio” (ore 9.00; 18.00)
rappresentazione scenica “Ciak si giara”, liberamente tratta da “La giara” di Pirandello, interpretata dagli studenti della scuola media A.Frank di Agrigento, coordinati dalla docente Iosè Tedesco (ore 10.00; 11.00). A seguire letture di opere pirandelliane da parte degli studenti del Liceo Scientifico “Leonardo Sciascia” di Agrigento.

Domenica 30 settembre: visita guidata alla Casa Natale di Luigi Pirandello (ore 9.00; 13.00; 15.00; 18.00);
Rappresentazione teatrale “Le maschere e il mito” a cura dell’Associazione culturale “Muraloa” di Palermo, testo e regia di Francesco Giordano (ore 18.00, ore 19.00).

 

 

17 domenica Giu 2007

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pirandello, pittura, teatro

Celebrazioni:Luigi Pirandello

140° Nascita Luigi Pirandello
Località Caos 28 Giugno

 

L’UOMO DAL FIORE IN BOCCA

 
“La morte, capisce? è passata. M’ha ficcato questo fiore in bocca, e m’ha detto: – Tientelo, caro: ripasserò fra otto o dieci mesi!”


Il 140° della nascita di Luigi Pirandello coincide, quest’anno, con il 70° della sua morte: evento unico e irripetibile. E a sancire questo tema sarà la rappresentazione della commedia “L’uomo dal fiore in bocca”, atto unico del drammaturgo, che concluderà la serata in onore del Premio Nobel. A metterla in scena davanti alla Casa Natale di Pirandello sarà la compagnia “Piccola Ribalta” di Casteltermini, con gli attori Fabrizio Giuliano (L’uomo dal fiore in bocca) e Raimondo Rotolo (Un pacifico avventore).
Questo dialogo, atto unico, trae origine dalla novella del 1918 Caffè notturno, che poi Pirandello intitolò, con felice intuizione, la Morte addosso, nel 1923. Proprio nel 1923, il 21 febbraio, fu rappresentato a Roma l’atto unico, dal Teatro degli Indipendenti, diretto da Anton Giulio Bragaglia. Il titolo “L’uomo dal fiore in bocca” suona più poetico, per creare la suggestione e il riferimento al termine epitelioma, che pronunziato, per Pirandello, è nome dolcissimo “più dolce di una caramella”, anziché tubero violaceo di morte, lasciato in bocca come un fiore.

LLa morte addosso, viceversa, è titolo più realistico ad indicare quasi fisicamente quella morte che ciascun uomo si porta addosso, senza rendersene conto; o meglio, di cui s’accorge drammaticamente nel momento in cui la scopre come malattia mortale, oppure quando gli altri gliela fanno notare. Dramma racchiuso magistralmente nella battuta:

Se la morte, signor mio, fosse come uno di quegli insetti strani, schifosi, che qualcuno inopinatamente ci scopre addosso…Lei passa per via; un altro passante, all’improvviso, lo ferma e, cauto, con due dita protese le dice: – “Scusi, permette? lei, egregio signore, ci ha la morte addosso”. E con quelle due dita protese, la piglia e butta via…Sarebbe magnifica!…

Vita e morte, Pirandello in questa commedia le descrive come eventi sovrapponibili,  a segnare l’involontario cammino dell’uomo, caduto come una lucciola dal cielo in un momento e in un luogo non scelto da lui, e destinato già fin dalla nascita a portare il suo fiore di morte in bocca. E la visione, per quanto tristissima, e drammatica nel bacio della moglie che vorrebbe condividere la sorte del marito, non atterrisce o sgomenta. C’è una consapevolezza di fondo e una accettazione – non rassegnazione – del percorso, che per l’uomo era già stabilito ed era ineluttabile completare.

1° PREMIO DI PITTURA
“CAOS – ERMA BIFRONTE”

 Erma bifronte, Vincenzo SciamèSarà una estemporanea di pittura, organizzata dall’Associazione artistico culturale “Vernissage” di Agrigento e dalla Biblioteca – Museo “Luigi Pirandello, ad aprire le celebrazioni pirandelliane del giorno 28 (ore 9,00 ore 18,00). Ad essa potranno partecipare tutti i pittori che ne faranno richiesta fino all’ultimo giorno e avranno voglia di cimentarsi davanti alla Casa Natale del drammaturgo. L’estemporanea è a tema: Pirandello tra arte, letteratura e territorio, ed è aperta a tutte le tendenze artistiche. La tecnica è libera ed il formato massimo 70×100. La partecipazione è gratuita. Le opere selezionate(circa 15) saranno esposte fino al 19 agosto presso il sito di Casa Natale e la Biblioteca-Museo “Pirandello”. Delle opere selezionate sarà curato un catalogo. Oltre un attestato per tutti i partecipanti, al 1° classificato sarà consegnata la targa “Premio Caos-Erma Bifronte”. Ai primi tre classificati andrà un ‘Erma Bifronte in ceramica, realizzata dall’artista agrigentina Rosa Tirrito. La giuria è composta: Alfredo Bordenga (pittore), Calogero Carbone (Direttore Biblioteca Museo Pirandello), Attilio Dalli Cardillo (Bibliofilo), Stefano Milioto (Scrittore, Drammaturgo), Ubaldo Riccobono (Giornalista, Scrittore), Rosa Tirrito (Scultrice).


DALL’ARGENTINA, CON AMORE

Durante la serata sarà consegnata al Sindaco di Agrigento, Marco Zambuto e all’Assessore ai beni, attività culturali e turismo, Paolo Minacori, la targa d’oro donata dalla Comisiòn de Homenaje di Buenos Aires, che sarà custodita presso la Biblioteca-Museo. Una cerimonia semplice, ma significativa a rinsaldare l’amicizia tra i popoli, in nome dell’arte, della letteratura e della cultura.

 Casa Natale di Pirandello, contrada Caos

03 domenica Giu 2007

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donna, letteratura - articoli, poesia, teatro

“LA CULTURA DEL FEMMINILE” AD AGRIGENTO

 

Sorgente

Come le foreste danno ossigeno alla terra:

così tu donna dai respiro alla vita!

Come le centrali danno energia al lavoro:

così tu donna – per la macchina uomo –

come una sorgente senza fine

sei fatica, sei arte, sei scienza!

Tu donna nutri lo spirito del mondo

Tu donna sei dispensatrice d’amore

sei nettare nel cui calice

l’uomo succhia il senso delle cose

il sapore della vita

l’energia dell’essere.

Tu donna irradiatrice di luce

brilli – meravigliosa stella –

e alimenti le speranze degli uomini

barricati sulla terra.

Aurora Gardin

 

                                  (L’attore Nino Bellomo)L

Con questa bella poesia, il decano degli attori agrigentini, Nino Bellomo, ha chiuso in bellezza l’incontro pomeridiano, voluto dall’UCIIM agrigentina (Associazione Prof.le Cattolica di Dirigenti, Docenti e Formatori della Scuola e della F.P. presidente Giovannella Riolo) sul tema “La cultura del femminile ad Agrigento”, relatore lo storico Settimio Biondi svoltosi presso la Biblioteca- Museo Luigi Pirandello di Agrigento.

       (Michele Placido)

Michele PlacidoA 85 anni Nino Bellomo recita e legge con la passione di sempre, che lo portò a calcare le scene di tutt’Italia, affiancando il grande Michele Placido, nell’atto unico di Luigi Pirandello “L’uomo dal fiore in bocca” e in “Uno sguardo dal ponte” di Arthur Miller. E nella serata al femminile l’attore agrigentino aveva dato un saggio della sua bravura interpretando, affiancato dalla nipote Esmeralda Calcullo, proprio l’Uomo dal fiore in bocca. La famiglia Bellomo è stata un vero connubio tra vita e teatro. Oltre al padre Nino, attore di fama nazionale, la figlia Virginia è stata apprezzata attrice assieme al marito Calogero Calcullo e ora dei genitori ha preso il testimone la figlia Esmeralda. Il figlio maschio di Nino, Francesco, ha intrapreso la professione di produttore teatrale e può vantare al suo attivo più di ottanta produzioni teatrali – realizzate coi grandissimi del teatro italiano, da Proietti a Placido.

Francesco Bellomo, produttore teatrale, premiato con il(Il produttore teatrale Francesco Bellomo riceve il premio Sikelè)

L’incontro alla Biblioteca-Museo Pirandello s’è incentrato sull’interessantissima prolusione dello storico Settimio Biondi, non prima di una breve presentazione del direttore della Biblioteca-Museo, che ha lumeggiato il forte personaggio femminile dell’attrice Marta Abba, in relazione al rapporto affettivo con il suo Maestro e direttore artistico Luigi Pirandello, che scrisse per lei numerose opere teatrali. Settimio Biondi ha svolto una affascinante tesi della predominanza della cultura “femminile” nel modo di essere della società agrigentina, partendo addirittura dal XVII secolo a.c. con la scoperta dell’insediamento di Montegrande, la cui civiltà ad economia solfifera s’incontrò con quella egea, attirata dallo sfruttamento e dalle diverse applicazioni dello zolfo. Civiltà che si è tramandata e conservata grazie all’elemento femminile, fino al primo ‘900. Biondi ha poi tratteggiato la figura delle figlie di Cocalo, che si ribellarono all’arroganza di Minosse venuto da Creta per inseguire Dedalo, rifugiatosi alla corte del re siciliano. Questo mito rappresenta la valenza dell’elemento femminile che protegge e tramanda, contro la protervia dell’elemento “maschile” che violenta e distrugge, non inteso però sotto il profilo riduttivo maschio-femmina, perché la cultura femminile può imporsi ed essere predominante anche ad opera del maschio. Così nel sacco della città di Akragas, ad opera dei cartaginesi, fu l’elemento femminile che permise alla civiltà akragantina di sopravvivere, rimanendo e offrendosi in olocausto ai vincitori, che comunque si comportarono bene. Biondi ha ricordato poi la figura della moglie dell’arabo Ibn Gamud, che rimase da sola prigioniera dei normanni e fu riconosciuta come araldo di quella civiltà, e la forza e le capacità di governo di Maria Prefoglio, madre dei Chiaramonte e le sue discendenti Costanza I e II. Un riferimento forte il relatore ha fatto infine alla madre di Luigi Pirandello, Caterina Ricci Gramitto, la cui idealità spirituale “femminile”, connotato predominante della famiglia, trapassò nell’opera del figlio. Tesi affascinanti, da approfondire, verificare e dibattere, ma che in nuce recano una profonda verità del ruolo essenziale che l’elemento “femminile” gioca nella composizione della sensibilità e della spiritualità di ogni uomo.  

Dacia Maraini(Dacia Maraini e le agrigentine, Aprile 2007)

In effetti l’impegno delle donne agrigentine, come ha sottolineato lo storico Settimio Biondi, è stato contrassegnato da una continuità di fondo. Le numerose associazioni femminili agrigentine, come Fidapa, l’Uciim, le Ande, il Soroptimist, l’Agorà delle Donne, hanno sensibilizzato fortemente l’opinione pubblica sui problemi più scottanti. Nello scorso aprile hanno voluto organizzare l’incontro con Dacia Maraini che ha presentato il suo ultimo libro “I giorni di Antigone”, nel suggestivo salone di S.Spirito (ex refettorio del Convento), fondato dalla battagliera Maria Prefoglio Chiaramonte nel lontano 1200. L’illustre scrittrice ha focalizzato il tema con riferimenti precisi a vicende della recente attualità, in relazione soprattutto alle violenze nei confronti delle donne, così come nel libro che raccoglie gli scritti degli ultimi cinque anni sul “Corriere della Sera” e su “Io donna”.

capricornoNei caratteri della genialità, della forza e della femminilità, che non hanno sesso, stanno racchiusi come in una conchiglia i valori ambivalenti della vita, che postula necessariamente fecondante e fecondato, in un nesso continuo e indissolubile.

 

 

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