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Amici di Pirandello, Sciascia, Empedocle

~ "La vita o si vive o si scrive" (Luigi Pirandello) – "Regnando Amicizia ogni cosa va ad unirsi" (Empedocle) – "Non si capisce un sogno se non quando si ama un essere umano" (Leonardo Sciascia)

Amici di Pirandello, Sciascia, Empedocle

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08 venerdì Mag 2009

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arabi, arte, arte e cultura, cultura, istanbul, letteratura - articoli, pamuk, pirandello, sciascia, turchia, viaggi

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ISTANBUL, CROCEVIA DI CULTURE

(notazioni di viaggio)

Istanbul, tramonto sul bosforoMoschea di Solimano, IstanbulSanta Sofia Santa sofia mosaico dCisterna romana, IstanbulIstanbul Moschea blu Moschea blu

Divisa tra Asia e Europa, tra Oriente e Occidente, tra religione e laicità, megalopoli di 15 milioni di abitanti, esplosa tumultuosamente negli ultimi anni, Istanbul incarna la tradizione e la modernità con tutte le sue contraddizioni che una società del genere può comportare. La gente arriva da tutti gli angoli della Turchia, con la speranza nel cuore, puntando decisamente su questa città, la più estesa del mondo, e anche su Smirne (5 milioni di abitanti, altra città cresciuta a dismisura) per sottrarsi ad una sorte di miseria, di disoccupazione, di condanna sociale.

Panorama di Istanbul Ma come tutte le metropoli, Istanbul, città internazione dal turismo redditizio, può dare poco ai diseredati, perché i ricchi diventano sempre più ricchi e i poveri più poveri. La forbice si allarga sempre più e crescono i fermenti e le proteste. C’è il sogno europeo, di entrare nella Comunità, per essere una nazione competitiva dell’Occidente; c’è la paura d’essere fagocitati nelle spire dell’islamismo per uno stato che il padre della patria Ataturk aveva voluto fortemente laico, sganciandolo per sempre dalla religione.

La Repubblica di Turchia, nata il 29 ottobre del 1923, costituì un evento eccezionale, forse unico, se si pensa che l’impero ottomano era durato per molti secoli, ininterrottamente dal 1299 al 1922. Non c’è alcuna affinità linguistica, culturale, etnica, tra Turchi e Arabi. Tuttavia, la libertà religiosa è stata una costante della Turchia. All’ingerenza della religione araba si aggiunge quella europea, che sovvenzionò lo stato ottomano con cospicui prestiti internazionali, che diedero il via a un debito pubblico difficile da colmare.

Da qui la caduta dell’impero e la nascita di uno stato repubblicano, ad opera di Mustafa Kemal Ataturk.

Ataturk padre della patria turcaIl culto di Ataturk regna ancora sovrano e le sue riforme, nei piloni portanti, sopravvivono a settant’anni dalla sua morte (10 novembre 1938). Nel palazzo di Dolmabahce, dove Ataturk visse, dal suo rientro in patria fino all’ultimo giorno, tutti gli orologi sono puntati sulla fatidica ora della sua morte, le 9,05.

Dolmabahce, palazzo visto dal BosforoOrologio di DolmahbaceDolmahbace Scalinata e lampadarioSalone ingresso DolmabahcePalazzo Dolmahbace Ataturk riformò la scuola e il diritto e diede il via a un processo di occidentalizzazione, laicizzando la società turca, anche se raccomandò di non spingere l’occidentalizzazione fino alle estreme conseguenze. Del suo progetto culturale fece parte integrante l’emancipazione della donna. Anche se non proibì formalmente l’uso del velo, invitò pubblicamente e continuamente a non usarlo. Libertà e diritti civili delle donne furono suoi cavalli di battaglia. Scriveva:”Se ciò che chiamate civiltà è lasciar andare le donne mezze nude per le strade e farle ballare in mezzo a tutti, sappiate che questo è contrario alla nostra mentalità. Non lo vorremmo non lo vorremmo mai.”

Danza del ventre, IstanbulTuttavia, se sotto il profilo legale questi principi rimasero saldi e intangibili, l’emarginazione della donna turca, dopo la seconda guerra mondiale, cominciò ad essere pesante, tanto che nel 1989 ad Ankara, la capitale, si tenne il primo congresso femminista, con il quale si stigmatizzava la molteplice oppressione femminile, che si manifestava in tutte le istituzioni dominate dall’uomo – famiglia, scuola, stato, religione -, anche se c’è da precisare che l’ultimo periodo dell’Impero ottomano aveva fatto riscontrare un fermento eccezionale a favore dell’emancipazione femminile.

Donne nella moschea di Eyup Donne che pregano, Santa SofiaKemal Ataturk aveva anche abolito la poligamia fondando un diritto di famiglia paritario. Certo molte contraddizioni esistono e sussistono nella società turca anch’essa globalizzata, soprattutto nei paesi dell’interno, dove sono tangibili prevaricazioni, superstizioni, riti tribali e religiosi, analfabetismo e acceso nazionalismo. E in politica estera il mancato riconoscimento del “genocidio armeno” del 1915 ad opera dei Giovani Turchi, unitamente alla politica autoritaria del premier Erdogan, costituiscono una grossa remora per l’ingresso nell’UE. Barak Obama si è detto favorevole, ma Sarkozy e la Merkel sono contrari. Una partita aperta, ma che rischia di allargare il solco tra Europa e Turchia, la cui politica marcia verso l’islamizzazione, contraria alla visione kemalista, molto radicata nella coscienza del paese.

 

 

PAMUK, EMULO DI PIRANDELLO E SCIASCIA

Orhan Pamuk 

“L’intera Istanbul è confusa e triste come me”

 

“Finalmente capivo di amare Istanbul proprio per le sue rovine, per la sua malinconia e per il fatto che avesse perduto il prestigio di un tempo”

                                                                                        (Orhan Pamuk, Istanbul)

 Moschea di Solimano

Di questo disagio sociale, politico, internazionale, ma anche esistenziale della Turchia è fedele interprete Orhan Pamuk, premio Nobel per la letteratura 2006, che soprattutto in “Istanbul” individua questo iato profondo tra l’essere e il dover essere di una città, che incarna una nazione intera, votata al sogno della modernità – pur con tutte le patenti contraddizioni – o ripiegata in un ritorno ad un integralismo religioso, superato dai tempi e dalla logica, contrario persino alla sua vera identità storica.

Pamuk è contrario all’occidentalizzazione a tutti i costi, alla cementificazione sfrenata – per la verità non così evidente come in altre realtà dell’Oriente, vedi ad esempio Bangkok – e indulge al ricordo romantico di una Istanbul a misura d’uomo, città culturale, città romana, bizantina, ottomana, con il fascino dei suoi minareti, dei suoi vicoli, del suo mare, del Bosforo, del Corno d’Oro, dei palazzi ottomani, di Topkapi, di Santa Sofia.

LTopkapi, dallVenditore di gelatoNel Bazaar di IstanbulCittà in cui si mescolano culture, sedimentate nel tempo e che hanno lasciato tracce, che non possono essere sradicate.

Ma Pamuk si schiera dalla parte della modernità, rivendicando il ruolo dell’intellettuale – accanto a quello politico – e alzando la voce per il riconoscimento del “genocidio armeno”, per il quale è stato posto sotto inchiesta, per sua fortuna archiviata, ma che rinfocola le ire dei “nazionalisti”.

Ma se Pamuk può essere considerato la coscienza critica della Turchia, il letterato di punta della cultura turca, ha tuttavia rifiutato l’etichetta che avrebbero voluto appioppargli di “scrittore della nazione”.

“Sono un uomo fatto di libri” ama dire e si dimostra orgoglioso dei sedicimila volumi della sua biblioteca. La scrittura è per lui la sua essenza, il suo modo di essere. Vivere e scrivere, come Pirandello, per lui fondamentale come Borges; e come Sciascia, di cui possiede l’opera omnia, compresi gli scritti politici, è stato un lettore “bulimico”.

Pamuk avverte il disagio dell’intellettuale relegato in un angolo, in una nazione in cui contano più la politica e il potere: è un disagio universale, denunciato anche dall’altro Premio Nobel 2007 Doris Lessing. Lo scrittore però non può abdicare al suo sogno, al suo ruolo, alla ricerca della felicità possibile, nella scrittura e per la scrittura, che Leonardo Sciascia, sulla falsariga di Borges, individuava in una sorta di stato di grazia.

 

Sciascia e l’Oriente

 La Scala dei Turchi, Realmonte (Agrigento)

Leonardo SciasciaIl mondo orientale vena le opere di Leonardo Sciascia. Ma l’Oriente è visto dal siciliano come un evento temuto, l’insicurezza è la componente primaria della storia siciliana.

 

«…non del mare che li isola, che li taglia fuori e li fa soli i siciliani diffidano, ma piuttosto di quel mare che ha portato alle loro spiagge i cavalieri berberi e normanni, i militi lombardi, gli esosi baroni di Carlo d’Angiò, gli avventurieri che venivano dalla “avara povertà di Catalogna”, l’armata di Carlo V e quella di Luigi XIV, gli austriaci, i garibaldini, i piemontesi, le truppe di Patton e di Montgomery; e per secoli, continuo flagello, i pirati algerini, che piombavano a prendere i beni e le persone. La paura “storica” è diventata dunque paura “esistenziale”; e si manifesta con una tendenza all’isolamento, alla separazione; degli individui, dei gruppi, delle comunità – e dell’intera regione» (Leonardo Sciascia, La corda pazza, Sicilia e Sicitilitudine)

 

Evento temuto che viene dall’est contraddistinto da una serie di frasi del dialetto siciliano tuttora in uso: “mamma li turchi”, “cu piglia un turcu è so”, “bestemmia comu un turcu”, “fuma comu dudici turchi”, “fici cosi turchi”. Modi di dire, iperboli dell’immaginario collettivo, ormai retaggio, ma significativi.  In Occhio di capra Sciascia ricorda ancora i Turchi, l’harem, il dorato del tesoro, del danaro, come un vagheggiamento estravagante:

 Istanbul, Topkapi, tesoro

Istanbul , Topkapi, Harem

«D’AREMI. Sono “d’aremi”, nelle carte da gioco siciliane, quelle dell’oro. Di danari. Probabilmente dall’arabo “dirham”, dìnaro. Ma per il suono, e per la lontana origine pure araba, resta di estravagante suggestione, a richiamo, la parola “aremme” registrata dal Tommaseo: “l’aremme de’ Turchi, in quanto è chiostro; ma aremme son anco le femmine stesse”. Lontana parola, ma non sfuggita alla caccia dannunziana: “su quel tappeto d’aremme”. Di harem. Ma per me, nel ricordo delle carte da gioco con cui nella mia infanzia molto tempo si trascorreva, la parola soffonde un che di dorato»

Istanbul, una volta dell

Pirandello e i Turchi

Luigi Pirandello Di questa tendenza all’eccesso, all’eresia, all’ "iconoclastia"  del mondo turco, l’umorismo di Luigi Pirandello non poteva non cogliere gli aspetti più contraddittori, messi in luce nella novella “La lega disciolta”, 1910, in un personaggio, Bombolo, che ostenta tutto il carattere di un turco, temuto e riverito:

 

Girgenti, contadino con fez“Bombolo stava tutto il giorno, col berretto rosso da turco sul testone ricciuto, un pugno chiuso sul marmo del tavolino in atto d’impero, l’altra mano al fianco, una gamba qua, una gamba là, guardando tutti in giro, senza disprezzo ma con gravità accigliata, quasi per dire:«I conti qua, signori miei, lo sapete, bisogna farli con me»” 

Bòmbolo ha fondato una lega di “bravi picciotti”. Fanno sparire capi di bestiame ai proprietari di terre, perfino ai baroni; e tutti, dicasi tutti, sono costretti a recarsi in processione da lui, per cercare di recuperarli e, per riaverli, devono pagare.

 

“Aveva un cartolare, Bòmbolo, ch’era come un decimario di comune, dove, accanto a ogni nome erano segnati i beni e i luoghi e il novero delle bestie grosse e delle minute. Lo apriva, chiamava a consulto i più fidati, e stabiliva con essi quali tra i signori dovessero per quella settimana «pagar la tassa»” (Pirandello, La lega disciolta)


Ma l’attività di Bòmbolo è un togliere ai ricchi per dare ai poveri, come egli dice a un suo vessato compaesano:

 

“Oggi com’oggi, un uomo, un figlio di Dio che lavora, povera carne battezzata come Vossignoria, non come me, io sono turco – sissignore – turco… eccolo qua – (e presentava il fez) – dicevamo, un uomo che butta sangue con la zappa in mano dalla punta dell’alba alla calata del sole, senza sedere mai, altro che mandar giù a mezzogiorno un tozzo di pane con la saliva per companatico; un uomo che le torna all’opera masticando l’ultimo boccone, dico, padrone mio, pagarlo tre «tarì», in coscienza, non è peccato? Guardi Don Cosimo Lopes! Dacchè s’è messo a pagare gli uomini a tre lire al giorno, ha da lagnarsi di nulla?”


E in un fondaco delle alture di San Gerlando, Bòmbolo riunisce, ogni settimana, la Lega per integrare i magri guadagni dei contadini al prezzo stabilito di tre lire, detratte le pensioncine settimanali per le famiglie di tre esattori, condannati a tre anni di carcere, che avevano saputo tacere sull’attività della Lega. E lui, nossignori, non prende una lira, anzi ci rimette del suo, perché anche il suocero paga la «tassa». Sono falsità, quelle che si propalano in giro, che lui ciurla nel manico. E’ lui l’apostolo della Giustizia, che controbilancia la “bella giustizia” che si amministra in Sicilia.

 

“Egli lavorava per la giustizia. La soddisfazione morale che gli veniva dal rispetto, dall’amore, dalla gratitudine dei contadini che lo consideravano come il loro re, gli bastava. E tutti in un pugno li teneva”


Tutto così vero che egli dichiara sciolta la Lega, allorquando escono dal carcere i tre esattori condannati e manda il fez  da turco, della sua sovranità, al suocero, come in una deposizione. L’umorismo pirandelliano, così evidente, esplode dirompente in tutta la sua icasticità, quando i furti di bestiame riprendono, all’insaputa di Bòmbolo e dei suoi sodali. E le persone che si rivolgono a lui, per pagare la “tassa” credono una commedia il suo sdegno, come prima avevano ritenuto una commedia la sua pietà per i contadini.


“Ah, dunque, volevano proprio che gli schiattasse nel fegato la vescichetta del fiele?

-Via! puh! paese di carogne!

E mandò dai nonni alle terre di Luna il suo figliolo, facendo dire al suocero che rivoleva subito subito il suo berretto rosso. Turco, di nuovo turco voleva farsi!

E due giorni dopo, raccolte le sue robe, scese al porto di mare e si rimbarcò su un brigantino per il Levante”


Emerge il sentimento del contrario, quel sentirsi ridicolizzato, che porta il personaggio  a volersi fare turco, eretico, a lasciare la sua terra, diventata nella sua violenza e protervia, più eretica dei più eretici turchi. Una novella che fa sorridere, di un sorriso amaro, ma non comica. La situazione del personaggio, schiacciato dagli eventi, potrebbe essere di chiunque e pertanto per Pirandello va rispettata e compresa.

 

 

19 giovedì Mar 2009

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agrigento, alfano, archeologia, chiaramonte, cultura, infrastrutture, pittura, spettacoli, tre torri, turismo, valle dei templi, viaggi

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ON THE ROAD

FESTA DELLA PRIMAVERA

 Samantha Torrisi

Abituati come siamo a viaggiare quotidianamente, anche per brevi tragitti, forse trascuriamo di approfondire l’importanza delle infrastrutture di lungo percorso nel mondo di oggi. Agrigento, ultima città d’Italia sotto il profilo economico-sociale sente invece questo grande problema, pagando a caro prezzo la sua marginalità, in un’isola che è già marginale rispetto all’Europa e all’Italia del Nord.

Ma questo grande contenitore artistico-culturale, patrimonio unico al mondo, proiettato verso i paesi del Mediterraneo ma tagliato fuori dall’Europa e anche dal resto dell’Isola, vuol uscire dal tunnel, per imboccare decisamente la strada maestra del turismo, quale volano privilegiato del suo sviluppo.

Ministri Matteoli e AlfanoLa settimana scorsa, A Racalmuto, proprio nella terra di Sciascia, è stata posta la prima pietra del raddoppio della Statale 640 da Agrigento a Caltanissetta, alla presenza dei Ministri Matteoli e Alfano, che dovrà rendere più celeri i collegamenti che dalla parte orientale dell’Isola portano nella città dei templi. Per fare di questa città un polo turistico come si deve, europeo e mondiale, continuano a marciare anche altre progettualità: Porto, Aeroporto, raddoppio della Statale con Palermo.

A latere si muove anche l’iniziativa privata: numerosi albergatori hanno costituito Il Logo ConsorzioConsorzio Turistico della Valle dei Templi, che vuol porsi come soggetto attivo e propositivo permanente di offerta turistica. La prima iniziativa che ne è scaturita è il ricco programma della prima Festa della Primavera, un fine settimana (20-22) destinato a coniugare lo spirito della vacanza a contatto della natura, cultura, spettacolo e sapori (per saperne di più www.hoteltretorri.eu o cliccare il link sul blog HOTEL TRE TORRI).

Festa Primavera AgrigentoE’ l’inizio, cui seguirà un ventaglio di concrete proposte per fare di Agrigento un punto di riferimento ben preciso. Non bisogna dimenticare che la Valle dei Templi è il sito siciliano più visitato dell’Isola e uno dei più visitati al mondo. 

 

SENTIERI, SAPORI

SPETTACOLO NOTTURNO NELLA VALLE

Tempio della Concordia, Valle dei templi AgrigentoTempio di Ercole (notturno) Valle dei templi Agrigentotramonto dalla casa natale di Pirandello 

Non mancano di certo i posti in città, nella mitica Valle dei Templi, ma anche nell’immediato hinterland, dove poter apprezzare il connubio incredibile delle bellezze archeologiche e della natura, che si sveglia in questi giorni dal letargo invernale per proporsi in tutto il suo fulgore

 Agrigento, Telamone, Tempio di GioveMandorlo in fiore e Tempio di ErcoleAgrigento, Tempio di Castore e PolluceAgrigento, Tempio di Castore e Polluce

E nel pacchetto turistico è previsto un  pranzo con “Menu di Primavera” in ristoranti tipici con prodotti “Bio” ed a “Km 0”, cioè rigorosamente locali e freschissimi.

Il programma si avvale di un suggestivo spettacolo notturno, sabato sera (ore 21), di danza e musica nel cuore della Valle dei Templi, al cospetto dei santuari greci tutti illuminati.

 Onirico Tempio Concordia Tomba di Terone, Valle dei Templi Agrigento


LE FABBRICHE CHIARAMONTANE

 Fabbriche Chiaramontane Agrigento

Presso le Fabbriche Chiaramontane, centro permanente per eventi culturali e d’arte nel cuore della città, gli appassionati di pittura potranno visitare la Mostra, tutta al femminile, di quattro pittrici: Olga Brucculeri, Rosalba Mangione, Samantha Torrisi, Liliana Zappalà.

Rosalba Mangione Il VoloBrucculeri Olga, pittrice


Samantha Torrisi








E presso i luoghi pirandelliani (Biblioteca Museo Pirandello) espone anche il trapanese Peppe Caiozzo.Peppe Caiozzo, Gnomoni

 

MERCATINO DEL BIOLOGICO

AIAB ASSOCIAZIOME ITALIANA AGRICOLTURAOmaggio allAgrigento I Festa del Bio 

A cura dell’A.I.A.B. (Associazione Italiana Agricoltura Biologica) saranno allestiti nella giornata conclusiva di domenica (dalle ore 7.00 alle 13.00), in centro città, numerosi stands a beneficio dei visitatori buongustai, i quali potranno degustare sapori genuini di una volta e leccornie autoctone di ogni tipo, che potranno anche acquistare.

 

 

24 giovedì Gen 2008

Posted by ubaldoriccobono in Senza categoria

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arte, castello, cinema, edimburgo, filosofia - articoli, geologia, letteratura - articoli, mistero, scienza - articoli, storia, viaggi

ALLA RICERCA
DELLA CAPITALE DELLA SCOZIA

(Parte prima)

La Scozia

Formatasi per orogenesi caledoniana, la Scozia si presenta come un insieme di valli orientate secondo linee di frattura, che furono incise e scavate nell’era quaternaria da enormi ghiacciai.

 Mammut

Zona interessata, milioni di anni fa, da vasti stravolgimenti vulcanici, la Scozia è situata a nord della dorsale dei monti Cheviot che la dividono dall’Inghilterra.

VulcanismoAttività vulcanica della preistoria 100k6330 401Tra i due blocchi elevati, a nord  (Highlands) e a sud (Uplands), s’interpongono al centro i Lowlands, zona ondulata di valli, colline e alture isolate. Il mare penetra la zona centrale profondamente, da est e da ovest, con due insenature strettissime come fiordi, il Firth  of Clyde (Glasgow) e il Firth of Forth (Edimburgo).  

 Firth of ForthDal castello

I MISTERI DI EDIMBURGO

Per i suoi paesaggi, cui la natura conferisce suggestioni a iosa, irripetibili in altri paesi del mondo, la Scozia sembra tagliata a misura per il mistero. Nelle acque di Loch Ness si cela uno dei più grandi misteri del pianeta, l’ormai mitico mostro dell’età preistorica Nessie, che non finisce mai di far discutere, circa la sua esistenza, scienziati e studiosi. Ma non finiscono mai di stupire le tante storie e leggende, tramandate sui castelli scozzesi,ad una delle quali, quella di Macbeth, conferì fama imperitura il genio indiscusso di Shakespeare.

Miniatura Enrico VSembra proprio che la Scozia, e in modo particolare Edimburgo, abbia una vocazione peculiare al mito, alla leggenda, al mistero.
E all’atmosfera misteriosa e nebbiosa di Edimburgo, dov’era nato nel 1850, si ispirò Robert Louis Stevenson (1771-1832) nel concepire il celeberrimo racconto orrifico, alla Poe, Lo strano caso del dottor Jekyll e di Mr. Hyde.

Conan DoyleAgli ambienti ricchi di mistero della città natale di Edimburgo, s’ispirò pure Sir Arthur Conan (1859-1930), il padre del racconto poliziesco “scientifico”, il quale creò uno dei detective più famosi al mondo, Sherlock Holmes. La stessa personalità di Doyle è ammantata dal mistero. Pur avendo creato un investigatore razionale e scientifico ed essendo un medico, egli si dedicò allo spiritismo, scrivendo tra l’altro numerose opere, tra le quali La storia dello spiritualismo. Fu in contatto con maghi e illusionisti, tra i quali il famoso Houdini. Recentissimamente i discendenti del mago Houdini hanno sostenuto che il loro avo sia stato assassinato con l’arsenico. Al delitto, secondo loro, non sarebbero stati estranei componenti del gruppo di spiritualisti di Doyle.

Antico telefono



Ad Edimburgo nacque anche Alexander Graham Bell, che nel 1876 brevettò a Boston il telefono, invenzione al centro della misteriosa vicenda giudiziaria,circa la sua paternità, tra lo stesso e il nostro Antonio Meucci, che gli aveva intentato causa. Il fiorentino però perse legalmente, perché la corte ritenne che Meucci avesse inventato soltanto il telefono meccanico, mentre Bell quello elettrico, oggetto del brevetto. Meucci, per mancanza di denaro, non fu in grado di pagarsi il brevetto. Nel giugno del 2002 una risoluzione del Congresso degli Stati Uniti ha accertato che, se Meucci avesse potuto disporre di mezzi finanziari, il brevetto sarebbe toccato a lui, conseguentemente stabilendo che il lavoro e il merito di Meucci devono essere riconosciuti universalmente a tutti gli effetti.


Harry Potter

Ad Edimburgo ha fissato la sua residenza la famosa (e ultramilionaria) scrittrice Joanne Kathleen Rowling, creatrice della saga di Harry Potter. All’epoca della sua decisione, la scrittrice era squattrinata e del tutto sconosciuta: pertanto le ha portato fortuna rimanere in una città cosmopolita, respirando l’atmosfera del vicino e misterioso castello della capitale scozzese, nonchè del Royal Mile, "la più larga, lunga, bella strada per edifici e numero di abitanti non solo della Gran Bretagna, ma nel mondo", come affermò lo scrittore londinese Daniel Defoe. Il Royal Mile culmina sontuosamente nel Castello, attorno al quale l’abitato della città è cresciuto a 360° gradi.

 

Passeggiata storica al Royal Mile

Un angolo del Royal Mile

Walter Scott
Il complesso del magnifico centro storico, unitamente al Castello, ha determinato la dichiarazione di Edimburgo come patrimonio dell’Umanità da parte dell’Unesco, scelta giustificata anche alla sua fama di capitale intellettuale, dove fiorì l’industria dell’editoria, conosciuta in tutto il mondo. Lo stesso scrittore scozzese Sir Walter Scott, inventore del romanzo storico – di cui ricordiamo l’esemplare Ivanhoe – fondò una casa editrice, croce e delizia della sua carriera letteraria.

Ma i personaggi nati ad Edimburgo non finiscono qui. Ad Edimburgo, patria anche degli studi scientifici, nacque nello stesso periodo di Hume, James Hutton (1726-1797), il fondatore della geologia, con la sua teoria del plutonismo e dell’attualismo. Sostenne strenuamente, nel suo famoso libro Teoria della terra, l’antichità del pianeta, nato molti milioni di anni fa, contrariamente ad una ristretta interpretazione della Bibbia di poco più di 6.000 anni. Nell’ottocento, altro luminare della scienza, fu il fisico Clerk Maxwell (1831-1879) che riuscì a definire la prima teoria dell’elettromagnetismo.

Roccia incisa, Nazional Museum Edinburgh

Antica roccia, National Museum EdinburghLa roccia più antica dAnche il cinema deve molto ad Edimburgo, dove è nato il famoso attore Sean Connery, che iniziò la sua carriera in modo singolare, posando nudo presso l’Accademia d’arte edimburghese. E pure di Edimburgo è lo scrittore Irvine Welsh, autore di Trainspotting, dal quale fu ricavato l’omonimo e strano film. Nel romanzo Ecstasy, Welsh accenna inoltre ad un’altra terribile storia dell’Edimburgo vittoriana del primo ottocento: un assai strano commercio di cadaveri, di cui ha scritto la sceneggiatura filmica The meat trade, molto modernizzata. William Burke e William Hare erano due irlandesi sbarcati ad Edimburgo in cerca di fortuna. Si misero a rubare cadaveri, per metterli a disposizione dell’anatomista Robert Knox. E siccome tale commercio era assai redditizio, i cadaveri se li procurarono successivamente essi stessi, ammazzando le loro vittime. Furono scoperti soltanto per una “soffiata” al sedicesimo delitto. Burke fu  impiccato, grazie alla testimonianza del compare, il quale ebbe salva la pelle.
L’irrogazione della pena capitale, in epoca storica, ad Edimburgo avveniva pubblicamente su una larga piazza, sulla quale si assiepavano numerosissimi spettatori di tutte le classi. L’ultima impiccagione (1612), cui parteciparono ben 26.000 spettatori, viene ricordata oggi da un pub chiamato “Last drop” (Ultima impiccagione) che si trova nell’omonima piazza.

 Il Last Drop,pub

Pub Last Drop internoIl Last drop, pub

 
The Castle

 Edimburgo Panorama

Il Castello di Edimburgo è unico al mondo per la sua posizione strategica e dominante. Svetta al sommo d’una collina vulcanica formatasi 35 milioni di anni fa, nella quale sono stati rinvenuti insediamenti dell’età del bronzo. Praticamente imprendibile, già Tacito ne dà notizia nel “De Agricola” come fortificazione inaccessibile.

Castello di notteCastello dCastello al tramontoCastello da Princes Street La fortezza è intagliata nella roccia viva e nel corso dei secoli questa roccia è divenuta il simbolo della libertà, dal momento che per il suo possesso gli scozzesi hanno combattuto senza tregua contro gli inglesi.

Castello dMaria Stuarda infanteDa sempre il castello è stato al centro di vicende legate alla storia della Scozia e della Gran Bretagna, ora di vendetta, di odio e di follia, ora d’amore e di spensieratezza. Giacomo II, sotto la tutela del cancelliere Crichton, una sorta di Richelieu scozzese, lasciò che vi fosse avvelenato un giovane appartenente alla famiglia Douglas,  fedele ai Tudor, durante il celebre “pranzo nero”. Vi soggiornò Cromwell,  mentre  il principe Carlo Stuart lo contemplò malinconicamente da lontano, nel 1745, perchè la guarnigione aveva rifiutato di riconoscerlo come re.
Nelle stanze del castello nacquero i sogni di Maria Stuarda di diventare regina d’Inghilterra al posto della cugina Elisabetta I. Ma la sua misteriosa vicenda, densa di delitti e di congiure, si concluse sul patibolo, condannata dalla cugina, dubbiosa fino alla fine se firmare la pena di morte. Nel castello era nato il figlio della Stuarda, Giacomo VI di Scozia, che, ironia dellasorte, divenne re d’Inghilterra con il nome di Giacomo I, succedendo ad Elisabetta I.  
All’interno del castello due costruzioni importanti: la cappella della regina Margherita, la Margaret’s Chapel, dell’XI secolo, una delle più belle costruzioni della vecchia Edimburgo, un oratorio di stile normanno, con un archetto della più pura ispirazione romanica; 

Cappella Santa Margherita
e lo Scottish National War Memorial, con i nomi di tutti i caduti scozzesi nelle due guerre mondiali, uno dei monumenti funebri più suggestivi del mondo.

Sacrario dei caduti, castello Edimburgo

 

La Pietra del Destino

 Pietra del destino

Tesoro Maria Stuarda


Nel Castello sono custoditi i gioielli della corona e la leggendaria Stone of Destiny (la pietra del destino), restituita ad Edimburgo dalla Corona Britannica nel 1996. Al centro di tante leggende, tra le quali quella che la vuole come cuscino di Giacobbe, siccome si narra nella Bibbia, la pietra è definita “parlante”, perché avrebbe indicato fino al 1292  il nome del sovrano da incoronare re di Scozia. Si dice anche che la pietra, dalla Terrasanta, fosse arrivata in Irlanda e, benedetta da San Patrizio, fosse stata usata come luogo per le incoronazioni dei re Irlandesi. Alcune leggende indicano inoltre che fosse l’altare itinerante di San Colombano.




L’ultimo re scozzese, ad essere incoronato sulla pietra, pare che sia stato John Balliol, nel 1292. Edoardo I, nel 1296, la portò a Westminster: vi rimase per 700 anni sotto il trono di legno, e vi furono incoronati tutti i re inglesi.

 incoronazione sulla Pietra del Destino

IL LAGO DELLE STREGHE

Fontana antico fossato Anticamente il castello era circondato da un lago ricavato dalla deviazione di un piccolo fiume. In esso era usanza, nel medioevo, gettare le donne accusate di stregoneria, alle quali venivano legati il pollice destro al piede sinistro e viceversa quello sinistro al piede destro. Se non ritornavano a galla, le donne erano considerate innocenti, ricevendo cristiana sepoltura a spese dell’Erario, mentre alle famiglie erano inviate formali scuse. Se, invece, ritornavano a galla, erano ritenute colpevoli e venivano mandate al rogo. Un modo come un altro per scaricare “al caso” la responsabilità di una morte certa.  

 

IL CODICE DA VINCI E
LA  CAPPELLA ROSLIN

Roslin Cappella, interno

Leonardo, Canone di perfezione

Il codice da VinciAppena fuori Edimburgo c’è la regione dei Lothians, disseminata di castelli, dimore storiche, cappelle. E’ assurta ai fasti della notorietà di tutto il mondo, la cappella Rosslyn (più esattamente Roslin) grazie al best-seller di Dan Brown “Il Codice Da Vinci”, che trova proprio nella cappella il suo epilogo. Fu costruita nel XV secolo dal Conte William di St. Clair, discendente di crociati e di Hugues de Payns, primo Gran Maestro dell’Ordine Templare. Lo schema architettonico del complesso presenta numerosi simboli esoterici e schemi di geometria sacra, che la fanno ritenere la replica del Tempio di Salomone. In due colonne sono scolpite piante sconosciute in Europa prima della scoperta dell’America. Per questo, si dice che la cappella sia il nascondiglio del Graal  e Dan Brown abbia fatto terminare proprio in questo luogo la sua ricerca e la storia.
Si ipotizza pure che la melodia misteriosa immaginata dal Codice da Vinci sia contenuta nei 213 cubi della cappella della Chiesa. Certo la fantasia di Dan Brown ha forzato la mano alla realtà. Tuttavia sono tanti gli argomenti che alimentano il mistero.

Cappella Roslin il fondatoreCappella Rosslyn emblema dei TemplariAd esempio appare contraddittorio il fatto che Oliver Cromwell, che ebbe caro il culto dei Templari, recatosi personalmente presso la Cappella di Rosslyn durante la guerra civile, lasciasse l’edificio intatto, mentre invece distrusse, pietra su pietra, il vicino castello dei Sinclair.

Croce del rosone Chapel RoslinCappella esterna RoslinEsterno Cappella Roslin La finestra della cripta Rosslyn
I simboli esistenti nella Rosslyn Chapel sono centinaia e pochi di essi sono simboli cristiani. Taluni sono perfino islamici. Un mistero che sicuramente continuerà a far parlare e a suscitare molte polemiche.

Ingresso cappella Rosslyn100k6330 585Rosslyn Chapel colonneIscrizione Chapell RoslinNelle vicinanze della Cappella,  sorge il Roslin Institute, dove è stato clonato con successo, nel 1996, da una cellula adulta, il primo mammifero, la pecora Dolly. L’esperimento è stato al centro di vivaci discussioni tra scienziati. Nel  febbraio 2003 Dolly fu abbattuta perché colpita da infezione polmonare, e dalla stessa data i suoi resti, impagliati, si trovano al Royal Museum di Edimburgo.

La pecora Dolly, Royal Museum

Il giorno della memoria

David Hume, filosofoAd Edimburgo nacque e morì David Hume (1711-1776), il quale nella sua opera fondamentale Trattato sulla natura umana, cercò di ridare con l’applicazione del metodo sperimentale dignità scientifica alla filosofia. Tale metodo scientifico il filosofo l’applicò alla morale, per cui la vera natura umana va ricostruita attraverso le percezioni e il sentimento: “le impressioni che sorgono dalla virtù sono piacevoli, le impressioni che sorgono dal vizio sono penose”. Secondo Hume è necessario trovare il principio fondamentale su cui sono fondate tutte le nostre azioni morali. Fu la “simpatia”: “La simpatia ci fa uscireda noi stessi. E’ essa che, di fronte al carattere di un altro, ci fa provare lo stesso piacere o dolore…” Per Hume in questo processo ricostruttivo da parte della mente i ricordi passati, le radici umane, quel che si è stati, sono fondamentali per alimentare tale “simpatia”. Un valore eccezionale da tenere presente nei giorni attuali nei quali si celebra la “Shoah”. Non bisogna mai dimenticare la nostra umanità, anzi bisogna ravvivarla con il ricordo, perché si aborriscano le atrocità del passato.

Praga, Sinagoga Pinkas 

 

 

 

05 sabato Gen 2008

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LA FEDELTA’ DEL CANE

 

L’INCREDIBILE STORIA
DI UN TERRIER EDIMBURGHESE

 Edimburgo, la storia di Bobby

Più che un fatto reale, la storia del cane edimburghese Bobby, morto nel gennaio del 1872, dopo aver vegliato sulla tomba del padrone ben 14 anni, ha quasi assunto un significato tra fiabesco e mitologico. La vicenda ha fatto a più riprese il giro del mondo ed ha ispirato scrittori e cineasti, che hanno immortalato le vicende del terrier.
Ancora piccolo, il cane era stato affidato ad una guardia notturna di Edimburgo, un certo John Gray, arrivato in città dalla campagna, con la moglie e un figlio, per fare il giardiniere.
Non avendo trovato il lavoro sperato, John Gray s’era dovuto accontentare di un più faticoso mestiere, nel servizio quotidiano di ronda notturna nel centro della Old Edinburg; che comportava, oltre i rischi, il freddo e il gelo della brutta stagione. Così, per mitigare la solitudine e la stressante routine lungo le vie acciottolate della capitale scozzese, l’uomo aveva deciso di eleggere come compagno d’avventura un simpatico cagnolino, che tutte le notti gli rendeva accettabili le gravose incombenze.
Padrone e cane era diventati, così, inseparabili amici. Ma se il cane si era assuefatto presto alla vita difficile, il fisico del padrone, minato dalla tubercolosi, non aveva retto.
La morte era venuta ad interrompere quindi quell’amicizia, durata appena due anni,  ma il cane aveva rifiutato subito quell’interruzione del rapporto  e, dopo aver seguito il feretro del suo padrone, durante il trasporto al Greyfrears Kirkyard della Old Town ( città vecchia) di Edimburgo, s’era accucciato sulla zolla dove era stato sepolto il padrone. Scacciatone a forza, tutte le sere egli riusciva però ad introdursi nel cimitero, dormendo tutta la notte, vicino al suo padrone. Di giorno gironzolava nei paraggi, accudito dalle famiglie del posto, impietosite dalla storia  e dal suo esempio di fedeltà. Il cane sembrava ridersene dell’inclemenza del tempo, ma accettava d’essere rifocillato nel ristorante, posto a due passi dal cancello del cimitero, dove si recava di buon grado per non allontanarsi mai dalle zone limitrofe alla tomba del padrone.

Ristorante di BobbyRistorante bobbysBar BobbysGreyfriars art shop

Anzi, si racconta che una grande folla a mezzogiorno si raccogliesse  nella piazza antistante al cimitero, per aspettare lo sparo di una pistola che dava al cane il segnale per andare a pranzo nel vicino ristorante. Il terrier, imperterrito, assai spesso se ne andava a scacciare  un pisolino, accucciandosi di fronte al cancello  del Greyfrears Kirkyard, alla confluenza di Candlemakers Row e King George IV Bridge.

Bobby si reca a ristorante

Ad Edimburgo ben presto cominciarono a circolare strane storie di cani-fantasma, forse messe in giro ad arte, e la municipalità prese la decisione di liberarsi di Bobby. Ma il Lord Prevost, Sir William Chambers (direttore della Società di Prevenzione della crudeltà sugli animali), pagò un forte riscatto per ottenere un nullaosta a favore del cane, il quale potè liberamente accedere al cimitero e, alla fine dei suoi giorni nel 1872 (il padrone era morto nel 1858), potè essere sepolto nelle immediate vicinanze della tomba del padrone. Entrambe le tombe furono poi realizzate con marmi di granito di uguale colore.

Edimbutgo la tomba di BobbyEdimburgo, la tomba del padrone di  Bobby Commossa da tanta devozione, durata ben 14 anni, la Città d’Edimburgo, su richiesta di Angelia Georgina baronessa Burdett-Coutts, Presidente del Comitato delle Donne RSPCA, gli eresse alla memoria una fontana di granito con una statua sulla cima.

Edimburgo, la statua di Bobby Sulla lapide di Bobby è stata scritta la frase di S.A. Reale, Duca di Gloucester – il 13 maggio 1981 –

“La fedeltà e la devozione siano una lezione per tutti noi”.

 
Tuttora, quotidianamente, sulla tomba di Bobby si trovano fiori freschi portati da amici degli animali.  Nel 1960, Walt Disney dedicò a Bobby un film, mentre nel 2006, tra gli eventi della Festa del Cinema di Roma, figurò anche una serata di beneficenza a favore del miglior amico dell’uomo, con la proiezione, al cinema Metropolitan, in anteprima nazionale, del film The Adventures of Greyfriars Bobby di John Henderson.

Bobby 

IL CANE NEI MITI GRECI

 
Ulisse riconosciuto dalle ancelle La fedeltà del cane edimburghese Bobby trova un precedente “nobile” nel mito greco di Maira, la cagnetta di Icario, eroe ateniese che aveva avuto da Dioniso il dono della vite. Egli aveva diffuso la coltura, ma i pastori, ubriacatisi, avevano creduto il vino un veleno e avevano perciò ucciso Icario, seppellendolo sotto un albero. La figlia Erigone , guidata dalla fedele cagnetta, aveva ritrovato il cadavere del padre e alla inaspettata scoperta s’era impiccata. Maira, invece, era rimasta sulla tomba del padrone, senza staccarsene fino alla morte. Icario, Erigone e Maira furono cambiati in costellazioni da Dioniso: Icario nella stella di Arturo (o Boote), Erigone nella Vergine, la cagnetta Maira nel Cane.
Ma il mito greco più famoso, relativamente alla fedeltà, resta quello del cane di Ulisse, Argo:

”Un cane, là sdraiato, rizzò muso e orecchie, Argo, il cane del costante Odisseo, che un giorno lo nutrì di sua mano, prima che per Ilio sacra partisse; e in passato lo conducevano i giovani a caccia di capre selvatiche, di cervi e lepri; ma ora giaceva là, trascurato, partito il padrone, sul molto letame di muli e buoi (…) là giaceva il cane Argo, pieno di zecche. Avvertendo la vicinanza di Ulisse, mosse la coda, abbassò entrambe le orecchie, ma non riuscì a correre incontro al padrone. Questi, voltandosi, si terse una lacrima, facilmente sfuggendo a Eumeo: e subito con parole chiedeva: Eumeo, che meraviglia quel cane là sul letame! Bello di corpo, ma non posso capire se fu anche rapido a correre con questa bellezza, oppure se fu soltanto come i cani da mensa dei principi, che per lo splendore i loro padroni li allevano. E tu rispondendogli, Eumeo porcaio, dicevi: Purtroppo è il cane di un uomo morto lontano. Se per bellezza e vigore fosse rimasto come partendo per Troia Odisseo l’aveva lasciato, t’incanteresti a vederne la bellezza e la forza. Non gli sfuggiva, anche nel cupo di folta boscaglia, qualunque animale vedesse, era bravissimo all’usta. Ora è malconcio, sfinito: il suo padrone è morto lontano dalla patria e le ancelle, infingarde, non se ne curano (…)” (Odissea 17.291-327).

Filosofo cinicoIl cane, quale amico privilegiato dell’uomo, rientra nei culti e nei miti di tutti i popoli. Anche in Sicilia vi era il culto indigeno del dio Adrano, probabilmente personificazione del vulcano Etna, il cui tempio era difeso da mille cani, specie di molossi che accoglievano benevolmente i visitatori del tempio, ma li sbranavano se essi erano ladri o si macchiavano di azioni nefande.
Quella di vivere in simbiosi con i cani o alla maniera dei cani fu, nell’antica Grecia, una vera filosofia che sfociò nella scuola cinica, i cui maggiori rappresentanti furono Antistene (prima metà del IV secolo a.c.), Diogene di Sinope (seconda metà del IV secolo) e Menippo di Gadara (III secolo a.c.). I cinici vivevano allo stato di natura, abbandonando i beni e gli usi della vita civile (Diogene ad esempio viveva in una botte e conduceva una vita randagia alla stregua dei cani) e rifiutando le leggi delle comunità politiche. Si ridussero a vivere come cani, anche se il nome di cinici fu dato dal Cinosarge (“cane agile”), il luogo del Ginnasio d’Atene dove si riunivano. Caratteristiche di questa filosofia fu prevalentemente l’etica austera, fondata sull’indifferenza ai bisogni e sul rigore morale, nonché sull’autarchia e sulla pratica di vita virtuosa, con la compressione dei bisogni, limitati a quelli elementari.

 





Luigi Pirandello LA NOVELLA DI PIRANDELLO

 

Luigi Pirandello pubblicò per la prima volta la novella La fedeltà del cane  il 16 dicembre 1904 sulla rivista Il Marzocco. Il racconto uscì poi nella raccolta La vita Nuda, edizione Treves, Milano, 1911. La raccolta, con lo stesso titolo, uscì in seguito nel 1922 per i tipi Bemporad.

Il cagnolino Liri, protagonista della novella,  appartiene ad una nobildonna, Donna Livia, sposata con il Marchese Giulio del Carpine. La fedeltà del cane, adombrata dallo scrittore, è vista come argomento umoristico, assurdo, come controcanto all’infedeltà della donna, creduta dal marito senza macchia e incapace di tradimenti, ma che invece beffa il coniuge e l’amante.

Don Giulio del Carpine apprende dalla sua amante, Donna Giannetta, che il marito Lulù Sacchi, s’incontra con Donna Livia in un quartierino di Roma. Al marchese, che discetta con la sua amante sulla gelosia, intesa da lui come poca stima in sé stessi, non può far pace che un uomo che considera inferiore a lui, un uomo ritenuto scadente anche agli occhi della sua amante, possa avere stuzzicato l’interesse della moglie, molto tranquilla e poco passionale. Si reca perciò sul luogo dove avvengono gli appuntamenti.

Qui giunto, pensa di appostarsi in un portone ed ha la sorpresa di trovare l’amante della moglie, Lulù Sacchi, pure lui appostato, che accarezza Liri, il cagnolino che Donna Livia è costretta a lasciare in strada, sotto il portone, quando si reca agli incontri amorosi. Il cagnolino fa festa ad entrambi “i padroni”.

 

Era uno spettacolo commoventissimo la fedeltà di questo cane d’una donna infedele, verso quei dueUn cocker uomini ingannati. L’uno e l’altro, ora, per sottrarsi al penosissimo imbarazzo in cui si trovavano così di fronte, si compiacevano molto della festa frenetica ch’esso faceva loro.

 Ma il cane, improvvisamente, si sottrae alle attenzioni dei due e va in strada, restando confuso nel trovare il secondo amante, un uomo giovane e aitante, che esce dal portone.
Colto da un raptus di rabbia, il marchese allunga un calcio alla bestiola ritornata nel portone a fargli festa, per il corrivo di quella fedeltà “scandalosa”, ma con il compiacimento 

“che, per Lulù almeno, era come aveva detto lui: che veramente, cioè, sua moglie non aveva potuto prenderlo sul serio, e lo aveva ingannato, ecco qua; e non solo, ma anche schernito! anche schernito!”

 E’ la consolazione misera ed umoristica dell’uomo ingannato, che tradisce spudoratamente la moglie e pretende che lei non lo tradisca, ma si trova nudo di fronte al suo doppio tradimento. Emerge in questa situazione umoristica il sentimento del contrario di Pirandello fedeltà-infedeltà, che è trattato anche con finissima psicologia nel lumeggiare i caratteri e le logiche maschili e femminili.    

 

LA CARRIOLA

 Il gioco della carriola

Nella novella La carriola Pirandello mette ancora al centro della storia il rapporto tra cane e padrone. La carriola è un gioco fanciullesco tra due bambini, mediante il quale uno prende per i piedi l’altro, e il secondo è costretto a camminare sulle mani, appunto come se il primo stesse trasportando una carriola.

…Appena posso, appena qualche cliente mi lascia libero un momento, mi alzo cauto, pian piano, dal mio seggiolone, perché nessuno s’accorga che la mia sapienza temuta e ambita, la mia sapienza formidabile di professore di diritto e d’avvocato, la mia austera dignità di marito, di padre, si siano per poco staccate dal trono di questo seggiolone; e in punta di piedi mi reco all’uscio a spiare nel corridoio, se qualcuno non sopravvenga, chiudo l’uscio a chiave, per un momentino solo; gli occhi mi sfavillano di gioia, le mani mi ballano dalla voluttà che sto per concedermi, d’esser pazzo, d’esser pazzo per un attimo solo, d’uscire per un attimo solo dalla prigione di questa forma morta, di distruggere, d’annientare per un attimo solo, beffardamente, questa sapienza, questa dignità che mi soffoca e mi schiaccia; corro a lei, alla cagnetta che dorme sul tappeto; piano, con garbo, le prendo le due zampine di dietro e le faccio fare la carriola: le faccio muovere cioè otto o dieci passi, non più, con le sole zampette davanti, reggendola per quelle di dietro…

E’ un gioco d’infanzia, che Pirandello avrà fatto tante volte, con i cugini o i fratelli, un gioco divertente. Ma fatto da adulti, e per di più con un cane, non è divertente affatto; anzi, appare un’assurdità, una pazzia, un fatto ludico grottesco. E così l’uomo rispettabilissimo che lo compie nel racconto, un professore e avvocato affermato, lo vede come una pazzia che lo sottrae a quella forma cui l’ha imbalsamato l’opinione di tutti, ma alla quale non si può sottrarre, se non con un atto estremo, assurdo, incomprensibile, che va tenuto segreto, ma che lo sottrae ad una logica sociale e a parametri, nei quali non si è mai ritrovato. Affiorano le classiche tematiche pirandelliane del relativismo della vita, della pena di vivere così, senza potersi sottrarre alla forma della propria esistenza che ci costringe il flusso della vita. Per cui l’unica soluzione per uscire dalle secche della logica della vita appare la pazzia di un atto grottesco.

 

LA VENDETTA DEL CANE

Pirandello al lavoroAnche ne La vendetta del Cane, Pirandello riafferma fondamentalmente la fedeltà e la riconoscenza dell’animale nei confronti dell’uomo che se ne prende cura. Il cane rimane sempre amico dell’uomo, ma viene “utilizzato” per perpetrare la vendetta di Jaco Naca, un possidente, che vende per una manciata di pasta una poggiata a solatio sotto la città, ritenuta di nessun pregio, ma che, sfruttata dall’acquirente, diventa produttiva con la costruzione di due splendidi e costosi villini. Jaco Naca cita in giudizio, senza esito, l’acquirente; e allora pensa di vendicarsi, portando un suo cane su una sua proprietà vicina ai due villini, lasciando l’animale lì, giorno e notte, morto di fame, di sete e di freddo. Ovvio che il cane diventa, soprattutto di notte, un indiavolato,  dandosi a guaire e a uggiolare molto fortemente e con molta intensità e disturbando tutti gli abitanti della zona. Una sera, il proprietario di uno dei villini, esasperato, spara. E allora tutti coloro, i quali prima sbraitavano contro il cane e il suo padrone, parteggiano per il cane, che in fondo non aveva alcuna colpa, ma che era tenuto a stecchetto dal padrone. Questi, a sua volta, si fa vedere armato di fucile, pronto a sparare su chi aveva osato prendere di mira il cane.
Qualche giorno dopo, una bambina, impietosita, scende a dar da mangiare al cane, che le fa molta festa, suscitando però il livore dello sparatore, il quale nella notte dà da mangiare al cane polpette avvelenate. Constatata la morte del suo cane, Jaco Naca tende un agguato al possibile responsabile e finisce per sparare mortalmente alla bambina, recatasi a sfamare l’animale e ignara della sua morte.
Una vicenda truce con contrasti di situazioni, che s’incrociano, anche all’interno della psiche: amicizia e inimicizia, rancori e pietà, comprensioni e agghiaccianti ritorsioni. Ognuno, nel flusso della vita, sostiene la propria parte e le proprie ragioni istintivamente, “irragionevolmente”, fino alle estreme conseguenze, fino alla pazzia.

“Il nostro spirito consiste di frammenti, o meglio di elementi distinti, più o meno in rapporto tra loro, i quali si possono disgregare e ricomporre in un nuovo aggregamento”  (Pirandello, Scienza e critica estetica)   
 

AGRIGENTO E I CANI RANDAGI

 Cane randagio

Sembra essere migliorato il fenomeno del randagismo ad Agrigento, che fino a poco tempo fa aveva allarmato la popolazione, anche se i controlli degli enti preposti devo essere perseguiti con costanza, perché il fenomeno non è del tutto eliminato.  L’Amministrazione comunale si sta ponendo l’obiettivo di lanciare una campagna di propaganda contro l’abbandono dei cani, che è la causa scatenante del randagismo. Dovrebbe essere l’Associazione animalista “Aronne” a farsi parte diligente di questo progetto, tramite un sito e una pubblicità adeguata in tutto il territorio comunale. L’Associazione ha chiesto già al Comune un locale adeguato per poter avere una base logistica e operativa. Proprio ieri sera ha preso le mosse tale progetto con una serata dedicata all’amicizia nei confronti del cane, alla quale ha partecipato il noto comico Sasà Salvaggio.

 Festa dei cani

Rosalda PassarelloL’Assessore Comunale alle politiche ambientali, alla Sanità, e all’arredo pubblico, Rosalda Passarello ritiene che abbattere con strumenti civili e dignitosi il fenomeno del randagismo sia un primo gradino per la vivibilità di una città che dovrà pure avvalersi di spazi e di verde adeguati.
Altro progetto varato dall’Amministrazione è la realizzazione di un
concorso finalizzato alla promozione volontaria del verde in città, denominato "La città in fiore".
Si tratta di un concorso, aperto a tutti (privati cittadini, aziende, società, esercizi commerciali, enti, associazioni, etc.) e prevede l’abbellimento (mediante piante, fiori, addobbi, etc.) di spazi privati (balconi, davanzali, vetrine, esercizi commerciali prospettanti su spazi privati, etc.) o pubblici (esercizi commerciali prospettanti su marciapiedi e strade pubbliche, portoni, etc.) a totale cura e spese degli stessi partecipanti al concorso.

– La partecipazione al concorso per l’abbellimento di spazi pubblici (marciapiedi o strade pubbliche) è soggetta a limitazioni:
a) potranno essere collocati un numero massimo di due elementi fissi (fioriere o simili) per
ogni numero civico da abbellire (portone, vetrina commerciale, etc.), di forma e
dimensioni adeguate e proporzionate allo spazio disponibile;
b) il materiale di dette fioriere, dovrà essere costituito esclusivamente da cotto naturale,
legno, ghisa, acciaio trattato ad effetto ghisa, brunito, o naturale, in relazione al
contesto architettonico preesistente, col divieto tassativo di utilizzo di altri materiali
(conglomerati cementizi, materiali plastici o ad imitazione dei predetti materiali prescritti,
etc.);
e) l’eventuale occupazione di marciapiedi, non dovrà costituire ostacolo alla libera
circolazione dei pedoni e dei portatori di handicap, tranne che il marciapiede non sia
attiguo a sede stradale con destinazione esclusiva o prevalente di isola pedonale;
d) l’eventuale occupazione della sede stradale, potrà essere consentita esclusivamente in
quei tratti della carreggiata nei quali è vietata la sosta dei veicoli, ed in ogni caso, dovrà
essere garantito che per tutta la sede stradale libera, antistante alla predetta
collocazione, sia garantita la libera circolazione dei veicoli in tutti i sensi di marcia
consentita;
e) l’Amministrazione comunale potrà ordinare il ripristino dello stato originario, nei casi di
inosservanza delle prescrizioni.
Città in fiore Agrigento

Al termine del concorso, tutti gli elementi collocati dai partecipanti saranno liberamente
donati alla Amministrazione comunale, che potrà decidere di rimuoverli o di mantenerli in
situ, apponendo sugli stessi il logo del Comune (se valutati qualitativamente adatti al
contesto ambientale e se non in contrasto con le prescrizioni).
Rimane a totale cura e spese dei partecipanti al concorso, la manutenzione e la costante
piantumazione delle fioriere rimaste in situ, nonché la sostituzione con altre uguali, in caso
di danneggiamento, dandone preavviso al Comune.
A compenso della attività di manutenzione e coltivazione, non sarà richiesto e dovuto il pagamento dei tributi relativi alla occupazione del suolo comunale.


Rosalda Passarello

Un programma dignitoso che l’Assessore Rosalda Passarello vuol arricchire con il censimento e catalogazione di tutti gli alberi e le piante della città dei Templi, allo scopo di migliorare la loro conoscenza e fruizione, nonché una più immediata manutenzione.
Da ciò potrebbe scaturire un Orto Botanico Allargato, essendo numerosi i giardini pubblici e molto vasto il territorio comunale dedicato a verde.

 




(Ubaldo Riccobono, tutti i diritti riservati)

27 sabato Ott 2007

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budapest, chiesa, letteratura - articoli, libertà, natura, poesia, politica, racconti, scuola, sogni, storia, ungheria, viaggi

PRAGA E BUDAPEST
COSI’ SIMILI COSI’ DIVERSE

 SECONDA PARTE

 

BUDAPEST E LA LIBERTA’
A COSTO DELLA VITA

 Budapest, Piazza degli Eroi
“Rimani solo e ricorda. Rimani solo e osserva. Rimani solo e rispondi. Non illuderti: non esistono soluzioni diverse. Rimani solo, anche a costo della vita”
                                                                                   
Sàndor Màrai, Cielo e terra
(1942)

Ansa del DanubioBudapestDicono che i cieli azzurri d’Ungheria, così intensi sullo specchio trasparente del Danubio, assomiglino molto agli occhi degli ungheresi, nei quali è facile leggere  il valore diamantino della libertà, cui essi aspirano da sempre. Non si sa se questa favola sia vera, ma cielo, Danubio e occhi degli ungheresi sembrano d’un unico colore.

Budapest, il DanubioBudapestBudapest, Piazza degli Eroi
 

Budapest, Piazza degli Eroi

Budapest, statua Santo StefanoCerto è che un precetto del primo re, Stefano I (santo Stefano), a beneficio del figlio Emerico, dimostra la propensione alla libertà, alla pace e alla tolleranza del popolo ungherese:

“Unius linguae, uniusque moris regnum imbecille et fragile est”

 “Lascia agli stranieri la loro lingua e le loro abitudini, giacché il regno che possiede una sola lingua, e dappertutto i medesimi costumi, è debole e caduco”
Gli “Ammonimenti  di Santo Stefano al figlio Emerico”, sia pure in latino, costituiscono uno dei primi testi della letteratura ungherese e la pietra miliare dello Stato ungherese.
La visione di Stefano primo, che riuscì a unificare varie etnie, tra le quali le genti che discendevano dai Romani, dagli Unni, dai magiari e da altri popoli nomadi, era sacrosanta, perché soltanto cementandone lo spirito, sotto l’egida del cristianesimo e lasciandone liberi gli usi e costumi, poteva favorirsi il formarsi di una nazione e l’integrazione graduale dei popoli. Era nato il Regno d’Ungheria, per la cui identità il popolo ungherese avrebbe lottato per sempre.

Budapest, Corona di Santo Stefano

La corona di Santo Stefano è da sempre il simbolo della nazione ungherese


I romani erano giunti nell’Ungheria abitata da popoli nomadi, chiamata allora Pannonia, e ne avevano fatto una comunità municipale con la città di Aquincum (nei paraggi di Obuda, Budapest) e avevano fissato i loro confini proprio in riva al Danubio, in prossimità di quella che oggi viene chiamata l’Ansa del Danubio.Ansa del DanubioAnsa del Danubio

Ungheria, Ansa del Danubio

Ansa del DanubioDunakanyar viene chiamata in ungherese l’Ansa, un paesaggio naturalistico che si snoda per venti chilometri (distante una sessantina di chilometri da Budapest) dove il fiume scorre in una valle incassata tra i monti e piega tortuosamente verso sud, formando quasi un naturale lago azzurro.

Ungheria, Ansa del DanubioUngheria, Ansa del Danubio
Poco lontana dall’Ansa, sorge su un monte, l’antica capitale Esztergom, con la aerea Cattedrale dell’Assunzione, che rappresenta la storia di mille anni della chiesa cattolica ungherese.

Ungheria, La Basilica di EsztergomBudapestBasilica di Estergom


Budapest, Basilica di Santo Stefano

Budapest, Basilica di Santo Stefano, campanileBudapest, pavimento esterno cattedrale



La storia dell’Ungheria è intessuta dalle continue lotte per l’indipendenza, che nella città di Budapest mostrano segni visibili in costruzioni, volute e pensate per ricordarle.

Budapest, Bastione dei pescatori.Cavaliere unghereseIl Bastione dei Pescatori, cosiddetto dalla Corporazione che s’incaricò di difendere Budapest e l’Ungheria dai Mongoli, fu costruito in stile neoromanico, ai primi del ‘900, a Buda (teatro delle operazioni di guerra) dall’architetto Frigyes Schulek. Da esso può ammirarsi il panorama di tutta la città, del Danubio e dei suoi ponti, che arriva a spaziare sui lontani monti, in tutte le direzioni.

 Budapest

La Chiesa Mattia fu edificata dal sovrano Béla  IV per lo scampato pericolo di una pestilenza, a seguito dell’invasione dei Mongoli, che avevano devastato Budapest.

 Budapest

Budapest, Isola MargheritaBela IV e la moglie Maria Lascaris consacrarono la figlia Margit (Margherita) a Dio, prima che nascesse e per l’Ungheria fu un gesto che scongiurò l’assoggettamento al popolo invasore. Il padre costruì su un’isola del Danubio un monastero per lei, dopo che ebbe vestito l’abito bianco delle domenicane, a Vezprèm.
Da allora l’isola viene chiamata Margit ed è il luogo, al quale gli ungheresi sono più affezionati, dove la tradizione del nome Margherita viene rinverdita da un bellissimo parco, ricchissimo di fiori.

 Budapest, Isola Margherita


Budapest, Isola MargheritaBudapest, Isola Margherita


Budapest, Isola MargheritaBudapest, Isola MargheritaBudapest, Isola Margherita

Ungheria, Cielo a VisegradLa Chiesa Mattia prese il nome dal re Mattia Corvino,Ungheria, Basilica di Esztorgom del ramo Iagellone, strenuo difensore della tradizione cattolica della chiesa ungherese dall’attacco dei Turchi, i quali, poi, avendo avuto il sopravvento, la trasformarono in moschea.

 Sommità
del Campanile


Budapest, interno chiesa Mattia   


                                                      Altare


Interno scenografico della chiesa Mattia



Alla fine del XVII secolo, dopo varie lotte contro i Turchi, l’Ungheria diventa una provincia dell’impero asburgico. Lo spirito d’indipendenza degli ungheresi, sempre vivo, sfociò nei moti rivoluzionari, dei quali L. Kossuth fu il propugnatore liberale.

Budapest, KossuthSandor PetofiA scatenare l’insurrezione armata a Budapest fu il poeta Sandor Petofi con il suo Canto Nazionale, che infiammò i patrioti:

 

In piedi Magiari, la Patria ci chiama!

Il tempo è arrivato, adesso oppure mai!

Rimaniamo schiavi o diventiamo liberi?

Questa è la domanda, scegliete ora!

Al Dio dei Magiari

giuriamo,

giuriamo che più oltre

non saremo più schiavi!

La vis poetica di Sandor Petofi, giornalista scrittore oratore, si espresse anche in liriche amorose Fronde di cipresso e Perle d’amore, Poesie complete e l’Apostolo, storia quest’ultima di un rivoluzionario che s’immola per la libertà del suo popolo. Famosa una delle sue poesie, che dedicò alla moglie Giulia, da lui amata burrascosamente e sposata due anni prima della sua morte, avvenuta sui campi di battaglia contro i russi.

Io sarò  albero se ti farai
fiore d’un albero:
se rugiada sarai,  mi farò  fiore.
Rugiada diverrò, se tu sarai
raggio di sole:
così, mio amore, noi ci uniremo. 

Se, mia fanciulla, tu sarai cielo,
io diverrò, allora, una stella:
se, mia fanciulla, tu sarai inferno,
io, per amarti, mi dannerò.

Budapest, Isola Margherita



Le lotte di Kossuth e Petofi, se non altro, servirono a ripristinare in Ungheria la dignità di un Regno indipendente, anche se sul trono sedeva l’imperatore d’Austria degli Asburgo.






Budapest, Piazza degli EroiGli Asburgo governeranno fino al crollo  dell’impero, avvenuto con la fine della prima guerra mondiale.Divenuta repubblica e considerata perdente, l’Ungheria perde parte dei suoi territori e nel 1920 il Parlamento vota per la costituzione del Regno, affidando la reggenza all’ammiraglio Miklòs Horthy, il quale governerà con autoritarismo reazionario.
Gli ungheresi vanno fieri del loro Parlamento, istituzione che per loro simboleggia la sovranità popolare, anche se in quei periodi storici fu esautorato delle sue funzioni costituzionali.

Budapest, il ParlamentoBudapest, Parlamento internoBudapest, ParlamentoBudapest, Parlamento

Budapest, Parlamento internoBudapest, il ParlamentoDurante la seconda guerra mondiale l’Ungheria è occupata dalle forze naziste, che vi insediano un governo fantoccio. Dopo la disfatta del nazismo, saranno i comunisti ad andare al potere con il filostalinista Mathyas Rakosi. Rakosi viene sostituito dal riformista Imre Nagy, il quale però trova ostacoli nella destalinizzazione del paese, fino ad essere defenestrato dal partito, su ordine di Mosca, agevolando il ritorno di Rakosi. Ma l’anelito d’indipendenza è irrinunciabile e il 23 ottobre del 1956, dopo che l’anno prima gli studenti ungheresi avevano solidarizzato in piazza con gli operai polacchi in lotta a Poznam, scoppia la rivolta antisovietica. La repressione dell’Armata Rossa è violentissima.

Carri armati a BudapestJoszef MindszentyBen ventimila ungheresi moriranno negli scontri armati e altri duemila, tra i quali Imre Nagy, nominato primo ministro nei giorni dell’insurrezione, saranno poi giustiziati, dopo processi sommari. 250.000 saranno i profughi.
Ad animare la rivolta, con il suo esempio di spirito libero antisovietico, sarà anche  il primate della chiesa cattolica, cardinale Joseszf Mindszenty, arcivescovo di Estorzgom.
Mindszenty era stato arrestato dagli stalinisti nel 1948 per alto tradimento e condannato all’ergastolo con un processo burla. Durante i giorni dell’insurrezione viene liberato a furor di popolo il 30 ottobre. Resterà ad interporre i suoi buoni uffici per la pace e la distensione fino al 1971, allorquando, su consiglio di Paolo VI, riparerà in Austria, dove morirà nel 1975, rimanendo nei cuori degli ungheresi come apostolo della libertà.
L’8 ottobre 1989  il partito comunista ungherese viene sciolto e l’Ungheria diventa repubblica indipendente. Il cardinale Mindszenty viene traslato nella cripta della cattedrale di Esztergom nel 1991.

Ungheria, Basilica di Esztorgom                            Giovanni Paolo II nella cripta del cardinale Mindszenty

Lo scrittore Sandor Marai


Interprete del travaglio per la libertà del popolo ungherese è l’opera dello scrittore Sandor Marai, il quale, dopo aver assistito alle atrocità naziste e all’avvento del potere stanilista, andò a vivere, esule, negli Stati Uniti. La grande solitudine che lo circondò, quasi isolandolo, traspare da tutta la sua poetica, in quella che appare la ricerca impossibile della felicità dell’uomo del novecento. Marai, ironia della sorte, si suicida proprio nell’anno dello scioglimento del partito comunista ungherese e della conquista della libertà definitiva del popolo ungherese.

 

La statua della libertà e della pace

Quella di adesso è una Budapest “occidentale”, con i pregi e difetti di una capitale europea, città nella quale può trovarsi il consumismo facile, ma anche la soddisfazione di bisogni sociali e culturali.

Visegrad, sul lungofiumeVisegrad, artisti sul lungofiume

Budapest, un locale a luci rosseBudapest, violinistaBudapest, ViolinistaBar del Boscolo HotelBoscolo hotel, bar






Il Toro del Boscolo Hotel










Ma se sono stati sciolti i nodi primari della libertà e dell’indipendenza, il popolo ungherese, che si sente dal punto di vista economico a metà del guado, s’interroga, come tutti i popoli d’Europa, sulle contraddizioni del capitalismo, sulle sacche di povertà, sulla giustizia giusta, sulle nuove oligarchie dominanti. Anche gli ungheresi, che hanno conquistato da poco la libertà, unitamente all’ingresso nella Comunità europea, vogliono quindi che essa venga utilizzata bene.

Uno scorcio di Budapest

 Budapest

Una Budapest che di notte mostra un aspetto di sogno, ma che nasconde nelle sue pieghe esigenze e inquietudini che possono emergere, ma la piazza degli Eroi è sempre là ad ammonire.

 Pest di notte

Budapest di notteBuda di notteBudapest, Una via di notte

Budapest, Piazza degli eroi


Ricordi di scuola
(racconto in due episodi)

I ragazzi della via Pal 
Quella sera, mio fratello mi trasse in disparte, dicendomi in maniera sibillina:

“Spero che domani farai il bravo, andando regolarmente a scuola…”

Ricollegai subito il suo invito alle sconvolgenti immagini dell’Ungheria, che erano sfilate pochi minuti prima alla Tv, e mangiai quindi la foglia:”Perché mi dici queste cose?” chiesi, facendo lo gnorri.

“Monoscopio raiNiente, niente…” rispose lui.

Con mio fratello ci toglievamo quattro anni; lui studiava per geometra, mentre io frequentavo il primo anno delle scuole medie. Essendo il fratello piccolo da proteggere, lui si sentiva in obbligo nei confronti dei miei genitori, come se avesse ricevuto un incarico speciale. A volte la sua missione risultava asfissiante, ma spesso era determinante, per via della sua temuta forza di toro, che mi toglieva d’impiccio con i ragazzi  più grandi, che avrebbero voluto tiranneggiarmi.

Da quello che mi aveva detto quella sera, arguii che anche gli studenti della nostra città, come tutte le città d’ Italia, avrebbero inscenato una manifestazione pro Ungheria, così come i commentatori televisivi avevano ribadito.

Manifestazione di piazzaAttesi il momento opportuno e, quando nessuno fu nei paraggi, andai ad attaccarmi al telefono del corridoio, per sentire le ultime novità da Ercole, il capoclasse, così detto per la sua corporatura e la sua altezza da mastodonte. Egli mi confermò la notizia dello sciopero: la partecipazione delle scuole medie era facoltativa, ma lui s’era impegnato, e con lui i capi delle altre classi, a picchettare l’ingresso degli istituti, convincendo i compagni a disertare le lezioni. Io non tacqui i miei problemi e lui fu lesto a suggerirmi:”Vieni a scuola senza libri e, nel caso in cui i tuoi abbiano a ridire, potrai inventarti la scusa che il professore della prima ora non ti ha ammesso in classe.”

L’indomani uscii di casa per tempo. All’ingresso della scuola trovai Ercole, già nel pieno svolgimento del suo compito, mentre stava questionando con il Preside. La maggior parte degli alunni erano entrati alla chetichella, ma un bel gruppo, assai numeroso, stazionava nell’atrio, renitente ai richiami dei professori.

“Vi escluderanno, vi escluderanno… e avrete sette in condotta al primo trimestre.” ammonivano.

Quando fu l’ora convenuta, partimmo alla volta del luogo della manifestazione, dove ci saremmo riuniti al grosso del corteo. Eravamo allegri come una pasqua, felici di marinare la scuola, ma consapevoli dell’importanza dell’evento. Ercole e altri – come lui più informati – commentavano variamente le notizie dell’ultima ora. Ma, chi più chi meno, tutti conoscevamo l’Ungheria e Budapest, il Danubio e il lago Balaton e non avevamo bisogno di più per essere solidali con quel popolo. E poi l’Ungheria, al Festival del folklore, ogni anno mandava un signor gruppo, che sciorinava nelle danze tutta la sua bravura e riscuoteva sempre simpatia. Era bello vedere passeggiare, nel mese di febbraio, le flessuose ragazze ungheresi, dagli occhi azzurrissimi e dalle trecce voluminose, che scendevano sulle loro spalle, quasi a sfiorare il selciato. Per mio conto, avevo divorato I ragazzi della via Pal di Ferenc Molnar e avvertivo in quel momento una strana emozione, come se stessi vivendo una situazione non dissimile da quella del libro.

Ferenc MolnarDiscorrendo e scherzando, avevamo così raggiunto una fiumana di studenti, a metà del Corso principale.

Avvistai, quasi immediatamente, mio fratello, il quale mi fece da lontano un gesto abbastanza eloquente:

“Arrivati a casa, le buscherai!” era il significato.

Non ci fu il tempo  di parlare, perché, stretti nella morsa dei poliziotti, che ci sbarravano la strada a monte e a valle, rimanemmo imbottigliati. Non avevamo scampo: già i primi avevano ricevuto una buona razione di manganellate. Ebbi solamente il tempo di vedere Ercole e alcuni caporioni delle scuole superiori, sorta di giganti senza paura, lottare corpo a corpo con i questurini, perché mio fratello, rapido come un fulmine, mi spinse, assieme a una dozzina di ragazzi tra i più piccoli, in un portone. Riuscimmo a sprangarlo e non ci rimase che aspettare la fine della mischia. Mio fratello mi guardava silenzioso, pallido come un cencio per lo scampato pericolo. Si vedeva che tutta la sua preoccupazione era per me. Ogni tanto guardava dallo spioncino e, quando ne aveva la possibilità, apriva uno spiraglio, tanto quanto per consentire l’ingresso a qualcuno dei dimostranti.

La mischia durò appena mezz’ora, ma a noi, che tremavamo come foglie, sembrò un secolo. Più tardi, apprendemmo qualche dettaglio. Alcuni studenti, tra i quali Ercole, erano finiti all’ospedale a farsi medicare, in compagnia d’un paio di questurini, anche loro pestati a ragione. Altri erano stati fermati dalla polizia e, dopo una lavata di capo, erano stati rilasciati. Si parlò anche dell’assalto alla sede dei Partigiani, da parte di alcuni infiltrati, estremisti d’estrema destra. Mio fratello, a casa, mi giustificò, dicendo che non ero stato ammesso in classe, per via dell’antologia che non avevo portato al professore della prima ora. I miei genitori finsero, probabilmente, di accettare quella motivazione.

In città le forze dell’ordine furono assai criticate, per essere scese in piazza armate di manganelli, più per offendere che per difendere, e per aver consentito l’infiltrazione di picchiatori d’estrema destra. Le notizie s’accavallarono, e come sempre non si seppe mai la verità vera. Mio fratello non fece alcun motto, per lui l’episodio era acqua passata. A me rimase un rimpianto, di non aver potuto gridare “Ungheria! Ungheria!”

*******

 Durante la frequenza del liceo, avevo preso a studiare regolarmente con un mio compagno di classe, con il quale ero molto affiatato, al punto di dividerci, come fratelli, quei pochi soldi che avevamo in tasca e che non bastavano mai. Per essere più indipendenti, andavamo a studiare a casa dei suoi nonni, nella parte alta della città, dalla quale potevano vedersi i tetti di tutte le case, a scendere, giù giù, fino ai quartieri periferici; e da dove si poteva godere un magnifico panorama: della Valle dei Templi, del porto, della grande baia, da Punta Bianca a Capo Rossello, e, in fondo, dell’azzurra distesa del mare africano.

Il mio compagno, di pomeriggio, riceveva spesso un’amica e io ne approfittavo per affacciarmi al balcone del terzo piano, guardando a quello sottostante del palazzo di fronte, dove abitavano due giovani sarte, molto belle, dagli occhi azzurri, che si mettevano a cucire di pomeriggio sul balcone.

Il nostro regno era costituito da tre amplissime stanze, nelle quali potevamo fare tutto quello che ci talentava, considerato che il nonno del mio compagno, un invalido dagli arti inferiori amputati, che si muoveva a stento sulle stampelle, e la nonna, del tutto cieca, s’erano confinati a vivere in una grandissima camera da letto. Il mio amico se la prendeva comoda, ed io sbarcavo il lunario, cercando l’approccio con le giovani sarte, in verità con labili risultati.

Certe sere, alla fine delle lunghe ore di studio, con le teste ancora fumanti dei classici greci e latini, inventavamo per celia strani giochi. Dall’elenco telefonico sceglievamo dei cognomi, quelli che più potevano prestarsi all’ilarità, e congegnavamo preventivamente qualche storia, per poi effettuare spassose telefonate. Il più delle volte ci andava buca, e i malcapitati, inviperiti per il disturbo, ci sbattevano il telefono in faccia. Ma ogni tanto c’era un ingenuo, o un’ingenua, che ci dava retta. Così, con la scusa della telefonata misteriosa, trascorrevamo qualche ora in allegria.

Un pomeriggio di quelli, trovammo un cognome straniero: Ozebek. Apparteneva ad una donna e chissà perché pensammo subito che si trattasse d’un cognome ungherese. Concordammo che il mio compagno, sempre in gamba a padroneggiare la voce e a non farsi scoprire, avrebbe finto di chiamarsi Zatopek, ingegnere di passaggio venuto in Sicilia per affari, che per caso aveva scoperto l’esistenza di una connazionale ostetrica (tale era la professione segnata sull’elenco telefonico).

Qual non fu la nostra meraviglia nel sentire, all’altro capo del telefono, una voce giovanile, calda, gentile, dolcissima, vera musica per le nostre orecchie. Ci fece subito sognare, soprattutto quando sentimmo invitare l’ingegnere Zatopek ad andarla a trovare. Da orditori di piccoli inganni, ci sentimmo irretiti in un vero mistero. Le ungheresi le vedevamo ogni anno intrecciare danze stupende al Tempio della Concordia, giovanissime, leggiadre, scatenate. Erano le nostre ragazze ideali, il nostro sogno, con quegli occhi azzurri e il sorriso sulle labbra. Chissà com’era bella l’ostetrica Ozebek! Poteva essere una danzatrice, innamoratasi di Agrigento e rimasta in città; oppure era una viaggiatrice, arrivata per una visita fugace, e poi fermatasi, non si sa per quale imperscrutabile caso? Con quella voce non poteva che essere bella!

S’era deciso che, il pomeriggio dell’indomani, io passassi dalla via indicata sull’elenco telefonico, in prossimità di casa mia.  Arrivato al numero civico 21, notai un bel portone con un’artistica buca per le lettere e uno spioncino dorato; lo sormontava un lavorato balcone in ferro battuto, dal quale sporgevano numerosi vasi di fiori e di piante rampicanti. Lo stile era quello di chi amava la bellezza, la musica, la natura. E per gioco strano del destino, quei canoni s’erano come incarnati in quell’impareggiabile voce. Mentre, assorto in tali pensieri, m’ero allontanato alquanto, fui destato all’improvviso da una voce sublime, la stessa che avevo sentito al telefono e che ora mi arrivava alle spalle come un’onda sonora. Me ne stetti immoto a gustare la musica di quella voce: accordo armonico di suoni da me trovati nella mia anima?

Forse era paradossale, ma quella voce rievocava in me sogni d’infanzia; nenie soavi, forse, che riaffioravano prepotentemente. Quando mi voltai, l’incanto di colpo si dissolse. La voce, sì, era inconfondibile e gradevole come sempre, ma davanti a me c’era un’anziana signora dai capelli bianchi, grassa e incurvata dagli anni, nei tratti della quale e soprattutto negli occhi, aleggiava il pallido ricordo di un antico splendore, che strideva con i toni attuali del sogno.        

 

(Ubaldo Riccobono, tutti i diritti riservati)

30 domenica Set 2007

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arte e cultura, bambini, birmania, buddhismo, dittatura, droga, fratellanza, laos, libertà, pace, poesia, politica, storia, thailandia, triangolo doro, viaggi

GIU’ LE MANI DALLA BIRMANIA
E DAL SUD-EST ASIATICO

Piccolo monaco dietro le sbarre

UN PAESE
IN GABBIA






L’eccidio pareva cosa annunciata. I potenti della terra sapevamo e non avevano alzato un dito. Ora Stati Uniti, Cina, Russia dicono che qualcosa bisogna cambiare.
Se negli stati di tutto il mondo ci si mobilita, il regime militare del generalissimo Than Shwe spera, come in passato, che i veti incrociati possano avere il sopravvento. Nel lontano 1988 le sollevazioni s’erano concluse con tremila morti, con il prezzo più alto pagato dagli studenti. E poi arresti, epurazioni, delazioni, segregazioni, senza che nel mondo “civile” s’alzasse un dito. Nel 1990 la burla di elezioni democratiche, la vittoria di Aung San Suu Kyi, attuale premio Nobel per la pace, l’annullamento dei risultati, la segregazione della leader, regolarmente eletta, tuttora ai domiciliari.
In Birmania vi sono forti interessi di Russia, Nord Corea e Cina; quest’ultima ha un ruolo centrale nella crisi. Con il senno del poi i cinesi parlano della necessità di sviluppo e democrazia, ma non sconfessano nel Consiglio di Sicurezza dell’ONU l’operato della giunta militare birmana. Solo adesso che i monaci hanno  inscenato una marcia silenziosa per la democrazia e lo sviluppo, si accorgono che il paese è al collasso.

La marcia silenziosa  del dissensoI monaci non hanno solo fame, come tutto il popolo, hanno soprattutto sete: sete di giustizia, di libertà, di autodeterminazione, di democrazia, di libertà. Hanno manifestato e minacciano di non accettare la questua da parte dei militari. Il più grande affronto che un buddhista possa ricevere dai monaci, che vivono soltanto di elemosine e doni, così come volle Buddha. Ma la loro marcia silenziosa ha visto la durissima esecranda reazione del regime, che ha sparato sulla folla inerme, sequestrando i dimostranti, epurando e segregando intellettuali e studenti.

Nei paesi dei fiori e dei sorrisiPiccoli monaci alla questua

vuol nascere un nuovo fiore

e un nuovo sorriso: la libertà.

Il prezzo suo si paga sulle piazze

coperte ancora di sangue

tra il crepitio cupo della mitraglia

e le urla delle madri:

figli mietuti

monaci trucidati

studenti bastonati a morte

padri scomparsi nel nulla.

 

Il bavaglio,

mettete il bavaglio

ai morti che urlano,

alle madri che piangono,

agli orfani,

alle vedove…

 

Rispondono i Generali

 

Il bavaglio,

mettete il bavaglio,

ai monaci che marciano silenziosi.

Il loro silenzio è condanna,

strappate dal petto i loro cuori,

se pulsano ancora

 

Rispondono i Generali

 

Il bavaglio,

mettete il bavaglio,

ai giovani studenti.

Entriamo nelle università,

il sapere è il nostro nemico.

 

Rispondono i Generali

 

Il bavaglio,

mettete il bavaglio,

a tutti i giornali del mondo:

nessuno vuole sapere della Birmania,

siamo il Myanmar dei generali,

viviamo a Naypydaw

la capitale degli dei


Rispondono i Generali


Nei paesi dei fiori e dei sorrisi

vuol nascere un nuovo fiore

e un nuovo sorriso: la libertà.


Gridano i monaci in marcia

Thailandia, coltivazione di fiori

NEL TRIANGOLO D’ORO

Non bisogna sottovalutare gli interessi colossali che derivano dallo sfruttamento della coltivazione dell’oppio nella zona del Triangolo d’oro, la zona fluviale bagnata dal Mekong, un fiume giallo-ocra e fangoso, un tempo  meta della via della seta, dove soprattutto i cinesi realizzavano grandi ricchezze.

Triangolo dTriangolo dDove il fiume s’allarga come un lago, s’affacciano tre nazioni: la Thailandia, la Birmania e il Laos.
Vaste distese di foreste sono coltivate ad oppio, senza che gli stati possano fare granchè, nella giungla intricata e sulle colline impervie, dove mettere il naso è una sfida rischiosa, perfino a truppe equipaggiate.  Anzi vi sono connivenze, anche internazionali, perchè il narcotraffico è molto potente. Ma a beneficiarne sono solo in pochi; la popolazione è poverissima, si dedica a vendere souvenir e a modiche attività nel turismo, che i governi consentono. E’ libertà effimera darsi all’oppio per dimenticare.


Triangolo dNel triangolo d

Nei villaggi delle  foreste del Triangolo d’oro si fuma per dimenticare

I bambini sono sfruttati, nei loro volti c’è lo smarrimento di chi è senza avvenire, in paesi nei quali le ricchezze scorrono sotterraneamente in mille rivoli, che raggiungono le tasche di pochi privilegiati.

Triangolo dSulle rive del Mekong non è raro vedere costruzioni ed intraprese di persone abbienti, che vivono nel lusso e nello spreco. Appena oltrepassata la frontiera, in Birmania, c’è un grande Casinò, meta di ricchi visitatori, che arrivano in battelli sontuosi.

Birmania, Casinò sulla riva del  Mae Khong.Negli incerti confini del Triangolo d’oro, in passato, Thailandesi e Birmani, in guerra perenne, si contendevano la terra, palmo a palmo, e il potere.


Canto thailandese-birmano

La clessidra del tempo

fa ritornare i fantasmi, fratelli.

 

Vi sconfiggemmo in battaglia

fratelli birmani

ma eravamo anche noi mercenari

di un regno assoluto.

 

La clessidra del tempo

fa ritornare i fantasmi, fratelli.

 

Noi però tornammo in forze

con armi pesanti

e giungemmo nel cuore

delle vostre terre,

fino ad Ayutthaya,

distruggemmo i vostri templi

e vi addomesticammo.

Ayutthaya, capitale reale dell 

La clessidra del tempo

fa ritornare i fantasmi, fratelli.

 

Non siamo più nemici, fratelli,

camminiamo uniti, entrambi

nel nome di Buddha,

dopo che, grazie a lui,

stabilimmo liberamente

i nostri confini.

 

La clessidra del tempo

fa ritornare i fantasmi, fratelli.

 

Nuovi mercenari sono tornati

per oscurare la religione dei padri

e il pensiero dei nostri figli,

gli unici che ci hanno permesso di vivere

nella speranza della libertà,

mai la potranno cancellare

dai nostri cuori

 

La clessidra del tempo

fa ritornare i fantasmi, fratelli.


 

Il ponte dell’amicizia

Thailandia: al confine con la Birmania

Nelle zone di confine

di Thailandia e Birmania

regna sempre la paura

dei signori della guerra

sempre in sella

per il dominio dei popoli.

I gendarmi dettano legge

e vogliono sigillare a vita

anche la religione.

Due giovani monaci

passano sul ponte

che unisce i due paesi;

sognano insieme nuovi orizzonti:

nelle zone di confine

non esistono confini

per i popoli fratelli

che vogliono la libertà.


Non è solo la Birmania ad essere governata da una Giunta di generali. Anche la Thailandia è retta da un regime militare, che dovrà garantire regolari elezioni, il prossimo 23 dicembre. L’ascesa dei militari al potere era avvenuta in maniera incruenta, lo scorso anno, con lo spodestamento del premier thailandese Thaksin Shinawatra, magnate delle telecomunicazioni e da poco anche proprietario del Manchester City. La Corte Suprema thailandese ha emesso contro di lui e la moglie Pojaman un mandato di arresto per corruzione e altre vicende che lo hanno visto protagonista. Recentemente la Giunta Militare ha approvato  la nuova Costituzione, che secondo l’opposizione limita, a vantaggio dei militari, i poteri del Governo che dovrà essere eletto.

Bangkok, palazzo realeAnche nel Laos c’è un regime di ferro, che si contraddistingue per arresti arbitrari per motivi ideologici, esecuzioni sommarie, sparizioni di cui sono vittime donne, bambini, adolescenti dell’etnia Hmong. Tale intollerabile situazione, che calpesta la libertà e i diritti fondamentali, non è minimamente avvertita dalla comunità internazionale.

LA RIBELLIONE DEL BUDDHISMO

Interno di un tempio buddhista"La dottrina è simile a una zattera, serve per attraversare agevolmente i fiumi, non per trascinarla sulle spalle"  Buddha

Fino a ieri l’ortodossia tradizionale buddhista, tramandata dai monaci più vecchi, era quella di dedicarsi  alla contemplazione e alla meditazione, per raggiungere il paradiso (Nirvana).

Statua di BuddaChedi Phra Pathom
Ma nel Sermone di Benares Buddha diede i pilastri della dottrina e individuò le tre radici del male: la concupiscenza (brama), l’ira (odio),  l’ottenebramento (cecità mentale). Per raggiungere il Nirvana per Buddha occorreva percorrere l’ottuplice sentiero: retta visione, retto pensiero, retta parola, retta azione, retta forma di vita, retto sforzo, retta presenza di spirito, retta pratica della meditazione.

Wat Prathat Doi Suthep, lWat Prathat Doi Suthep, statue di BuddhaSecondo i monaci giovani, il buddhismo sta perdendo di vista l’originaria dottrina del Buddha. I governi di Birmania, soprattutto, di Thailandia e del Laos hanno smarrito le virtù cardinali della dottrina, non solo perseguendo interessi personalistici, ma dando all’esterno e all’interno il cattivo esempio. In atto vi è uno scontro frontale tra nuova e vecchia generazione di monaci, la prima dissenziente nei confronti del potere, la seconda allineata con l’establishment dominante.

Wath Prathat Doi Suthep, interno, monaco benedicente.


Piccolo monaco



La nuova generazione raccoglie anche le istanze di democrazia e di sviluppo richieste dal popolo, dagli studenti e dagli intellettuali, soffocate in maniera evidente in Birmania e, in maniera strisciante e perfida, in Thailandia e Laos. Non si tratta soltanto, quindi, di un problema di svolta economica  e politico-sociale, ma di assetto filolosofico, religioso ed esistenziale, più rispondente ai canoni del buddhismo, in una società che sta per imitare l’occidente nei valori capitalistici di vita, mentre si ritiene che i giovanissimi monaci devono essere formati secondo gli indirizzi autentici della dottrina.

La vecchia generazione invece rimane abbarbicata a valori di una tradizione stantia, collusa con il potere e che nella generalità dei casi collabora con i regimi paternalistico-militari. Non bisogna dimenticare che  i magnati del potere si distinguono in laute donazioni, che oltre a sostenere il sistema monastico, concorre alla manutenzione e alla costruzione dei templi.

Vecchio monaco buddistaMonaco in letargoE’ impressionante il numero di templi, di statue e di costruzioni buddhiste, talune sfarzose, che sorgono dovunque (da vera nevrosi) e  abbisognano di essere mantenute in tutto il loro fulgore. Cosa che non può essere assicurata dal popolo, che vive nell’indigenza.

Wat Prathat Doi Suthep, Buddha sedutoStatua di BuddhaScenari aperti, quindi, suscettibili di svolte imprevedibili, ma che postulano l’esigenza di lasciare il Sud Est asiatico alla libera determinazione dei popoli che vi vivono e al riconoscimento delle varie etnie presenti all’interno delle singole compagini statali.


(Ubaldo Riccobono, tutti i diritti riservati)

Burma

Burma

Puoi seguire le vicende del Myanmar su Peace Reporter

http://www.peacereporter.net/dettaglio_articolo.php?idart=8858

Puoi leggere l’appello in Italiano di Amnesty International e firmarlo

http://www.amnesty.it/appelli/azioni_urgenti/Myanmar

Puoi visitare i Blog Birmani che denunciano il regime, commentano e documentano la protesta:

http://myochitmyanmar.blogspot.com/
http://mmedwatch.blogspot.com/
http://www.niknayman.blogspot.com/
http://www.myitzima.co.cc/
http://kadaung.blogspot.com/
http://drlunswe.blogspot.com/
http://hittaing.org/
http://khitpyaing.org/
http://www.ko-htike.blogspot.com/
http://myatlone.blogspost.com/
http://news.bbc.co.uk/
http://www.reuters.com/
http://www.voanews.com/burmese/
htt://www.rfa.org/burmese/
http://redo8888.com/
http://tharkinwe.blogspot.com/
http://publicenemies.blogspot.com/
http://www.narinjara.com/burmese.asp/
http://www.burmatoday.net/
http://www.yoma3.org/
http://thanshwe-hunter.blogspot.com/
http://yekyawaung.blogspot.com/
http://phyuphyuthin.blogspot.com/
http://maydar-wii.blogspot.com/
http://maynyane.blogspot.com/

Altri links utili su: http://bodhidharma.splinder.com/tag/notizie
Lista dei Blog segnalata e rintracciata su: http://www.fiorediloto.org

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Infine è attivo anche un nuovo tipo di protesta on-line che usa i blog per diffondere una petizione a livello globale. Per partecipare, aggiungi il tuo blog seguendo le istruzioni che troverai in questo post.

Come partecipare. 1. Copiare questo intero post nel tuo blog, compreso questo numero: 1081081081234 Dopo alcuni giorni puoi cercare con Google il numero 1081081081234 per trovare tutti i blog che partecipano a questa protesta e petizione.Nota: Google indicizza i blog a differenti livelli, per cui è possibile che ci voglia più tempo perché il tuo blog appaia tra i risultati. Indipendentemente dalla traduzione il numero rimane identico e perciò valido.

Vedi il risultato cliccando qui: Ricerca di Google 1081081081234


Burma libero















12 mercoledì Set 2007

Posted by ubaldoriccobono in Senza categoria

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arte e cultura, kafka, letteratura - articoli, viaggi

PRAGA E BUDAPEST
COSI’ SIMILI COSI’ DIVERSE

Praga e Budapest: due capitali che hanno lottato lungamente per l’indipendenza, la libertà e il diritto all’autodeterminazione, che hanno sognato la grandezza imperiale, che conservano nei palazzi, nei monumenti e nelle vestigia la loro storia di contrasti. In particolare, Praga voleva essere la culla della mitteleuropa, ma si vide preferita a Vienna. Città simili anche nella dittatura comunista all’indomani della seconda guerra mondiale. Ma Budapest, più concreta, ha fatto prima a scrollarsi di dosso i traumi, che vengono rievocati come ricordi di lotte civili:

Budapest

Budapest






Budapest

Budapest

Praga, più onirica e visionaria,  non riesce ancora ad esorcizzare completamente il passato, bellissima città-museo in ogni angolo del centro storico, ma che d’inverno s’ammanta kafkianamente di nebbia e di tristezza.

 

PragaPraga


Praga di notte

Due città e due fiumi azzurrissimi, il Danubio e la Moldava:il secondo la copia in miniatura del primo.Visione da cartolina la Moldava, volano d’economia il Danubio. Due capitali ormai “occidentali”, due modi di vivere, che per certi versi s’assomigliano, ma che per altri si discostano profondamente.  

 BUDAPEST,  Danubio, isola Margherita, Parlamento                                       PragaBudapest

Praga
 








PRIMA PARTE

 

LA MAGICA PRAGA DI FRANZ KAFKA


Kafka
“Praga non abbandona l’uomo…
Questa madre ha le unghie”Franz Kafka giovane

 

Praga è Kafka, Kafka è Praga: mai equazione fu più aderente alla genesi di un letterato. Franz Kafka era nato il 3 luglio del 1883, nella zona della capitale ceca di vecchia cultura ebraica, ai limiti  del ghetto, che tale era rimasto dal Duecento, fino a quando l’imperatore Giuseppe II d’Asburgo non ordinò la rimozione dei cancelli che lo delimitavano.


Nacque in una casa, andata distrutta e poi ricostruita, di cui è rimasto soltanto l’originario portone: all’angolo della piccola piazza una scultura dello scrittore ne segnala la presenza.

Praga

PragaAllentatasi la discriminazione, il ghetto ebraico fu poi abolito e divenne oggetto di un vasto intervento di risanamento. Ma il Vecchio Cimitero rimane ancora oggi a testimoniare le ferite del passato, quando agli ebrei fu proibito di interrare i propri morti nei cimiteri di Malà Strana e di Stare Mesto e la minoranza ebraica dovette arrangiarsi in un uno spazio limitato, dove si costruirono sepolcri, gli uni sugli altri, in ben dodici strati di terra, per contenere la caotica selva di tombe, steli e lapidi.

 Praga

Già ai tempi della gioventù di Kafka, la visita al vecchio cimitero ebraico era quasi un obbligo della comunità e venivano messe simbolicamente sulle tombe pietruzze in ricordo dei morti nel deserto durante l’esodo dall’Egitto.

 Praga, Vecchio Cimitero ebraico

Praga



Franz era nato a pochi metri dalla Piazza Vecchia e dall’orologio astronomico, i cui cupi rintocchi suonati dalla Morte venivano avvertiti da tutti i praghesi, i quali, anche a distanza, immaginavano la danza sacra delle Ore con i dodici Apostoli che uscivano a coppie dalle finestrelle, fino al chicchirichì finale del gallo posto sotto il tetto.

 

Praga, l

Questi rituali cupi, unitamente alla leggenda del fantomatico Golem (uomo d’argilla o fantasma che terrorizzava di notte i passanti) e del rabbino Löw, suo inventore, al tempo di Rodolfo II d’Asburgo, re alchimista ed esoterico, rimanevano attuali e aleggiavano ancora nella Praga di fine ottocento, che si apriva al moderno, ma non dimenticava il passato. Il giovane Kafka non riuscì a rimuovere le impressioni d’infanzia, tanto da confessare:

“Dentro di noi vivono ancora gli angoli bui, i passaggi misteriosi, le finestre cieche, i sudici cortili, le bettole rumorose e le locande chiuse. Oggi passeggiamo per le ampie vie della città ricostruita, ma i nostri passi e gli sguardi sono incerti. Dentro tremiamo ancora come nelle vecchie strade della miseria. Il nostro cuore non sa ancora nulla del risanamento effettuato. Il vecchio malsano quartiere ebraico dentro di noi è più reale della nuova città igienica intorno a noi.”

Le ferite di questo passato Kafka se le portava appresso come un monito per sé e per gli altri, come una colpa assurda e una inesorabile condanna, che in senso quasi profetico gli fecero intuire la cruda tragedia del nazismo, cui la famiglia Kafka pagò un carissimo prezzo con la scomparsa delle tre sorelle dello scrittore, Elli, Valli e Ottla nei campi di eliminazione nazisti, durante la seconda guerra mondiale.

                                                                                                                     OttlaLe sorelle di Kafka Valli e Elli

Ottla, la più piccola sorella di KafkaElli e Valli





Sotto questo profilo lo scrittore e i genitori, morti assai prima, non ebbero la sventura di assistere a quelle atrocità e di non patire le stesse traversie delle giovani.
Nelle pareti dell’ex sinagoga Pinkas, memoriale degli ebrei boemi e moravi vittime dell’Olocausto, sono iscritti ben 77.297 nomi in ordine alfabetico, con relative date di nascita, di morte o di deportazione. Quelle stanze intonacate di bianco, zeppe di semplici nomi, fanno rimanere basiti i visitatori, come se tutte le vittime della furia nazista urlassero ancora il loro orrore. Colpisce al primo piano la commovente esposizione dei disegni e degli oggetti  dei bambini delle famiglie ebree, concentrate dai tedeschi nel ghetto di Terezìn, prima della deportazione ad Auschwitz. Chi passa non potrà mai più dimenticare le atrocità che uomini hanno saputo arrecare ad altri uomini inermi.

 Praga, Sinagoga Pinkas

Praga, Sinagoga PinkasPraga, Sinagoga Pinkas

L’ex sinagoga Pinkas è oggetto di un continuo e toccante pellegrinaggio da parte di visitatori di tutto il mondo.
All’uscita del Vecchio Cimitero ebraico si trova l’ex sinagoga Klaus che accoglie una mostra di cerimoniali funebri.

Davanti all’altra sinagoga spagnola c’è una grande scultura dedicata allo scrittore Franz Kafka (vedi foto sotto)

Praga, Sinagoga spagnola


Museo KafkaLa Praga di Kafka era il punto d’intersezione di due culture, quella ceca maggioritaria e quella austriaca, all’interno della quale era predominante la comunità di origine ebraica. Il piccolo Franz già in famiglia intuì il dramma della minoranza ebraica.
Il padre Hermann, ebreo di origine plebea, grazie al matrimonio con Julie Löwy, appartenente alla borghesia intellettuale ebraica, era riuscito ad inserirsi nell’élite praghese di lingua tedesca, consolidando la posizione sociale di agiato commerciante. Severo e formale nell’osservanza delle tradizioni religiose e dei riti ebraici,  concreto e convinto di mantenere una salda posizione economica nell’ambito del ceto e del potere borghese, volle che tutti i figli studiassero in scuole di lingua tedesca e, soprattutto, sperava – se non voleva prepotentemente – che il primogenito Franz seguisse le sue orme.



Hermann KafkaIl “j’accuse” sul dispotismo paterno esploderà soltanto nel 1919 con la drammatica Lettera al padre, che rievocava il disagio giovanile dello scrittore.
"… il mondo si divideva per me in tre parti, e nella prima io, lo schiavo, vivevo sottoposto a leggi concepite solo per me e alle quali, senza saperne il motivo, non riuscivo del tutto ad adeguarmi, poi c’era un secondo mondo infinitamente lontano dal mio in cui vivevi tu, occupato a dirigerlo, a impartire gli ordini e ad arrabbiarti se non venivano eseguiti, e infine un terzo, dove il resto dell’umanità viveva felice e libera da ordini e da obbedienze"


Molto si è enfatizzato sul dissidio tra Kafka padre e figlio, ma è inconfutabile che il giovane scrittore,Franz Kafka sin da subito, fosse in controtendenza all’indirizzo paterno ed avesse un rapporto entusiasta con la cultura e la storia ceca e con il suo milieu. Parlava, leggeva, scriveva perfettamente in ceco e pensava che le due culture, ceca ed austriaca, dovessero compenetrarsi. Si ribellava, più o meno esplicitamente, all’ebraismo formale del padre, rifiutando coerentemente tutti i pregiudizi religiosi e nazionalisti. Fragile e delicato, il suo corpo contrastava con quello solido del padre e creò nel suo carattere timido una sorta di complesso d’inferiorità, verso un uomo spiccio, energico e sanguigno, che dava a vedere la loro differenza. Anche nella vita amorosa dello scrittore, il padre esercitò divieti, soprattutto nel rapporto amoroso con Felice Bauer. Kafka ebbe radicata una sfiducia nella legge degli uomini, che lo portò ad un atteggiamento incerto nei confronti del matrimonio. I suoi rapporti d’amore furono infelici, anche se il più bello fu quello con Milena Jesenskà-Pollak, traduttrice delle sue opere in lingua ceca. Dora Diamant invece fu colei che addolcì l’ultimo periodo della sua vita e lo assistette con amore durante la malattia fino alla morte.
Nel nascente scrittore albergava un ribellismo giovanile di marca espressionistica, dettato sicuramente dall’ atteggiamento culturale europeo di quel periodo, che datava dai tempi del liceo, quando fece amicizie fondamentali. Al liceo conobbe, infatti, e frequentò Oskar Pollak, con il quale si iscrisse all’Università in chimica, per poi lasciarla per la facoltà di giurisprudenza. Nel 1902 conobbe Max Brod, che rimase il suo amico più fidato, il suo critico e biografo, e a cui si deve il recupero provvidenziale e la pubblicazione delle opere, contro le ultime volontà dello scrittore stesso, che gli aveva raccomandato di bruciarle.

 Max Brod

Con Max Brod, che l’avviò al sionismo, fondò il Circolo ristretto di Praga, di cui facevano parte Feliz Weltsch e Oskar Baum (il musicista cieco), per distinguerlo dal Circolo allargato, che si avvaleva delle migliori intelligenze della cultura praghese dell’epoca dei tre ceppi linguististici: ceco, tedesco e ebraico.
PragaIl Circolo ristretto si riuniva in un caffè, a pochi metri dalla casa di Kafka.
Questi fermenti giovanili lo fecero simpatizzare anche verso gli ideali del socialismo del tempo, che poi applicò con umanità nei confronti dei lavoratori, quandò s’impiegò presso l’ “Istituto di Assicurazioni contro gli infortuni dei lavoratori del regno di Boemia”, dopo la laurea in giurisprudenza e un breve apprendistato presso le “Assicurazioni Generali”.
I cavilli delle  norme lo estenuavano, il lavoro non lo soddisfaceva e per lui rappresentava una forma di schiavitù, cui non si sottraeva formalmente per rispetto e timore del padre,  maturando così una sorta di repulsione e un senso di colpa quasi ancestrale, che ne fecero un essere timido e fragile. Ma non fu pavido, anzi forte nell’animo, coraggioso di investigare e di auscultarsi nell’intimo, fino alle estreme conseguenze. Nel tempo libero sentiva l’urgenza di scrivere e, man mano che scriveva, usciva netto il distacco tra l’essere (del lavoro) e il dover essere (della letteratura). Questo sentimento di duplicità veniva acuito dall’atteggiamento quotidiano del padre, che lo richiamava alle norme del paterfamilias, che lo facevano sentire un fallito e dubitare perfino della sua vocazione letteraria, portata dentro come un peccato, un vizio ineliminabile.  
 

“Il diritto è basato sulla personalità, non sul modo di pensare”

A questa proterva affermazione del padre egli rispondeva con lunghi silenzi, nei quali però era racchiusa l’eco dei suoi pensieri:

  “Non sono altro che letteratura”

Anche se quel grido raramente erompeva dal suo petto, gli forniva nuovo impulso a scrivere, scrivere, scrivere… quasi maniacalmente.

“Passare le notti in bianco, scrivendo come un matto, è quello che voglio. E perire in seguito, oppure impazzire completamente, mi auguro anche questo, perché è una conseguenza inevitabile, presentita molto tempo fa”

“Un affetto può essere sradicato oppure espresso, la scrittura però sono io stesso”

Gli faceva rabbia che il padre fosse sordo alla vera essenza della sua vocazione. Quell’incomprensione totale gli graffiava l’anima. Non poteva, tutto, ridursi alle realizzazioni concrete, all’acquisizione di potere, al riconoscimento formale per quello che si possedeva, alla posizione sociale. Egli rifuggiva il potere in tutte le sue implicazioni e aveva paura, sfiducia e dispetto nei confronti della legge.

"Davanti a te ho perso la fiducia in me stesso, l’ho cambiata per una infinita coscienza di essere colpevole"

Casa KafkaQuando guardava dalla finestra, durante le brevi pause della scrittura, diceva sempre a sé stesso:

 

In questo cerchio è chiusa la mia vita

 

Il cerchio era la sua anima, la sua stanza, la sua casa, Praga, quella città che aveva mille tentacoli indissolubili, dai quali non era facile liberarsi.



Anche nei circoli si sentiva solo, ma recepiva il grande respiro culturale della sua città: nel salotto della signora Berta Fanta, ad esempio, frequentato da intellettuali e anche da Albert Einstein, allora docente a Praga, dove si parlava di psicanalisi, di relatività, della teoria dei quanta. Ascoltava, quasi in ieratico silenzio, e cercava di cucire i suoi pensieri, lentamente, mentre i discorsi destavano in lui vibrazioni sopite, che, emergendo dal fondo, lo scuotevano nell’intimo. Sentiva, in quei momenti, rischiararsi l’anima, e si credeva pronto ad addentrarsi nei suoi cunicoli più profondi, laddove mai aveva osato scandagliare. Improvviso era il bisogno di lunghe passeggiate solitarie per cogliere l’anima della città, per confrontarla con la sua e capire perché si sentisse così radicato in quella terra, in un rapporto estenuante d’amore-odio. I suoi piedi, prima di salire al grande parco Chotkovy Sady, lo portavano sempre al Karlùv most, al Ponte Carlo, dove si fermava a guardare, pensoso, alzando poi gli occhi al Castello e alle guglie vertiginose del Duomo, che in inverno s’intuivano soltanto nella nebbia.

 Praga


PragaTalvolta, al vespero, Kafka, per trovare nuovi motivi di meditazione, preferiva cambiare percorso, faceva un lungo giro vizioso per le vie e viuzze della città, saliva i gradini dello strettissimo vicolo di Kampa, che gli toglieva quasi il respiro, e dalla piazza  raggiungeva il Ponte Carlo.

Sul ponte, sempre indugiava, fermando lo sguardo sull’inquietantePraga “ruscello del diavolo” e sulla ruota del vecchio mulino. Le acque della gora, tumultuose e limacciose, catturavano, come per magia, la sua attenzione, gli fornivano nuova energia, dando linfa ai suoi pensieri. Si narrava, tra i pescatori della Moldava, di storie, strane e intricate, misteriose, che si tramandavano di padre in figlio. Ma quanto non era stato strano a Praga? città dai tanti volti e dai mille contrasti del passato, al crocevia di un’Europa che avrebbe voluto essere grande, che lo era stata davvero, sia pure per poco, ma ora in evidente declino. Leggende, pratiche magiche, astrologiche, alchimistiche, guerre e divisioni politiche, eresie e riforme religiose: la Storia sembrava accanirsi con quella città. Il flusso dell’elemento liquido gorgogliante sembrava ripetergli racconti enigmatici, soprattutto d’inverno, quando la  Moldava diventava minacciosa tra gli argini.
PragaCon le mani poggiate sulla spalletta del ponte, se ne stava lungamente a meditare, scrutando assorto l’isola di Kampa, così segreta, quasi inaccessibile. 

La gente che passa attraverso i ponti oscuri

passa vicino ai Santi

con i lumicini deboli

le nuvole che passano attraverso il cielo grigio

passano vicino alle chiese

con torri oscurate

qualcuno appoggiato su un muretto

guarda le acque vesperali

le mani sulle pietre invecchiate.

 

Ma lo sguardo era sempre lassù, al Castello, alle guglie del Duomo, che sfidavano il cielo. Dovunque s’andasse, rimanevano al centro e sovrastavano tutta la città. Arrivarvi non era facile, bisognava percorrere strade in salita, scalinate, attraversare archi, portoni, cortili, nei quali era facile perdersi. Quella collina sembrava l’immagine di un Purgatorio dantesco, al vertice del quale c’era l’Eden.
In quella Praga, tra quella gente, era nato un nuovo scrittore, che voleva cantarla, così com’era, siccome il poeta l’aveva introiettata e filtrata, attraverso il suo humus culturale. Non era una Praga oleografica, da cartolina, quella che Kafka voleva narrare. Era una Praga drammatica e reale, fantastica e assurda, raccolta ma spersonalizzante, dove l’uomo lottava per riconoscersi ed essere riconosciuto, ma si perdeva nei mille convolvoli dell’esistenza. In quei rioni asfissianti, lui ci aveva abitato; nel Vicolo d’oro, ad esempio, dove le basse case sembravano rannicchiate in spazi esigui, non umani.

Praga, il vicolo d

Varie sono le chiavi di lettura della poetica di Franz Kafka. Una cosa è certa, però: anche se non si tratta di opere autobiografiche, gli scritti kafkiani recano connotati indiscutibili dell’esperienza familiare e dell’esplosione del suo complesso edipico nei confronti del padre, nonché delle peculiarità di una città, quintessenza di una civiltà umana universale. La presenza del padre opprimente e delle regole familiari ferree, nonché di leggi e tradizioni incomprensibili è un dato inequivocabile in tutte le opere del Nostro. Ma sarebbe riduttivo affermare che tutte le tematiche si limitino a questo. Kafka, genio qual era, riuscì ad edificare una poetica singolare ed unica nella storia letteraria, operando una rivoluzione di 360 gradi del romanzo moderno. Partendo dalle esperienze familiari, dallo straniamento e dalla solitudine dell’uomo contemporaneo dell’era capitalistica, nonché dalle peculiarità uniche di una grande capitale, che divennero emblematicamente quelle di una qualsiasi città del mondo, calò nel romanzo l’elemento fantastico come argomento di fondo, che, durante la narratio, diveniva fatto reale della vita quotidiana. Era l’assurdo che diventava vita vissuta, esperienza di ognuno, con una valenza così totalizzante, da assurgere a dramma di tutti gli esseri umani: realtà “kafkiana” per antonomasia, insomma, nella quale l’assurdo si trasformava in realtà immanente, ma non finiva di rimanere assurdo nella soluzione.
Non ha importanza, poi, se il conflitto e l’assurdo kafkiano nascano da una visione religiosa della vita (Brod), oppure da un’opzione psicanalitica, o ancora da un’alienazione tipica dell’individuo incardinato nella spersonalizzante società capitalistica, perché il fatto letterario rimane puro in tutta la sua essenza. Kafka, con la sua poetica liberatrice, riuscì a sottrarsi ai suoi fantasmi, rimanendo eterno, punto fisso e patrimonio letterario dell’umanità.

Secondo Max Brod, che a ragione, per la sua vicinanza, si può considerare il critico più accreditato, l’opera chiave, il grimaldello per accedere all’anima autentica di Kafka, è Il processo.
Giudizio ineccepibile, anche se tutte le opere, e in particolare Il castello, convergono tutte ad un’unica visione di fondo dell’umanità e dei personaggi kafkiani.
Ne Il processo l’agilità della narrazione diventa novità irripetibile, rispetto alla quale il fondamentale racconto La metamorfosi ha valore chiaramente propedeutico. Nel Processo Josef K. equivale, di fronte alla legge e alle norme, all’essere mostruoso Gregor Samsa della Meramorfosi, svegliatosi insetto e destinato poi ad essere eliminato. Come l’insetto alla mercè di tutti per la sua mostruosità, Josef K. è un uomo nudo di fronte all’imperio della legge, ed in qualsiasi momento può essere colpito dalla giustizia, per avere infranto le norme, anche se non ne conosce i motivi.
PragaAlla stretta finale, dopo l’inizio d’un inspiegabile processo a suoPraga carico, naufragano i tentativi di comprenderne i motivi e Josef K. si professa irriducibilmente innocente, arrivando nel Duomo, nel luogo cioè dove dovrebbe ricevere la Grazia.

Si mise lentamente in moto, camminò tentoni e… arrivò nella larga navata centrale… il pavimento di pietra rimbombava anche ai passi più leggeri e le volte ne mandavano l’eco debole…K. si sentì un po’ abbandonato e anche la vastità del duomo  gli parve al limite della sopportazione umana…

 

PragaUdì la voce del religioso… Aveva chiamato:”Josef K.!”. 

Il sacerdote… allungò un braccio e con l’indice teso verso il basso indicò un punto ai piedi del pulpito…“Tu sei accusato” disse il sacerdote con voce molto bassa.

A questo punto il sacerdote gli spiega la parabola del campagnolo e del guardiano della legge e i motivi perchè bisogna aspettare umilmente vicino alla porta della Legge, per esserne ammessi all’internp. Ma K. si sente ingannato, perchè nessuno gli ha mai detto che quella era una via di salvezza soltanto per lui, e decreta con questo atto di sfiducia la sua condanna irreparabile: non potrà entrare attraverso la porta della legge.


“Il tribunale non ti chiede nulla. Ti accoglie quando vieni, ti lascia andare quando vai”

 

Praga
Praga



Josef Kafka continua a credere in una congiura ai suoi danni, appare irremovibile nella professione d’innocenza, sfidando quasi la Legge. Gli è inibito quindi il passaggio, anzi è lui stesso a negarsi il salvacondotto: Il sacerdote è costretto a sprangare la porta.




                                                                     La fine di K.

PragaLa vigilia del suo 31 compleanno, K. viene prelevato dai suoi giustizieri verso le nove di sera, l’ora del silenzio nelle vie.
Ancora una volta egli non si rende conto della realtà e della irreversibilità della sua colpa:

"Sotto i fanali K. tentò più volte, per quanto fosse difficile farlo in quella stretta, di osservare i suoi accompagnatori meglio di quanto non fosse stato possibile nella penombra della sua stanza. “Saranno tenori” disse…"
L’ultimo barbaglio della sua esistenza K. lo vive incoscientemente sul Ponte Carlo, nellaPraga visione onirica dell’isola di Kampa, cara allo scrittore.
"Alla luce della luna l’acqua luccicante e tremula si spartiva intorno a un’isoletta sulla quale si addensava quasi pigiato un folto di fronde d’alberi e di cespugli

Poi, verrà condannato dai suoi giustizieri, come un cane, con un coltello immerso nel cuore, però ancora incrollabile, quasi iattante, nelle sue convinzioni di innocenza, ponendosi interrogativi del perchè e sperando vanamente aiuti.

 


Il castello, l’altro capolavoro kafkiano, riprende i temi dell’incomprensibilità della Legge dagli interrogativi finali di Josef K. nel Processo.

Dov’era il giudice che egli non aveva mai visto? Dove il supremo tribunale fino al quale non era mai arrivato?

Se nel Processo il protagonista non riesce a rientrare nella “normalità” della legge, per un suo vizio d’incomprensione, dovuto al mancato riconoscimento della sua colpa, nel Castello l’inaccessibilità della legge deriva dall’inconoscibilità della trascendenza da parte della ragione umana. Ogni varco è negato, ogni tentativo di accesso è proibito dalle aporie della mente, lasciando il protagonista agrimensore, che vuole essere ammesso al Castello, per svolgervi la professione, in situazione di scacco permanente, solo ed isolato. L’uomo kafkiano, quindi, non può che rimanere nella sua tana, a scavare nella sua anima, per trovare sempre nuovi meccanismi di difesa da una società assurda, alienante ed alienata, che lo svia dalla Grazia e dalla Trascendenza; proprio come l’animale dell’omonimo racconto – uno degli ultimi – che, braccato, scava sempre nuovi cunicoli.  Il Castello invece rimane impenetrabile lassù, sulla collina, intuita ma incompresa presenza.

 “La collina non si vedeva, nebbia e tenebra la avvolgevano, e nemmeno il più debole raggio di luce indicava il grande Castello. K. si fermò a lungo sul ponte di legno, che dalla strada maestra conduceva al villaggio, e guardò su nel vuoto apparente”

 Praga, la Chiesa di San Nicola

Questa condizione è descritta puntualmente da Kafka nel suo diario:

"Non sono la pigrizia, la cattiva volontà, la goffaggine che mi fanno fallire in tutto: vita familiare, amicizia, matrimonio, professione, letteratura, ma è l’assenza del suolo, dell’aria, della legge. Crearmi queste cose, ecco il mio compito… il compito più originale"

Praga



Ma, fortunatamente, grazie alla devozione dell’amico Max Brod, pervicace nella decisione d’infrangere le ultime volontà dello scrittore, Kafka ha ottenuto il riconoscimento della genialità della sua letteratura, che lo ha fatto accedere nel castello dell’Assoluto. Egli, veramente, non era altro che letteratura. Le sue ceneri sono nella tomba di famiglia nel nuovo cimitero ebraico di Praga.


 

(Ubaldo Riccobono, tutti i diritti riservati)

 

 

 

 

 

19 domenica Ago 2007

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VIAGGIO NELLA TERRA DEL GATTOPARDO

Giuseppe Tomasi di LampedusaIl Gattopardo “La preferita era S. Margherita Belice nella quale si passavano lunghi mesi anche d’inverno… proprio nella piazza ombreggiata, si estendeva per una estensione immensa e contava fra grandi e piccole trecento stanze.” (Giuseppe Tomasi di Lampedusa, Ricordi d’infanzia)

 

“…ero un ragazzo cui piaceva la solitudine, cui piaceva di più stare con le cose che con le persone. Poiché era così si capirà facilmente come la vita a S.Margherita fosse l’ideale per me. Nella vastità ornata della casa (12 persone in 300 stanze) mi aggiravo come in un bosco incantato…” (Giuseppe Tomasi di Lampedusa, Ricordi d’infanzia)”

Il Gattopardo in ceramica

LA CASA

Piazza del palazzo del Gattopardo

               “Fu a Santa Margherita che alla tenera età di otto anni mi venne insegnato a leggere”

 

 IL PARCOParco letterario Tomasi di LampedusaL’ultimo e il maggiore dei tre cortili della casa di S. Margherita era “il cortile delle palme”  piantato tutto in giro da altissime palme cariche di quella stagione di grappoli non fecondati di datteri

L’ingresso dal cortile L

Erano delle scalinate brevi  ma nel cui spazio l’architetto barocco aveva trovato modo di dar sfogo a un estro indiavolato, alternando gradini alti e bassi, contorcendo le fughette nei modi più inaspettati, creando pianerottoli superflui con nicchie e panche, in modo da creare su tanta piccola altezza un sistema di possibilità di confluenze e defluenze, brusche ripugnanze e affettuosi incontri che conferiva alla scalinata l’atmosfera di una lite di innamorati.


Il giardino

S. Margherita Belice, Giardino palazzo GattopardoIl giardino, come tanti altri in Sicilia, era disegnato su un piano più basso della casa, credo affinchè potesse usufruire di una sorgente che lì sgorgava… Era tutto piantato a lecci ed araucarie, con i viali bordati di siepi di mortella e nel furore dell’estate quando la sorgente scemava il suo gettito era un paradiso di profumi riarsi di origano e nepitella, come lo sono tanti giardini della Sicilia che sembrano fatti più per il godimento del naso che dell’occhio.

La fonte del Palazzo del GattopardoRallegrava con i suoi zampilli la vasta fontana nel centro della quale su un isolotto di rovine artificiali, la dea Abbondanza, chiomata e discinta, versava torrenti d’acqua nel bacino profondo…una balaustrata lo cingeva, sormontata qua e là da Tritoni e Nereidi.


 La  chiesaChiesa palazzo Filangeri CutòLa chiesa stessa era grande e bella, ricordo, in stile Impero con grandi brutti affreschi incastonati fra gli stucchi bianchi del soffitto, così come sono nella chiesa dell’Olivella a Palermo, alla quale somiglia in più piccolo.

Particolare della Chiesa del palazzo del GattopardoParticolare dell’altare

Il teatro Il teatro del palazzo del GattopardoEra questo un vero e proprio teatro, con due file di 12 palchi ciascuna, più un loggione e si capisce, la platea… La sala era illuminata da lampade a petrolio dorato posate su bracci che sporgevano sotto la prima fila di palchi. Ogni tanto giungeva una compagnia di comici…Vi era recita ogni sera: e il repertorio era vastissimo…

 

Il Parco Letterario Tomasi di Lampedusa

Con l’auspicio della Comunità Europea il 29 ottobre del ‘2000 è nato il Parco Letterario Giuseppe Tomasi di Lampedusa di Santa Margherita Belice (Agrigento), tutto da visitare e da fruire, alla ricerca soprattutto della mitica “Donnafugata”, che ne Il Gattopardo s’identifica con Santa Margherita e i suoi luoghi e, in particolar modo, con il Palazzo Filangeri Cutò, la casa materna avita, che fu un punto di riferimento cruciale per la formazione dello scrittore e per la sua ispirazione. Un viaggio sentimentale che arricchisce e che offre l’occasione di visitare i luoghi del terremoto del Belice del 1968, quando numerosi paesi del triangolo agrigentino-trapanese-palermitano ebbero gravissimi danni e migliaia di vittime. Nella chiesa privata del palazzo Filangeri Cutò, appartenente a Tomasi di Lampedusa, gravemente danneggiata e ora ricostruita, è stato creato il Museo della Memoria, in ricordo del sisma, i cui segni peraltro si vedono ancora (vedi sotto), pur essendo passati quasi quarant’anni.

 Piazza del palazzo del Gattopardo



Scheletro di palazzo nella zona del parco




Anche la mano dell’uomo ha deturpato un paesaggio che doveva rimanere incontaminato.

 




Gattopardo, abito di Angelica

Cere, manoscritti e costumi

All’interno del Palazzo del Gattopardo vi è un piccolo museo, dove sono esposte le lettere, gli appunti, la documentazione e le foto d’epoca dello scrittore, il manoscritto e il dattiloscritto del romanzo, costumi. E’altresì possibile ascoltare la voce di Giuseppe Tomasi, unico audio esistente. Inoltre in una sala attigua vi è un piccolo museo delle cere dei personaggi principali de Il Gattopardo, che possono essere ammirate mentre le pagine del Gattopardo rivivono con dialoghi, musiche e narrazioni ed effetti di luci.


 


Donnafugata

Fu Tomasi di Lampedusa a coniare il nome di Donnafugata ne Il Gattopardo, da un episodio storico legato al palazzo di famiglia Filangeri Cutò di Santa Margherita Belice. Il nome significa letteralmente “donna in fuga”, in riferimento alla regina asburgica Maria Carolina, consorte di Ferdinando IV di Borbone, che a seguito dell’ingresso in Napoli delle truppe di Gioacchino Murat, ai primi dell’ ‘800, fuggì in Sicilia, rifugiandosi nel Palazzo Filangeri-Cutò di Santa Margherita Belice. Paese e palazzo nel romanzo s’identificarono con Donnafugata. Nel 1983 la famiglia Rallo di Marsala, per valorizzare un territorio ricco di tradizioni vito-vinicole, ha creato nella vicina Contessa Entellina, citata nei libri di Tomasi di Lampedusa, – riserva naturale boschiva e montana, sulla cui sommità c’è la bellissima abbazia di Santa Maria del Bosco (vedi ultima foto ) – una casa vinicola rinomata e che ha lanciato anche l’interessante progetto della “vendemmia notturna”, per fare aumentare il valore aromatico delle uve e rendere meno gravoso il lavoro dei vendemmiatori. La casa vinicola s’intesta diversi progetti culturali, tra cui il premio letterario Giuseppe Tomasi di Lampedusa.

Contenitori di mosto refrigerati

Cantine vinicole Donnafugata

      Vendemmia notturna

Vendemmia notturna                             


Contessa Entellina, Chiostro di Santa Maria del Bosco (mt.800)             

Abbazia Benedettina, chiostro, notturno

(Ubaldo Riccobono, tutti i diritti riservati)


Vado a Praga e Budapest, arrivederci a settembre

15 mercoledì Ago 2007

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TRA SOGNO E REALTA’
 

Sogno

Folklore thailandese, la danza del sogno 

"Come vorrei sognarti stanotte e gridare il tuo nome nel sonno, così che il segreto venga svelato e io non ti nasconda al mondo! Sei una donna che deve essere svelata!       Yair "

 

(Che tu sia per me il coltello, di David Grossman)

 

Storia

 

“Tutta un’impostura. La storia non esiste. Forse che esistono le generazioni di foglie che sono andate via da quell’albero, un autunno appresso all’altro? Esiste l’albero, esistono le sue foglie nuove: poi anche queste foglie se ne andranno; e a un certo punto se ne andrà anche l’albero: in fumo, in cenere. La storia delle foglie, la storia dell’albero. Fesserie! Se ogni foglia scrivesse la sua storia, se quest’albero scrivesse la sua, allora diremmo: eh sì, la storia… Vostro nonno ha scritto la sua storia? E vostro padre? E il mio? E i nostri avoli e trisavoli?… Sono discesi a marcire nella terra né più né meno che come le foglie, senza lasciare storia… C’è ancora l’albero, sì, ci siamo noi come foglie nuove… E ce ne andremo anche noi… L’albero che resterà, se resterà, può anche essere segato ramo a ramo: i re, i vicerè, i papi, i capitani; i grandi, insomma… Facciamone un po’ di fuoco, un po’ di fumo: ad illudere i popoli, le nazioni, l’umanità vivente… La storia! E mio padre? E vostro padre? E il gorgoglio delle loro viscere vuote? E la voce della loro fame? Credete che si sentirà nella storia? Che ci sarà uno storico che avrà orecchio talmente fino da sentirlo?”

 

(Il Consiglio d’Egitto, di Leonardo Sciascia)

 

Arte

 Cattedrale di Rouen, Monet au pixel

Monet au pixel

Cosa nascondono

le iridiscenze au pixel

di Monet sulla facciata

della cattedrale di Rouen?

Il sogno.

Sotto, la struttura

resta sempre la stessa.

Cattedrale di Rouen, Monet au pixel 

(Ubaldo Riccobono, tutti i diritti riservati)

10 venerdì Ago 2007

Posted by ubaldoriccobono in Senza categoria

≈ 20 commenti

Tag

bambini, thailandia, viaggi

DALLA THAILANDIA CON AMORE

 

“Un vero viaggio di scoperta non è scoprire
nuovi luoghi ma avere nuovi occhi”, Marcel Proust

 

PARTE SECONDA

BAMBINI DI THAILANDIA

 

I bambini di Thailandia


Nel villaggio dei LannaNel villaggio dei Lanna



 

Impastati d’astrattezza

noi occidentali

ci meravigliamo

se l’umiltà altrui

è un modo di essere,

Nel triangolo dscambiamo la gentilezza

per dabbenaggine

e non vogliamo mai imparare

da chi sapendo meno di noi

Nel villaggio dei Lannaci offre soltanto un sorriso.

Negli sguardi luminosi

i bambini di Thailandia

sembrano tutti

piccoli Buddha

e ciascuno, se vuole,

può trovare in essi un messaggio

di pace e di semplicità.

 

In un asilo tra le risaie

in un asilo
 

Giunti alfine e visitate le risaie

avvistammo un prefabbricato

tra capanne che danzavano

malferme nella verzura:

era l’asilo d’infanzia del villaggio.

Sul limitare, guardinghi, i bambini

avevano sospeso le assegnate incombenze,

meravigliati dell’intrusione dei visitatori.

La regola prima, che loro avevano imparato,

– il rispetto dell’altro – era violata

(ma l’innocenza non ha saputo mai proibire)

e si schermirono appena alla protervia

degli invasori, sorridendo disincantati;

altri, con occhi perplessi e il viso imbronciato,

quasi per supplica, sembravano chiedere:

“Gli stranieri vogliono frugare nella nostra povertà?

Cos’altro si può vedere in un asilo

se non bambini che cantano, giocano

e studiano i primi rudimenti della lingua?

E’ diversa, la nostra povertà da quella

dei nostri fratelli d’Europa?”

In un asilo 

Quassù la rinuncia è scelta di vita;

per i bambini il bastone non è solo bastone

è anche cavallo da cavalcare

e le bambole di stracci fatte in casa

sono più amate di quelle di seta

delle migliori boutique di Chiang Mai.

Abitano sulle palafitte, i bambini dei villaggi,

in capanne che ai loro occhi sembrano castelli

e lì inventano la vita d’ogni giorno:

nella stanza comune, dove si mangia,

nel dopopranzo studiano assorti,

mentre le madri filano roba da vendere;

se piove, finiti i compiti, dopo le preghiere,

iniziano i giochi e, alfine, stanchi

s’allungano su pagliericci per dormire.

Ai bambini dei villaggi non mancano i sogni,

ma li custodiscono gelosamente nell’intimo,

per quel giorno in cui tutto cambierà.

 

Il figlio del pescatore

Sul fiume 

Il figlio del pescatore

nuota festoso

nel fiume fangoso;

non importa se il genitore

ha preso alla rete

più sogni che pesci

e magro risulterà il guadagno

al mercato del villaggio:

Villaggio sul fiumegrande sarà il merito, invece,

nel Nirvana dei cieli.

 

La ribellione di Melo-Sichei

 Madre e figlia, donne giraffa

Nel paese dei Padong

Melo-Sichei canta

con voce melodiosa

il suo inno di ribellione,

nello stand stracolmo

di statuette intarsiate

che offre ai turisti.

 

I popoli sono tutti fratelli

io non voglio portare  anelli…

 

Un collo allungato

dal peso di anelli d’oro

non è distinzione di stirpe

né bellezza di donna,

ma sforma soltanto le spalle

tra lancinanti dolori.

 

I popoli sono tutti fratelli

io non voglio portare  anelli…


La schiavitù delle donne giraffa

non è conosciuta

nelle grandi città

e Melo-Sichei,

già mito sui monti,

sogna d’andare a Bangkok

in una scuola d’incisione,

per annunciare al mondo intero

con voce melodiosa

l’inno di ribellione.
 

I popoli sono tutti fratelli

io non voglio portare  anelli…

 Nel paese delle donne giraffa

Sul Doi Suthep

 Nella jungla

Due draghi alteri a sette teste

con lunghe code multicolori

di pietra smaltata s’arrampicano

sinuosi sui fianchi della scalinata

di duecentosessanta gradini

e sembrano ammonire i forestieri:

lassù bisogna osservare

religioso silenzio.

La scalinata del Doi Suthep

Al passaggio, s’alza una nenia di bambine

dai variopinti costumi Lanna;

accoccolate sugli scalini invocano…

Sulla scalinata del tempio 

Un bath, Signore, un bath…

Un bath per campare

Un barh per mangiare

Un bath per studiare

 

Un bath è la quarantacinquesima

parte d’un euro, meno d’un obolo:

perché non dare l’intero?

Le piccole prefiche rifiutano sdegnose,

non chiedono l’elemosina

danno in cambio un souvenir

o si mettono in posa per una foto ricordo.

 Sulla scalinata del tempio

Una foto un bath, Signore…

Un bath per campare

Un barh per mangiare

Un bath per studiare

 

Ripetono in coro con un sorriso

e in cambio accettano offerte generose.

 A scuola di Buddhismo

Nel tempio del Wat Prathat

regna la preghiera

 e la musica di giovani orchestrali


Orchestra di giovanie suonano campane tibetane.

La città di Chiang Mai, Rosa del Nord,

ricca perla della Svizzera Thai,

si stende lontana nella valle.

Più vicina s’immagina la suggestiva Himalaya

che s’intravede lontanissima nella foschia di nubi.

 Dal Doi Suthep
 

Un giovane monaco

 Giovane monaco buddhista

Un giovane monaco s’immagina

di vegliare come fece Buddha,

assiso sulla silenziosa riviera,

mentre esorcizzava, nel trascorrere

degli astri, il primigenio teorema.

 

Alterna è la sorte dei mortali

nello sconfinato universo;

ciascuno paga la colpa

della sua sofferenza

e la vicenda non ha fine.


Solo ci salverà l’innocenza

In un villaggio della junglaNel triangolo d

 

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