GLI EREDI DI VOLTAIRE
“LA CULTURA NON E’ UN OPTIONAL”
In merito al “Candido” di Voltaire, al candore e al valore illuministico dell’ottimismo, va considerato che il filosofo francese, come tutti gli Enciclopedisti, riuscì a suscitare una vera rivoluzione nel campo del sapere pratico. Per vent’anni dal 1758 al 1778 François-Marie Arouet, al secolo Voltaire, soggiornò nel piccolo paese di Ferney sul lago di Ginevra, in una tenuta a cavallo del confine tra Francia e Svizzera, dove egli quotidianamente poteva scegliere il posto, nella madrepatria o nella nazione elvetica, per meditare liberamente, senza il pericolo di incappare nei gendarmi che i potenti di tutto il mondo gli avrebbero potuto sguinzagliare. Fu proprio a Ferney che Voltaire scrisse "Il trattato sulla tolleranza" (1763), che prese spunto dalla vicenda di un commerciante ugonotto di Tolosa condannato a morte ingiustamente per l’omicidio del figlio; opera che costituisce il manifesto per la libertà e il valore universale della tolleranza, i cui temi fondamentali furono ripresi l’anno successivo nel Dizionario Filosofico, nel quale si definisce la tolleranza “appannaggio dell’umanità”
Il lascito di Voltaire quindi è l’invito illuministico a combattere l’ignoranza, il pregiudizio, la superstizione e l’arroganza del potere, in nome della cultura, del cosmopolitismo, della libertà di coscienza. E’ un appello alle facoltà critiche dell’uomo e alla sua razionalità, che si estende anche all’estetica e al giudizio su ogni forma di comunicazione umana, che gli faceva dire: “il gusto non è che un discernimento vivo, una percezione pronta, che anticipa la riflessione; esso non è mai una sensazione vaga e confusa, ma sempre una visione distinta”, distinguendo poi un gusto intellettuale da un gusto sensibile, il primo dipendente dall’educazione e dalla cultura, molto più del secondo appropriato alla semplice percezione del bello.
Ciò la dice lunga sull’attualità del pensiero illuministico e del suo messaggio culturale e sulla reale portata della storiografia. Per Voltaire la storia non è pura erudizione, ma deve chiarirci i legami del contesto culturale, prendendo in esame le istituzioni, le arti, il commercio, gli interessi della gente minuta, ponendosi dal punto di vista dei sudditi, dei cittadini, anziché di quello dei governi.
”Nella storia così concepita si vedono susseguirsi gli errori e i pregiudizi, i quali mettono in fuga la verità e la ragione. Si osserva che gli uomini abili e fortunati mettono in catene gli imbecilli e schiacciano gli sfortunati e sono essi stessi lo zimbello della fortuna, al pari di coloro che essi governano. Infine gli uomini vengono un po’ illuminati da questo quadro della loro sventura e della loro sciocchezza. Le società pervengono con l’andar del tempo a rettificare le loro idee, e gli uomini imparano a pensare.” Una emblematica descrizione, valida per tutti i tempi, come diceva Goethe:”La verità appartiene all’uomo, l’errore al tempo”.
Cultura e cambiamento, quindi, sono le parole chiavi per rivedersi e rivedere le istituzioni dal di dentro, attraverso l’accoglimento del pluralismo dei valori “come comprensivi di ogni forma di libertà, morale, politica e sociale”, per dirla con Noberto Bobbio (“Le ragioni della Tolleranza”).
Analogamente, Baruch Spinoza affermava che la libertà di coscienza, nella sua più vasta accezione, è il valore fondante della socialità di qualsivoglia aggregato civile e Popper considerava che la discussione razionale dovrebbe aiutare i governanti a correggere gli errori di rotta, avvicinandosi a quello che i cittadini si aspettano, ed eventualmente abdicando quando viene a mancare la condivisione tra i governanti e gli amministrati. E’ la regola democratica, scrive Bobbio.
Se dunque la giustizia e l’equità costituiscono il requisito primo delle istituzioni sociali come la verità di ogni sistema di pensiero, sta dunque a tutti, precipuamente alla classe dirigente, intervenire consapevolmente e attivamente per impedire che le istituzioni decadano e fare in modo che, in mezzo a tante contraddizioni, si possa compiere qualche, sia pure lento, passo innanzi.
Un percorso difficile in questa società, corrosa e corrosiva, ma un imperativo categorico che deve far riappropriare ciascuno dei valori culturali più autentici, così come affermò Goethe:”nulla è più apprezzabile del sapere e della conoscenza”, eco delle parole dell’Ulisse dantesco. “fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza”.
*****
Se Voltaire dovesse vivere nell’evo attuale, si meraviglierebbe di molte cose e chissà quale trattato dovrebbe scrivere e con che strali. Eppure problemi piccoli e grandi sono sul tappeto e la concezione storica della vita non si può dire il trionfo eufemistico del candore. La storia non è, oggi come oggi, maestra di vita né luce di verità. La storia si ripete invece, come prima, peggio di prima, quasi con la stessa cadenza e l’individuo ne è squassato, disorientato. Il disorientamento non è solo dei giovani, ma di tutti. Scrissi su questo argomento, un paio di anni fa, un racconto soft, senza pretese, al solo scopo di denuncia morale dell’ingranaggio che stringe e che a volte ci stritola.
LA RACCOMANDAZIONE
L’immaginazione dispone di tutto:
essa crea la bellezza, la giustizia e la felicità…
Blaise Pascal
Il medico dell’ospedale di Consolida era molto giovane, forse alle prime armi. Ma era coscienzioso e attento. Gli prescrisse una serie infinita di esami; studiò la sua storia clinica; lo visitò scrupolosamente. Alla fine fece la diagnosi: “Professore, lei è un uomo sano, sano come un pesce!”
Lo guardò attraverso gli occhiali cerchiati. Ma il suo sguardo non era limpido. In quegli occhi chiari, che lo scrutavano seriamente, si notava una leggera increspatura, come un’ombra.
Il professore si sentì rimescolare e non potè fare a meno di pensare: “Vuoi vedere che costui mi nasconde qualcosa? Magari un tumore?…”
Come se avesse captato telepaticamente il suo pensiero, il medico aggiunse:
”Ma c’è una strana malattia, della quale siamo tutti affetti. Chi più, chi meno, in maniera cronica o transitoria. E’ l’infelicità. Io non conosco rimedi efficaci. Soltanto la conoscenza della propria anima potrebbe aiutare. Ma questo dipende dal paziente e non dal medico.”
All’uscita dell’ospedale meditava ancora sulle ultime parole del medico, quando un assembramento di extracomunitari calamitò la sua attenzione. Protestavano con tono piagnucoloso nei confronti di due metronotte con le seguenti parole:
”Perché ci impedite di vendere questi oggetti che ci permettono di mangiare?”
I potenziali clienti, che si erano fermati in disparte a curiosare, sembravano neutrali. Passando, il professore borbottò tra i denti:“Lasciateli campare!”, ringraziato dagli sguardi di gratitudine dei poveri cristi, mentre i due metronotte sembrarono perplessi.
Allontanandosi con la sua utilitaria, vide poi che la discussione continuava meno aspra. Alcuni extracomunitari avevano già poggiato dei panchetti con la loro mercanzia e i metronotte con minore insistenza li invitavano a toglierli. Queste scene si ripetevano dovunque. Anche sul lungomare di San Leone, la sera, c’erano estenuanti tira e molla con le guardie municipali. E chissà quante volte in futuro si sarebbero ripetute. Era il segno dei tempi.
Sul lungo rettilineo verso la città, gli antichi pensieri tornarono ad assalirlo come un fiume in piena. Il suo chiodo fisso era il figlio. Era disoccupato e s’era dovuto sposare in fretta e in furia. La moglie, pure lei disoccupata, aspettava un bambino. Al solo pensarci, gli si torcevano le budella.
Gli amici cercavano di indorargli la pillola:”Vedrai ! E’ un bravo giovane, un vero mago del computer: troverà una sistemazione quando meno te l’aspetti. Magari al nord, dove cercano bravi tecnici.”
Al nord no!, pensava. Ci vorrebbe pure questa bella notizia! La gente non sa cosa vuol dire vivere in una grande città, con un reddito misero, lontano dalla famiglia, al limite della sussistenza. E’ lo stesso che essere disoccupati. Tanto vale restarsene a casa propria, almeno con il conforto dei parenti. In ogni caso, a costo di svenarsi, lui lo avrebbe categoricamente impedito.
Nel forte di questi pensieri, era arrivato davanti al Palazzo di Governo, nei pressi del quale stazionavano una ventina di dimostranti. Una manifestazione composta, con striscioni di protesta e bandiere dei sindacati. Tutti gli automobilisti venivano invitati a non parcheggiare sulla piazza completamente deserta: erano posteggiatori precari che erano stati licenziati in tronco e chiedevano solidarietà. Padri di famiglia costretti dal bisogno ad umiliarsi in pubblica piazza, chissà con quali risultati! Ma la gente cominciava ad alzare la cresta e questo era positivo. Si ricordò del sessantotto, delle sfilate, dei comizi, degli intellettuali e degli studenti che marciavano assieme. Non cambiammo il mondo, ma che bagno di folla! Come allora, ci vuole una presa di coscienza. Bisogna ribellarsi! Ma questi sono quattro gatti! Il potere ci tiene isolati, alla lunga ci disarma! Con chi prendersela, contro chi protestare? La rabbia gli attanagliava lo stomaco.
Decise di scendere a casa, a San Leone; ma prima si fermò al Villaggio Peruzzo per comprare il pane. Sulla piazza un suo amico sindacalista e due interlocutori sconosciuti parlavano animatamente.
“Tu cosa ne pensi, professore, del termovalorizzatore?” l’interrogò al volo il sindacalista.
“Invenzioni che ci complicano la vita. Ormai il nostro mondo è tutto una pattumiera!” rispose imbronciato.
Già, una bella risposta! Ma intanto, il giorno innanzi, lui, vecchio socialista e libero pensatore, era andato ad umiliarsi a Canossa. Per un’udienza che proprio il suo amico sindacalista gli aveva fissato con un deputato dell’estrema destra; un reazionario ch’era stato suo alunno sui banchi di scuola. Ah, i figli! Per i figli si smuovono mari e monti.
L’onorevole aveva molta voce in capitolo persino nelle alte sfere, a Roma. Almeno, così aveva lasciato intendere. Prima di riceverlo, lo aveva fatto penare, disertando ben tre appuntamenti consecutivi. Al quarto incontro, fece finta di non ricordare ch’era stato suo alunno. E, con incredibile supponenza, finì per lasciarlo a bagnomaria: il posto di lavoro? Cosa fattibile! Ma non poteva fare alcuna previsione. Forse l’anno prossimo, chi lo sa, prima delle elezioni politiche. Come dire, io ho il coltello dalla parte del manico e, se ti va, devi aspettare.
Alle due in punto si mise a tavola di malavoglia, davanti al televisore sintonizzato su una rete locale. Tra una forchettata e l’altra, gli sfilavano davanti immagini di politici dai visi sorridenti che facevano passerella; oppure, senza mezze misure, cori di lamentele, contumelie, proteste. Provò il solito disgusto.
Neanche la pennichella pomeridiana gli portò refrigerio. Quindi decise di alzarsi e d’andarsene sul lungomare. Ma anche lì la sporcizia, le erbacce, la trascuratezza, persino le acque del mare color del fango per la mareggiata, finirono per impazientirlo. Mentre il sole declinava, gli arrivò una telefonata sul cellulare. Era il figlio che aveva una bella notizia da dargli. Sarebbe stato assunto a Padova, assieme alla moglie, in una ditta del padre di un collega d’università, un ingegnere che aveva realizzato in Veneto un piccolo impero nel mondo dell’informatizzazione. Come fu subitanea la simpatia per il Triveneto, anche se sapeva ch’era la patria di tanti leghisti! E come si fa in fretta a cambiare d’umore! Il Nord? A pensarci bene, con due stipendi e tanta voglia in corpo, non poteva fare paura! E l’onorevole?
L’onorevole è servito! Lo raccomanderò alle prossime elezioni politiche, facendogli la campagna elettorale al contrario. Così si disse, sorridendo per la spiritosaggine.
(racconto di Ubaldo Riccobono, tutti i dirirri riservati)
caffeina66 ha detto:
san leone…la mia san leone. Lo sapevi che abito lì? Bene ora lo sai.
Al nord no! Beh…se solo i figli fossero davvero nostri! Ma in pratica loro sono della vita e noi li abbiamo solo in custodia.
Un caffè alla cannella?
ubaldoriccobono ha detto:
Il mondo è piccolo Caffy: che sorpresa. Qui ci vuole un caffè tostissimo in quantità elefantiache.
ubaldoriccobono ha detto:
Caffy, dimenticavo: i figli sono liberi di fare le loro scelte, ma se coincidono con i nostri desiderata, è anche meglio. Un abbraccio
flaviablog ha detto:
Voltaire peccava d’ottimismo ( o fingeva di farlo, in realtà l’ho sempre trovato dell’ironia scettica dei geni). Forse non saremo fatti per viver come bruti, per dirla con Dante, ma per goder delle comodità dello sforzo altrui. L’umanità è parassita. Vive sulle scoperte e le invenzioni di pochi, gigioneggia sui ragionamenti altrui, ricrea quel che è già fatto. Qualcuno vive da uomo ed altri, chi più chi meno…da scimmia.
ubaldoriccobono ha detto:
Giudizio del miglior nichilismo, Flavia. Sono punti di vista. Ma vedo molta gente che vuole cambiarlo questo mondo. Se non ci riusciamo è un altro paio di maniche, ma il tentativo dobbiamo fsrlo. Diceva Sciascia che troppo si scarica sulla collettività, per coprire le colpe dei singoli. Io concordo con lui: le responsabilità sono solo individuali.
Dilia61 ha detto:
L’immaginazione dispone di tutto:
essa crea la bellezza, la giustizia e la felicità…
BELLISSIMA E VERISSIMA
Ti volevo lasciare un saluto
Tonksimo ha detto:
Concordo anche io con Sciascia, se siamo arrivati a questo punto è solo perché il singolo si “adagia” sulle frasi fatte “da solo non puoi cambiare nulla… devi adattarti… il mondo è uno schifo… i politici sono tutti corrotti” etc. etc. E’ un subdolo modo di scaricarsi la coscienza, quando non si ha la possibilità (ma più spesso la voglia) di cambiare qualcosa. Molti dei trentenni come me sono frustrati e depressi per via del lavoro… e i “genitori” sono sull’orlo dell’esaurimento perché oltre ai normali problemi personali fronteggiano anche il problema della disoccupazione, precarietà, mancanza di autosufficienza dei figli. Come il professore del racconto…
Ma noi siamo comodi seduti a guardare la TV, o in palestra a fare cyclette, o in giro per negozi, o da un un partner a un altro…
Io inviterei tutti a vedere su Youtube il video “What I have done” dei Linkin Park, molto eloquente.
ubaldoriccobono ha detto:
Cara Simona hai ragione. Ma abbiamo bisogno di donne e uomini come te, determinati, consapevoli e decisi a cambiare il mondo, partendo da sè stessi. Gutta cavat lapidem: è a gioco lungo che si vede il cavallo di razza. Studia, mi raccomando. Buona giornata.
Tonksimo ha detto:
Non lasciarti ingannare, purtroppo io predico bene e razzolo male… ho dei momenti di vera “stanchezza”… invece il mondo ha bisogno di persone forti ;-D
flaviablog ha detto:
Bei discorsi, disponendo di materiale umano apposito, o crediamo veramente che un gruppo di eletti riesca ad indottrinare il prossimo…”in bene”? E’ sempre stato così, un’oligarchia di potenti ha stabilito i parametri sociali, economici e morali e continua a farlo. A volte i gruppi di potenti sono contrapposti, per cui si generano più ideologie, indirizzi comportamentali, ecc. Il principio non cambia: l’umanità è pecorona. Forse proprio la contrapposizione di gruppi oligarcici fa sì che non si scivoli nell’appiattimento ( sempre stupido) verso una visione della vita o l’altra. La democrazia è garantita dalla pluralità. Non dal valore dei singoli. Avran valore come esseri umani, un valore simbolico/ materiale/giuridico, ma cavare da molti…singoli qualcosa di buono…è come cavar sangue da una rapa. Puoi soltanto educarli a non far danni ed a vivere utilmente in un contesto sociale, prima che ci arrivi la criminalità organizzata. Se ci riesci, come Stato.
ubaldoriccobono ha detto:
Carissima Simona contraddici il tuo nome, sei una tonk destinata a lottare e a vincere. Ma come darti torto: in questa società deprimente come non averne. Io per ora… è meglio cambiare discorso. Ti auguro una buona serata.
ubaldoriccobono ha detto:
Flavia, certo il quadro non è idilliaco. Bisogna puntare il dito contro le lobby, piccole e grandi, e mettere mano nella selva oscura dell’alta burocrazia, che tesse la ragnatela, che affligge il nostro paese. Ai politici piacciono persone governabili da mettere nei posti chiave. Bisogna stanarne le trame. Bisogna agire sui giovani, che vedo diversi da noi, a noi spetta il compito di non farli irretire. Non so quali risultati si potranno conseguire, ma se ci adagiamo e non operiamo è come dar loro una mano. Una buona serata 🙂
pulvigiu ha detto:
Un bel racconto caro Ubaldo.
Grazie del tuo passaggio, mi puoi trovare più
spesso nel mio blog ufficiale ristrutturato di alice.
Un salutone da Giuseppe alias pulvigiu.
Il mio blog ufficiale: http://pulvigiu.myblog.it/
ubaldoriccobono ha detto:
Giuseppe Pulvigiu è sempre un onore per me averti sul mio blog. Visiterò il tuo blog ufficiale, ci puoi scommettere. Fai riflettere molto e ci arricchisci. Grazie e una buona serata
flash6155 ha detto:
Il pluralismo può esistere solo se si accettano le diverse culture e, in questo senso, se si ammette la tolleranza verso differenti forme di civiltà, soprattutto oggi, dove comunità etniche coesistono a stretto contatto. Spesso, però, per la classe dirigente è molto più semplice reprimere che discutere: e, purtroppo, a volte, così la pensa non solo chi ci governa. Non tutti sono in grado di rilevare il ruolo fondamentale che giocano la cultura e la conoscenza di situazioni “altre”, rispetto a ciò a cui siamo abituati. Se si conoscono le leggi fondamentali, le usanze e i costumi che tengono in vita e regolano comunità differenti dalla nostra, s’impara ad accettarle o, quantomeno, a rispettarle. E solo se esiste il rispetto per la cultura di altre etnie e di ciò che riteniamo “diverso”, si riesce, pur lentamente, ad apportare un cambiamento: la chiusura totale verso il pensiero di culture diverse ci fa regredire, ci rende persone piccole e limitate. Se guardassimo con distacco alle nostre convinzioni, tenendo conto che viviamo in un’immenso brulicare di convinzioni differenti che si diffondono da una parte all’altra della Terra, ci ridimensioneremmo e capiremmo che noi non siamo che una minima porzione del pensiero umano. E’ perciò necessario un continuo confronto. Non importa se il cambiamento parte da poche persone, l’importante è che qualcosa si smuova, che noi non consideriamo valido, in senso assoluto, il nostro punto di vista.
Ciò ha efficacia anche per gli appartenenti ad una medesima comunità, un confronto è necessario anche all’interno di essa (mi riferisco alle numerose discussioni sollevate recentemente sulla concessione di alcuni diritti alle coppie di fatto e agli omosessuali, alle selezioni determinate da scelte economiche che si fanno nel riconoscere loro questi diritti). Ciò che è diverso fa paura solo se non lo si conosce e se non si offre la possibilità di parlarne.
Un’educazione alla tolleranza, quindi, come accettazione di un confronto, non come passiva sopportazione di qualunque situazione.
Nell’opera di disincrostazione della nostra cultura dal pregiudizio e dai preconcetti è molto prezioso il contributo che gli adulti, i genitori, la scuola possono offrire, favorendo, innanzitutto, la libera circolazione delle notizie, la gratuità della cultura e l’accessibilità alle informazioni (in questo caso, caro Uby, il tuo ed altri blog hanno una rilevante funzione).
L’educazione al cambiamento, l’accettazione del pluralismo (soprattutto quello delle idee), non nasce un bel dì per caso: la si vive ogni giorno, fin dal primo giorno di vita, la si conosce se chi ci fa venire alla luce e ci alleva ci presenta il mondo in cui viviamo sotto diverse luci, con diverse sfaccettature e sfumature.
Gli esempi degli adulti e della società, l’ambiente esterno con cui si entra in contatto contribuiscono alla succesiva formazione, ma la prima educazione ad un’apertura mentale verso la cultura, il pluralismo e il desiderio di conoscenza trova le sue radici negli stimoli culturali offerti inizialmente dai genitori.
Chi non ha potuto sperimentare la libertà delle idee sarà sempre sofferente e avrà difficoltà ad accettare un cambiamento.
Certo, i genitori disegnano grandi strade per i loro figli, per loro sono disposti a tutto, vorrebbero che ai figli non mancasse mai ciò che è mancato loro. E i figli, anche se poi seguono piccoli sentieri, si rendono conto che i genitori hanno agito per il loro bene, col tempo comprendono quali siano stati i tentativi dei genitori nel sottrarli ad una incauta guida della propria anima. Altre volte i figli, nella vita, riescono meglio di ogni aspettativa.
Perciò credo sia preferibile guardare le cose con un certo ottimismo, soprattutto sui tempi lunghi, piuttosto che sentire ogni giorno su di sé la cappa opprimente dell’autocommiserazione: con il primo si può cambiare qualcosa; con il secondo si rischia di deprimersi.
Au revoir, Voltaire!
Au revoir, Uby!
Scusami se ho occupato tanto spazio nel tuo blog.
Rosalba
Yzma ha detto:
Il lascito di Voltaire quindi è l’invito illuministico a combattere l’ignoranza, il pregiudizio, la superstizione e l’arroganza del potere, in nome della cultura, del cosmopolitismo, della libertà di coscienza
(sono belli i tuoi racconti) 🙂
ubaldoriccobono ha detto:
Ne hai occupato dello spazio, eccome, carissima Rosalba. Non mi disturba affatto, ma solo che avendo detto tutto tu e bene, non mi resta altro che concordare. Al limite, potrei aggiungere che le tue parole e i tuoi concetti mi serviranno per un saggio, che dovrò scrivere quest’estate. La tolleranza bella parola, la si strombazza ai quattro punti cardinali, ma poi il mondo è intollerante. Io ho un figlio dell’Africa, vedessi quanto è bello e mi confronto ogni sera con lui, come se fosse presente. Immagino le sue difficoltà, ma sono felice perchè gli sto dando una mano, anzi gli stiamo dando una mano. Conosco moltissime persone, anche parenti, che hanno fatto adozioni a distanza. Il fenomeno va prendendo piede. Con il tempo le cose potranno cambiare, spero però che anche le altre etnie possano sconfiggere i fondamentalismi chiusi e beceri. Io giornalmente incontro queste persone e molto spesso scambio con loro qualche parola. I loro occhi brillano e s’illuminano, si aprono al dialogo. Sono già pronti per la piena integrazione. Io non mi sono mai accorto del colore della loro pelle, del resto quando vado al mare e mi abbronzo il mio colore non è diverso dal loro. A volte li vedo un po’ perseguitati, ma la stragrande maggioranza della gente è dalla loro parte. E per finire, i figli. I figli sono la cosa più bella al mondo. E’ un concetto forse elementare, ma io lo vedo sotto un’altra dimensione, come figlio che sono stato amato dai miei genitori e ha compreso tutto quello che loro hanno fatto per me e i miei fratelli. Forse a questo non si pensa mai. Un cruccio solo ho, quello di non avere avuto il tempo di dire grazie consapevole, mentre erano presenti. Ma allora ero ancora giovane. Comunque, ci penso spesso ed è come se mi confrontassi sempre con loro. Va da sè, infine, che il titolo “Gli eredi di Voltaire” era umoristico per i motivi che tu hai individuato ampiamente. Da Voltaire e dagli altri enciclopedisti sortì la rivoluzione francese. Sarà possibile un’altra rivoluzione nel secolo XXI? Certo non esistono le condizioni di allora, il mondo è mutato: esistono gli imperialismi, le multinazionali, le guerre (che spesso dimentichiamo). Il processo sarà lento, ma concordo con te, l’uomo deve guardare nel suo intimo e riscoprire l’infinito di cui è portatore. L’infinito è il suo pensiero e l’intelletto: hai detto bene, non moriranno mai. Grazie del tuo passaggio. Un abbraccio e una buona serata.
ubaldoriccobono ha detto:
Grazie, mia solare Yzma, si è al mondo per dare e lasciare traccia, altrimenti il nostro soggiorno assomiglierebbe a quello dei bruti. Io ti ammiro perchè sei molto umana e vedi dove devi vedere: i tuoi alunni cresceranno bene. Sai m’è piaciuta quella della gomma da masticare sotto il sedere dell’autista e tu che facevi finta di niente. Quanti scherzi infantili facemmo a scuola, ma mai atti di bullismo. I poi al mondo c’è gente che una piccola lezione, un piccolo dispetto, se lo merita proprio, tanto perchè imparino. Una buona notte 🙂
utente anonimo ha detto:
complimenti belllissimo racconto buin fine settimana
ubaldoriccobono ha detto:
Grazie utente anonimo e buon week end pure a te.
tullia65 ha detto:
Io consiglio a tutti di leggere il Candido: da lì viene fuori – come un po’ in tutti i suoi scritti – lo scetticismo di Voltaire che invita, in fondo, a coltivare, oguno di noi, il proprio giardino. Ossia se stessi. E, d’altronde: c’è un’altra strada? La bellezza che vediamo e’ dentro. Altrimenti, non la vedremmo. E’ in noi che dobbiamo rinnovare lo sguardo.
Il tuo racconto rende bene l’idea. La storia si ripete – nord, sud, che importa? – e non cambia proprio nulla. Pure le ragioni dell’infelicità non mutano. Solo iniquità, e il grande fratello controlla che nulla cambi.
E gli uomini non imparano. Troppo faticoso, comprendere.
Inividio Rosalba: una lottatrice. Un abbraccio.
ubaldoriccobono ha detto:
Hai perfettamente ragione Tullia: è dall’interno che deve venire il rinnovamento, è nel nostro intimo che dobbiamo cogliere la bellezza del nostro pensiero e dimostrarla all’esterno. La verità è che la maggioranza degli uomini si lascia abbindolare e una oligarchia fa quello che vuole. Ma io sono come Rosalba, un lottatore. Tanto, come diceva Pascal, che mi costa scommettere. Se perdo, non ho perso niente. Ma se vinco… Una buona domenica con un abbraccio 🙂
atima ha detto:
ubaldoriccobono ha detto:
Fatima, insuperabile sempre nella tua gentilezza e sensibilità, grazie della cartolina e del saluto “urbi et orbi”.
Un abbraccio e una buona settimana.
atima ha detto:
Grazie tante!
fatima