“FRANCESCO CRISPI UN PROTAGONISTA
DELL’UNITA’ D’ITALIA”
LIBRO DI GAETANO ALLOTTA
“Rivoluzionario per fare l’Italia
Conservatore per mantenerla”
"Francesco Crispi, protagonista dell'Unità d'Italia", è il libro che Gaetano Allotta ha
presentato a Milano, nella sala conferenze dell'Acquario Civico, il 9 maggio scorso, e pochi giorni prima era stato oggetto di due conferenze al Polo Universitario di Agrigento e a Ribera, dove Crispi era nato, presso la casa natale dello statista. Nel tracciare la biografia di Crispi, lo storico Gaetano Allotta non si perita a parlare di luci e di ombre sul conto dello statista, informandosi però a fatti e a documenti, taluni dei quali hanno di recente rivalutato la figura storica dello statista. Allotta tutto ciò l’affronta da studioso di storia, supportato anche dall’ottima prefazione della Prof.ssa Gabriella Portalone, docente di Storia Contemporanea dell’Università degli Studi di Palermo.
Allotta in primis così fotografa sinteticamente la vita di Crispi:
SINTESI AUTOBIOGRAFICA: Francesco Crispi nasce a Ribera il 4 ottobre 1818, da una famiglia di etnia albanese, come risulta da documenti risalenti alla prima metà del 1400: viene battezzato infatti da un sacerdote cattolico di rito greco. Si laurea in giurisprudenza e pratica l’avvocatura. Prepara l’impresa dei Mille e viene eletto deputato nel 1861, Ministro dell’interno nel 1877-78; Presidente del Consiglio tra il 1887 ed il 1891 e tra il 1893 ed il 1896, Presidente della Camera dei Deputati nel 1876. Persegue una forte politica estera, di penetrazione coloniale in Africa ed è ispiratore di moderne leggi di riforma, tra l’altro, con l’abolizione della pena di morte e col riconoscimento del diritto allo sciopero. Nel periodo preunitario, a causa delle lotte antiborboniche, è esiliato prima a Malta e poi a Londra, tornando però in Italia per proseguire le sue battaglie. Viene considerato un grande siciliano ed un grande italiano e, dopo i fatti di Adua, si ritira a Napoli, dove esercita ancora l’avvocatura e muore nel 1901. La salma viene trasportata a Palermo con una nave militare e gli vengono tributati solenni funerali, addirittura sontuosi, tra ali di folla commossa. Un’attenta rilettura delle sue vicende storiche gli riconosce coraggio politico, realizzazioni legislative di grande valore ed una dipartita senza clamori e in assoluta povertà.
Nella prefazione all’opera di Allotta, la prof.ssa Gabriella Portalone definisce Crispi “una delle tante vittime della storiografia”, aggiungendo:
“Crispi può essere considerato come uno dei padri della Nazione Italiana insieme a Mazzini, Garibaldi, Cavour e Vittorio Emanuele. Senza di lui, senza il suo altissimo senso pratico e organizzativo, senza il suo intuito politico e la sua preparazione giuridica, il meridione, probabilmente, non sarebbe mai stato conquistato o, quantomeno, non sarebbe stato conquistato con tale rapidità. A nulla sarebbe valsa la maestria diplomatica di Cavour, i desideri di espansione dinastica di Vittorio Emanuele, gli scritti e gli incitamenti alla rivolta popolare di Mazzini, se Crispi non fosse riuscito a convincere Garibaldi a partire da Quarto alla volta della Sicilia e se poi non avesse provveduto all’organizzazione logistica dell’avanzata dei Mille nell’Isola.”
Gaetano Allotta fa poi una disamina iniziale di Crispi patriota e repubblicano, a cominciare dall’insurrezione antiborbonica in Sicilia nel gennaio 1848. Il 25 marzo Crispi sedeva alla Camera dei Comuni siciliani, a seguito dell’elezione nella nativa Ribera, mentre lo zio Giuseppe, Vescovo, sedeva alla camera alta come Pari ecclesiastico. Il 27 marzo fu tra coloro che proclamarono Ruggero Settimo dittatore della Sicilia. Tuttavia egli non si dimostrò entusiasta della mossa politica di tagliare definitivamente i ponti con i Borbone, temendo che la rottura avrebbe comportato il rischio di mantenere la Sicilia sotto il giogo dei baroni locali che tanto avevano fatto per limitarne la crescita economica e sociale. Fu in ciò tacciato di antisicilianismo. Dopo il fallimento della rivoluzione, pur non entrando nella lista dei condannati a morte, preferì espatriare. Nel maggio del ’49 riparò a Marsiglia, vagò per Nizza, poi passò a Torino. Qui conobbe la sua compagna Rosalia Montmasson, cercò invano di ottenere un impiego come segretario comunale di Verolengo e si ridusse a sbarcare il lunario facendo il giornalista. Durante il soggiorno a Torino ebbe anche rapporti epistolari con Cattaneo, alla cui teoria federalista si era gradatamente avvicinato negli anni precedenti. Già nel 1850, con dieci anni d’anticipo, Crispi, scrivendo a Mazzini, aveva prospettato l’idea di uno sbarco in Sicilia, nel litorale compreso tra Marsala e Palermo. Coinvolto nella cospirazione mazziniana di Milano del 6 febbraio 1853, fu espulso dal Piemonte e costretto a rifugiarsi a Malta con altri esuli, dove venne raggiunto da Rosalia Montmasson, che gli sarà sposa, collaboratrice, comprensiva e fedele.
Da Malta entrò in contatto con il patriota ungherese Kossuth e consultò frequentemente Mazzini. Per farsi sentire più energicamente fondò il giornale “La Valigia”. Le lettere-proclama di Crispi furono assidue e vennero pubblicate anche su “La Staffetta”.
“Noi odiamo ogni tirannide, ogni intolleranza, ogni privilegio, ogni monopolio… noi vogliamo l’autonomia di ogni popolo – la libertà in tutto, senza altro limite che il diritto del prossimo alla stessa libertà dei popoli, come tra gli uomini non altri vincoli che quelli nascenti dalla fratellanza, l’inviolabilità delle persone, come della proprietà, del lavoro come dei prodotti, il diritto insomma ad una esistenza indipendente e al suo miglioramento morale ed economico, non meno in ogni nazione, che in ogni uomo. In conseguenza noi siamo nemici delle conquiste e dei colpi di stato, e saremo sempre a propugnare che ogni nazione come ogni uomo riabbiano i diritti che la sorpresa o la violenza han loro strappato”
Ma per tale vivacità Crispi venne espulso da Malta e raggiunse Londra nel gennaio 1855, accolto fraternamente da Giuseppe Mazzini, continuando a cospirare per il riscatto dell'Italia. Il 15 giugno 1859 rientrò in Italia dopo aver pubblicato una lettera in cui si opponeva all'ingrandimento del Piemonte, autoproclamandosi fautore di uno stato italiano unito e repubblicano. Per due volte quell'anno percorse, in incognito, varie città siciliane, preparando l'insurrezione del 1860. Tornato a Genova, organizzò insieme a Bertani, Medici e Garibaldi la spedizione dei Mille e, aggirando con uno stratagemma le esitazioni di Garibaldi, fece in modo che la spedizione prendesse il via il 5 maggio del 1860. Dopo gli sbarchi a Marsala il giorno 11 e a Salemi il 13, Garibaldi fu proclamato dittatore della Sicilia con le parole d'ordine «Italia e Vittorio Emanuele».
Dopo la caduta di Palermo, Crispi fu nominato Ministro dell'Interno e delle Finanze del governo siciliano provvisorio, ma fu presto costretto a dimettersi a seguito dei contrasti fra Garibaldi e gli emissari di Cavour sulla questione dell'immediata annessione all'Italia. Nominato segretario di Garibaldi, Crispi ottenne le dimissioni di Depretis, che Garibaldi aveva nominato dittatore in sua vece, e avrebbe sicuramente continuato ad opporsi risolutamente al Cavour a Napoli, dove era stato nominato da Garibaldi Ministro degli Esteri, se l'arrivo delle truppe regolari italiane non avesse portato all'annessione del Regno delle due Sicilie all'Italia e poi al ritiro di Garibaldi a Caprera e alle dimissioni dello stesso Crispi.
Nel 1861 si candidò per l'estrema sinistra alla Camera dei Deputati nel Collegio di Palermo, ma venne battuto. Comunque grazie a un caro amico siciliano, il repubblicano Vincenzo Favara, aveva presentato la sua candidatura nel Collegio di Castelvetrano dove Crispi, pur essendo sconosciuto ai più, risultò vincitore grazie alla campagna propagandistica svolta dal suo "grande elettore", che organizzò anche una raccolta fondi per consentire al neo-deputato, all'epoca in gravi ristrettezze economiche, di recarsi a Torino per l'inaugurazione del Parlamento. Alla Camera, Crispi acquistò la fama di essere uno dei membri più combattivi e irruenti del partito repubblicano, denunciando la situazione siciliana ad un anno del plebiscito:
”Le condizioni dell’isola sono difficilissime per l’imprudenza e l’inopportunità nelle riforme amministrative, per l’inscienza delle cose locali, per l’esitazione nelle misure da adottarsi e finalmente per nessun rispetto delle leggi… Potete immaginare che tale essendo lo stato delle cose, e queste le conseguenze di un cattivo Governo durato dodici mesi, quelle popolazioni non possono avere fiducia né negli uomini che amministrano la Sicilia, né negli uomini che governano l’Italia”
Nel 1864, tuttavia, si convertì alla fede monarchica, pronunciando la famosa frase, in seguito ripetuta nella sua corrispondenza con Mazzini: «La monarchia ci unisce, la repubblica ci divide». Fu un atto di pragmatismo. Alle elezioni del 1865 Crispi presentò un programma molto articolato, che non esiteremmo a definire attuale:
· Ridurre di un terzo la burocrazia
· Emancipare il pubblico ministero dal potere esecutivo
· Rendere la polizia ai municipi
· Introdurre la proporzionale sul reddito
· Dare l’autonomia alle Università
· Rendere accessibile il credito alle piccole proprietà e alle piccole industrie
· Completare le strade nazionali e raddoppiare le linee dei piroscafi
· Riordinare il potere centrale e sottrarre la burocrazia all’influenza politica
· Separare nettamente il potere legislativo da quello esecutivo
· Rendere elettivo il Senato;
· Rendere eleggibili alla Camera tutti i cittadini italiani che abbiano compiuto 25 anni e, al Senato, quelli che ne abbiano compiuto 30;
· Retribuire il mandato parlamentere affinchè l’aula sia accessibile a tutte le intelligenze;
· Ammettere al voto tutti i cittadini italiani che abbiano compiuto 21 anni e sappiano leggere e scrivere
Questo fu il programma che Crispi presentò alle elezioni dell’ottobre 1865 ed è facile constatare come ci siano delle affermazioni di vasto respiro moderno e democratico e che soltanto diverse decine di anni dopo entrarono nella legislazione nazionale. Ma queste tesi sono senz’altro il frutto di una intelligente visione dei tempi, proiettati al futuro.
Tra le ombre, qualche pessima speculazione edilizia, per un uomo che era più abituato alle carte della professione forense, che esercitò con grande prestigio e con successo, a Torino, a Firenze ed a Napoli.
Anche le vicende familiari gli procurarono problemi, col matrimonio con la Montmasson, col famoso successivo annullamento e l’altro matrimonio con Filomena (Lina) Barbagallo, una donna giovane e bella e che aveva 26 anni meno dello statista. Accusato di bigamia, Crispi potè provare che il precedente matrimonio era invalido e fu assolto.
Nel 1866 declinò la proposta di entrare nel governo Ricasoli e nel 1867 si adoperò per impedire l'invasione degli Stati Pontifici ad opera dei Garibaldini, prevedendo la conseguente reazione francese che portò al disastro di Mentana.
Allo scoppio della guerra franco-prussiana del 1870 si adoperò energicamente per impedire la progettata alleanza dell'Italia con la Francia e per trasferire a Roma il governo Lanza. La morte di Rattazzi nel 1873 indusse i sostenitori di Crispi ad avanzare la sua candidatura per la guida della Sinistra, ma egli sostenne invece l'elezione di Agostino Depretis.
All'avvento al potere della Sinistra nel 1876 fu eletto Presidente della Camera. Nell'autunno del 1877 fu in viaggio a Londra, Parigi e Berlino, avendo così occasione di stabilire cordiali relazioni con Gladstone, Granville e altri statisti inglesi, nonché con il cancelliere Bismarck.
Nel dicembre 1877 prese il posto di Giovanni Nicotera al Ministero degli Interni del governo Depretis. Il 9 gennaio 1878 la morte di Vittorio Emanuele II e l'ascesa al trono di Umberto diedero modo a Crispi di garantire il formale insediamento di una monarchia unitaria attraverso l'assunzione da parte del nuovo re del nome di Umberto I re d'Italia, anziché di quello di Umberto IV di Savoia. Le spoglie di Vittorio Emanuele furono sepolte nel Pantheon di Roma invece che essere trasferite al mausoleo dei Savoia a Superga. Il 9 febbraio 1879 la morte di Pio IX fu seguita dal primo conclave tenuto dopo l'unificazione dell'Italia.
Crispi, con l'aiuto del cardinale Pecci, che in seguito divenne papa Leone XIII, persuase il Sacro Collegio a tenere il conclave a Roma e prorogò la durata della legislatura nel timore che la solennità dell'evento potesse altrimenti esserne disturbata. Le qualità di grande statista dimostrate in questa occasione non furono sufficienti ad evitare l'ondata di indignazione scatenata dagli oppositori di Crispi a seguito dell'accusa di bigamia, mossagli senza che a sostegno di essa vi fosse un qualsiasi fondamento legale. Crispi fu costretto a dimettersi, nonostante il fatto che il suo precedente matrimonio, contratto a Malta nel 1883 fosse stato dichiarato nullo, e che egli regolarizzasse in seguito la sua nuova unione con la signora Barbagallo.
Per nove anni la carriera politica di Crispi subì una battuta d'arresto, ma nel 1887 ritornò in carica come Ministro degli Interni nel governo Depretis, succedendogli come primo ministro lo stesso anno.
Una delle sue prime iniziative fu quella di stringere rapporti con Bismarck, rinsaldando il funzionamento della Triplice Alleanza, integrandolo con il trattato navale con la Gran Bretagna. Con ciò Crispi assunse il proverbiale atteggiamento risoluto nei confronti della Francia.
In politica interna Crispi fece adottare i codici sanitario e commerciale e riformò l'amministrazione della giustizia. Abbandonato dai propri alleati del Partito Radicale, Crispi governò con l'appoggio della Destra fino a quando, il 31 gennaio 1891 un'incauta allusione ad un preteso atteggiamento servile del partito conservatore nei confronti delle potenze straniere portò alla caduta del suo governo.
Nel dicembre 1893 l'incapacità del governo Giolitti di ristabilire l'ordine pubblico in Sicilia (i Fasci siciliani) e in Lunigiana, ebbe come conseguenza la richiesta da parte dell'opinione pubblica del ritorno al potere di Crispi. Dopo aver riassunto l'incarico di Primo Ministro represse con forza le insurrezioni, e appoggiò con decisione le energiche misure correttive adottate dal Ministro delle Finanze Sonnino, per salvare le finanze dello stato italiano, duramente scosse dalla crisi del sistema bancario degli anni 1892-1893.
La risolutezza di Crispi nella repressione dei moti popolari, ed il suo rifiuto sia di uscire dalla Triplice Alleanza che di sconfessare il proprio ministro Sonnino, causarono una rottura con il leader radicale Cavallotti, il quale lo attaccò con una spietata campagna diffamatoria. Un fallito attentato subito ad opera di un anarchico portò ad una momentanea tregua, ma gli attacchi di Cavallotti presto ripresero più aspri che mai. Ciononostante nelle elezioni generali del 1895 Crispi ottenne una vastissima maggioranza, ma un anno dopo, la sconfitta dell'esercito italiano ad Adua durante la prima guerra Italo-Abissina, provocò le sue dimissioni.
Il successivo governo Rudinì dette credito alle accuse di Cavallotti, e, alla fine del 1897 la magistratura chiese alla Camera l'autorizzazione a procedere contro Crispi con l'accusa di appropriazione indebita. Una commissione parlamentare incaricata di indagare sulle accuse mossegli, stabilì soltanto che Crispi, nell'assumere l'incarico di Primo Ministro nel 1893 aveva trovato il fondo di dotazione dei servizi segreti privo di disponibilità, e quindi aveva preso a prestito da una banca di stato la somma di 12.000 lire, da restituirsi con rate mensili garantite dal Tesoro.
La commissione, considerando questa procedura irregolare, propose alla Camera, che accettò, un voto di censura, ma si rifiutò di autorizzare l'incriminazione. Crispi si dimise dalla carica di parlamentare, ma fu rieletto a furor di popolo nell'aprile del 1898 nel suo collegio di Palermo. Per alcuni anni partecipò solo marginalmente alla vita politica, soprattutto a causa dell'incipiente cecità. Un riuscito intervento chirurgico gli restituì la vista nel giugno del 1900, e, nonostante avesse ormai 81 anni, riprese in buona misura la precedente attività. Presto, tuttavia, la sua salute peggiorò irreversibilmente, fino alla morte, sopraggiunta a Napoli il 12 agosto 1901.
Carattere del politico Per il suo temperamento autoritario, per la sua lealtà al Re e per il suo patriottismo Crispi piaceva alla borghesia, ai conservatori e alle destre. Inoltre, per i discorsi fortemente sociali, che aveva pronunciato durante gli anni dell’opposizione e per essere stato estraneo ai governi che avevano amministrato il Paese dall’Unità in poi, ispirava fiducia e speranze nelle sinistre. Convinto di avere il consenso popolare, cercò di dare un ruolo all’esercito e di dare all’Italia una sua politica estera.
La legge di pubblica sicurezza, la riforma delle opere pie, le leggi sulle amministrazioni comunali, sulla sanità pubblica, l’istituzione di un tribunale amministrativo per tutelare il cittadino nei suoi rapporti con la pubblica amministrazione, appartennero al suo periodo e furono apprezzati, soprattutto nella visione della creazione di uno stato di diritto, con la riforma del sistema carcerario, l’approvazione del nuovo codice penale, opera di Zanardelli e che aboliva la pena di morte, ed infine il riconoscimento del diritto di sciopero.
Fasci Siciliani Tra le ombre del Governo Crispi viene spesso citato lo stato di assedio in Sicilia e Lunigiana. La crisi economica è certamente all’origine del movimento dei Fasci Siciliani: l’inversione del ciclo espansivo, che investe tutta l’Europa, il crollo dei prezzi del grano, dello zolfo e dei prodotti ortofrutticoli, provocano una radicalizzazione del conflitto sociale. Nel romanzo “I vecchi e i giovani”, Luigi Pirandello descrive lucidamente e con estrema efficacia la situazione che era venuta a determinarsi in Sicilia. Infatti, a proposito dell’oggettivo retroterra storico dei Fasci, egli sottolinea che “già da lunghi anni covava il fuoco in Sicilia”, che la “rapidissima formazione dei Fasci non era dovuta solo all’assidua e vigorosa propaganda dei giovani”, dato che “il terreno era da lungo tempo preparato”. “Il Governo, invece d’accorrer a gettare acqua, mandava soldati a suscitare altro fuoco col fuoco delle armi”, dopodiché “la folla, inselvaggita dagli eccidi, restava padrona del campo e assaltava furibonda i municipi e vi appiccava il fuoco”.
Infine Pirandello, dopo aver accennato all’errata politica doganale italiana, compie un’attenta diagnosi della natura semimistica dell’entusiasmo popolare per i Fasci e i loro capi (“migliaia di donne, migliaia di contadini, intere popolazioni dell’Isola in delirio, gettar fiori, prosternarsi con la faccia a terra, piangere e gridare come prima davanti l’immagine dei loro santi”). Nei cortei si portava in giro persino l’immagine di Pio IX.
In sostanza, già con i governi Giolitti e Rudinì i freni erano già stati stretti, anche perché il Questore di Palermo, Eugenio Balabio, descriveva il clima di tensione esistente nel circondario e chiedeva alle autorità una politica più dura nei confronti dei Fasci, pur riconoscendo che agli inizi il movimento ed il suo programma di miglioramento della classe operaia erano stati accolti con favore.
Giolitti è duro sul giudizio sui Fasci: “sotto questa denominazione so sono formate associazioni che non sono di mutuo soccorso, ma di persone che vogliono vivere senza lavorare e che servono da piedistallo per altre persone, le quali si propongono in questo modo di salire in alto, avvalendosi di loro”.
A Crispi raccontarono che uno dei capi del movimento, l’On. Felice Giuffrida, si era incontrato segretamente in un paese della Sicilia con emissari francesi e russi per trattare la separazione dell’Isola dall’Italia. Gli avevano raccontato che una nave inglese si accingeva a sbarcare in un porto siciliano. Gli avevano detto pure che tutti gli anarchici di Europa si accingevano a raggiungere l’Isola per spingerla all’insurrezione. Tuttavia è stato accertato che il decreto che ordinava lo stato d’assedio era già stato predisposto dal precedente governo guidato da Giolitti e che poi Crispi firmò a causa del precipitare della situazione.
L’avventura coloniale: Un’altra ombra storica che determinò il definitivo tramonto del periodo crispino fu l’avventura coloniale. All’indomani della disfatta di Dogali, Crispi fu convinto a convertirsi alla politica di spartizione del continente africano dallo stato maggiore dell’esercito, continuando l’avanzata in Etiopia; ma dopo una serie di insuccessi il nostro esercito fu travolto ad Adua.
Adua segnò la fine di Crispi, che forse sottovalutò la situazione che era venuta a determinarsi, ma poi decise di presentare le dimissioni, per evitare un dibattito parlamentare, che già si profilava negativo per lui, ma probabilmente rifiutò di comprendere che l’Italia non era abbastanza forte né abbastanza ricca, né abbastanza matura per una grande avventura coloniale, per la quale eravamo incoraggiati sotto banco da Francia e Inghilterra, che avevano già consolidato in tutta l’Africa consistenti imperi coloniali.
I nemici di Crispi si scatenarono, contestandogli non soltanto gli errori commessi sul piano militare, ma anche tutta una serie di fatti, che, veri o non veri, finirono con l’umiliarlo. I pettegolezzi entrarono anche nella vita privata, si raccontava che Lina lo tradisse, che il figlio avesse rubato i gioielli di una signora romana, di cui era stato l’amante, si parlò tanto dei suoi debiti con le banche, Tuttavia, poche settimane dopo, presentò la sua candidatura all’elezione suppletiva provocata dalle sue dimissioni e tornò alla Camera, con una maggioranza quasi plebiscitaria, per il collegio di Palermo: un voto polemico della Sicilia contro Roma e il continente. Si ritirò nella casa di Napoli, dove morì povero l’11 agosto 1901.
Il migliore giudizio su di lui è stato dato da Garibaldi:
”Crispi è il migliore dei miei amici, uomo d’onore, disinteressato, mi ha sempre aiutato meglio di ogni altro; con me nei pericoli, stando al potere non ha mai abusato”