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«AVEVO LA SPAGNA NEL CUORE»
“Avevo la Spagna nel cuore. Quei nomi – Bilbao Malaga Valencia e poi Madrid, Madrid assediata – erano amore, ancor oggi li pronuncio come fiorissero in un ricordo di amore. E Lorca fucilato. E Hemingway che si trovava a Madrid. E gli italiani che nel nome di Garibaldi combattevano dalla parte di quelli che chiamavano rossi. E a pensare che c’erano contadini e artigiani del mio paese, d’ogni parte d’Italia, che andavano a morire per il fascismo, mi sentivo pieno d’odio. Ci andavano per fame. Li conoscevo. Non c’era lavoro, e il duce offriva loro il lavoro della guerra. Erano carichi di figli, disperati; se andava bene, la moglie avrebbe fatto trovar loro, al ritorno tre o quattromila lire messe da parte; e il duce li avrebbe certo compensati con un posticino di bidello o di usciere. Ma per due o tre del mio paese la cosa andò male, in Spagna ci restarono, morirono in Spagna di piombo per non morire di fame in Italia” (Leonardo Sciascia, Le parrocchie di Regalpetra)
Questo brano è un atto d’amore di Leonardo Sciascia nei confronti di una nazione, la Spagna, “amata sui libri” attraverso i suoi poeti e scrittori, prima di conoscerla. Così come è stato un atto d’amore nei confronti dello scrittore, nel ventennale della sua morte, la conferenza “Avevo la Spagna nel cuore”, che la professoressa Rosalia Centinaro Savatteri ha voluto tenere presso l’Università della Terza età di Agrigento, per tributare il giusto ricordo a un amico di famiglia.
Ci sono vite di famiglie già scritte. Non si sa se sia effettivamente così per tutti i casi, ma la famiglia Savatteri-Centinaro sembra avere avuto assegnato in sorte – in buonissima sorte – il culto di Leonardo Sciascia. L’amicizia della famiglia Savatteri con la famiglia Sciascia, vecchissima, viene a rinsaldarsi ulteriormente tra il padre dello scrittore e il nonno di Calogero Savatteri, direttore di banca. I Savatteri d’estate abitano in Contrada Noce di Racalmuto, per sottrarsi all’afa e alle esalazioni della miniera che arrivavano in paese spinte dal vento. Anche Calogero Savatteri comprerà terra in Contrada Noce per costruirvi una casa, molto vicina a quella dello scrittore e a quella degli zii. La devozione e la solerzia, quasi proverbiali di Calogero Savatteri nei suoi confronti, avevano mosso Leonardo Sciascia a far da testimone al matrimonio del suo affezionato amico con Rosalia Centinaro docente di lettere (italiano, latino e nei licei), progetto poi impedito per un viaggio di Sciascia per ritirare un premio. Ma l’amicizia per lo scrittore con il passare del tempo si è accresciuta, fino a diventare autentico culto: entrambi i figli dei Savatteri hanno voluto discutere la loro tesi di laurea su Sciascia: Matilde, funzionario in un Istituto di Credito, si è laureata in lettere classiche con la tesi “I saggi di Leonardo Sciascia” ed Edoardo, professore di filosofia, pianista, ha dissertato su “Influssi storico-filosofici del ‘900 spagnolo nel pensiero di Leonardo Sciascia”,
Appare scontato affermare che la madre ha fatto di Sciascia, durante la sua ultratrentennale esperienza di docente, il percorso privilegiato del suo magistero didattico, continuando, dopo aver concluso la sua carriera, a professare il suo amore “religioso” per il maestro di Regalpetra con discussioni, dibattiti e conferenze.
“A venti anni dalla sua morte mi sembrava doveroso offrire un mio piccolo ricordo all’amico, all’uomo, al grande scrittore” ha premesso con il candore che la contraddistingue, prima dell’intervista.
L’INTERVISTA
Perché l’argomento della Spagna?
“E’ fondamentale nella poetica di Sciascia e mostra ampiamente il suo spessore europeo, quantunque le sue opere trovino addentellati evidentissimi nella cultura francese (Montaigne, Voltaire, Diderot, Courier, Stendhal ecc.), in quella americana, inglese, tedesca…e via dicendo. Però, il rapporto con la Spagna assume aspetti assai peculiari e privilegiati”
L’Inquisizione come materia comune?
“Non solo. Italo Calvino scriveva a Sciascia, precisando che se avesse tenuto sempre vivo questo rapporto Spagna-Sicilia, l’ispano-siculo gli avrebbe dato l’universalità. In Morte dell’inquisitore Sciascia, attraverso la storia dell’”eretico” racalmutese Fra Diego La Matina, traccia una storia d’inquisizione che potrebbe essere collocata spazio-temporalmente in qualsiasi luogo della Spagna. E ne possiamo ricavare, già da questo, che la Sicilia è la Spagna e la Spagna è la Sicilia. Ma su questa falsariga c’è da dire che l’intera opera di Sciascia è una inquisizione continua, perché l’inquisizione (“l’eterna inquisizione”) è lo strumento principe che offre alla Ragione il modo di rivelare la verità e le imposture: Sciascia possiamo dire che è un inquisitore per antonomasia, che cava dalla realtà la verità. Che poi essa venga sconfitta, è discorso diverso, che dipende dalle congiunture. Ma ritornando a Morte dell’inquisitore, facendo successive ricerche sull’argomento anche in Spagna, Sciascia disse che «appena si dà di tocco all’Inquisizione, molti galantuomini si sentono chiamare per nome, cognome e numero di tessera del partito cui sono iscritti», dimostrando che l’inquisizione e l’intolleranza erano tutt’altro che morte.
Quale fu il motivo che spinse Sciascia a parlare nelle Parrocchie e nell’Antimonio della guerra civile spagnola?
“Non soltanto per la sua vocazione antifascista, maturata nel periodo studentesco all’Istituto Magistrale di Caltanissetta, dove incontrò Brancati, Vittorini, Luigi Cortese, Luigi Monaco, l’editore Salvatore Sciascia.
Sciascia nel capoluogo nisseno s’era avvicinato alla migliore letteratura Europea e americana e, cresciuto nel periodo del ventennio fascista, non poteva non sentire profondamente quella guerra, relativamente alla quale aveva avuto notizie di prima mano che dei racalmutesi erano andati a morire per il fascismo, al solo scopo di mandare a casa la paga che potesse sfamare i familiari. Un dramma umano terribile, contrario ad ogni logica razionale, come fu per molti.”
E dall’altro lato della barricata c’erano i garibaldini e altri volontari che lottavano per la repubblica contro Franco…
“E idealmente anche Leonardo Sciascia. Egli aveva assimilato al meglio la cultura spagnola, attraverso Lorca, Machado, Cervantes, Ortega y Gasset, Miguel de Unamuno, Castro, Azaña e si sentiva spagnolo nel sentimento e nell’essere. Anzi diceva perentoriamente «Se la Spagna, è come qualcuno ha detto, più che una nazione un modo di essere, è un modo di essere anche la Sicilia; e il più vicino che si possa immaginare al modo di essere spagnolo».
E Sciascia, a posteriori, volle fare in Spagna viaggi di conoscenza…
“Appare sorprendente come abbia trovato le assonanze con quanto la sua fantasia gli aveva suggerito nei suoi racconti. Ritrovò i posti dov’erano stati e morti gli italiani. Ma soprattutto Ortega y Gasset era stato decisivo per fargli scrivere ciò che scrisse su quella guerra tremenda nell’Antimonio, prima che avesse contezza fisica dei luoghi. Sciascia definì l’opera di Ortega y Gasset «un gran libro di viaggio, un viaggio straordinario, avventuroso, ricco di imprevisti e rivelazioni nelle regioni dell’intelligenza»
C’è un passaggio di Sciascia assai emblematico di questo legame “prodigioso” Sicilia-Spagna:
"…andare per la Spagna è, per un siciliano, un continuo insorgere della memoria storica, un continuo affiorare di legami, di corrispondenze, di "cristallizazioni". E bastano i nomi: di paesi, di strade. Che sembra sentirli risuonare, nella lontana eco del tempo, dalla voce dei banditori: il vicerè Ossuna, il vicerè duca di Medinaceli, il vicerè duca di Maqueda, il vicerè marchese di Villana… I vicerè, gli avidi e infausi vicerè della Sicilia spagnola, non sono soltanto parte della storia siciliana, ma anche coi loro nomi, con le cose che da loro hanno preso il nome, della nostra. La via Maqueda, la piazza Villena, la via duca d’Ossuna…
“E aggiungeva: «La storia è diventata toponomastica, la toponomastica memoria individuale».
Un legame ritrovato dunque…
“Proprio così: non era qualcosa che cercava, ma qualcosa che aveva dentro, che tutti i siciliani portano dentro, magari senza rendersene conto. Come affermava: «Qualcuno del resto dice che si parte per tornare poichè ogni uomo reca dentro un suo paesaggio interiore, che potremmo chiamare "paesaggio dell’anima”»
La cultura spagnola ebbe, quindi, un suo peso specifico sulla scrittura di Sciascia…
“E sul percorso della Ragione. Prendiamo Manuel Azaña, Presidente della Repubblica spagnola al tempo della guerra civile. Con l’opera teatrale “La veglia a Benicarlò”, egli sottopose a serrata critica le cause e lo svolgimento crudo della guerra civile, nonché la crisi ideologica intestina dei repubblicani, auspicando in nome della ragione la riconciliazione della nazione, alla fine della guerra, secondo il motto “pace, pietà, perdono”. Una vita la sua dedicata ai valori della giustizia e della ragione, che gli valsero l’esilio e la morte, ma che colpì Sciascia, il quale avrebbe voluto pubblicare l’opera da lui tradotta in italiano, per un progetto che abortì, perché in quel momento avrebbe suscitato più di una polemica.
Ma anche Miguel de Unamuno con la sua opera Del sentimento tragico della vita, imperniata sul contrasto tra fede e Ragione, gli aprì scenari unici per cogliere l’angoscia che attanaglia l’uomo moderno, nonchè l’amarezza e la conflittualità dell’esistenza umana.
Con l’approfondimento delle opere di Américo Castro e di Borges, il cerchio si chiude.
“Castro, erudito e critico di Rio de Janeiro, compì importanti studi sulla lingua, la letteratura, la religiosità e la cultura spagnola, assai fecondi per lo Sciascia lettore, soprattutto con l’opera Il pensiero di Cervantes e Aspetti del vivere ispanico. L’argentino Borges, maestro dell’ombra e delle finzioni, influì sulla scrittura di Sciascia e sulla cultura del “libro”, sostenendo che i libri convergono verso un unico libro, in una sorta di teologia laica del libro. Potrebbe essere il gran libro della vita, a somiglianza di una Divina Commedia o della Bibbia. Un concetto che fece dire a Sciascia che per poter scrivere bisogna essere sempre in stato di grazia. E in effetti per lui la scrittura fu un divertimento, una gioia.”
E siamo a Cervantes, dulcis in fundo…
“I rimandi a Cervantes sono evidentissimi nell’Onorevole, un’opera teatrale, nella quale la caduta verticale della società e la corruzione appaiono ormai conclamate. Eppure, attraverso il riferimento al sogno idealistico di Don Chisciotte e all’angelismo di Sancho Panza, che voleva governare appunto come un angelo, Sciascia conclude che c’è sempre un margine che si offre alla possibilità della ragione umana, per uscire dal pantano o per trarsi dall’abisso”