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PIERO CARBONE
IL POETA DELLA SICILINCONIA
NEL SOLCO DI PIRANDELLO,
SCIASCIA E EMPEDOCLE
Mbriacatu di sicilincunia
Sutta lu cielu sbruogliu
pinzera, gruppa
di firnicii.
Calu l’uocchji, talìu
si tornanu li cunti.
Nun tornanu ppi mia,
forsi ppi tia.
Ti nni jisti luntanu,
iu ristavu.
Forsi tu arriniscisti, iu fallivu?
Tu cu l’arma sbinnuta a la stranìa,
iu mbriacatu di sicilincunia.
Sotto il cielo sbroglio / pensieri, groppi / di almanaccamenti. /
Abbasso gli occhi, vedo / se tornano i conti. / Non tornano per
me, / forse per te. / Te ne sei andato lontano, / io son rimasto. /
Forse tu ce l’hai fatta, io ho fallito? / Tu con l’anima svenduta in
terra straniera, / io imbriacato di sicilinconia.
In Sicilia nasce un nuovo movimento poetico dialettale: la sicilinconia. Il corifeo ne è Piero Carbone, un poeta di Racalmuto, che propugna tematiche universali in lingua siciliana. E di vero idioma si tratta, stando alla prefazione al suo nuovo libro “Venti di Silinconia” da parte di un illustre critico, che risponde al nome di Salvatore Di Marco, che di lingua e letteratura siciliane conosce fin troppo.
“Nel nostro poeta racalmutese non ci troviamo
davanti ad un “concetto” elaborato su istanze di
razionalità speculativa, quanto invece davanti ad una
“categoria” tutta poetica della sua liricità, capace di
agire sulla creatività e sui suoi impianti di scrittura.
Aggiungo soltanto che se stiamo parlando di una
sorta di “malinconia sicula”, ( quella che – per intenderci
– i messinesi nel loro dialetto chiamano lissa e
luffa o siddrìu i palermitani), allora forse attraverso
la finestra aperta dalla isolitudine di Lucio Zinna e
dalle “manipolazioni” di Bufalino sull’anima siciliana
contemporanea, con Carbone – e specificatamente
con questa sua silloge Venti di sicilinconia – entriamo
in una dimensione più marcatamente soggettiva,
insediata cioè nella interiorità della persona (del
poeta), germinata sulla somma di ancestrali disagi
dell’anima, e che assumono nei singoli testi poetici
della sua raccolta i segni della malinconia.
Infatti, in quest’ultimo libro di Carbone, si colgono
la confessione d’un profondo senso di disagio esistenziale
(“nascivu nni lu seculu sbagliatu”) insieme
al persistente senso della precarietà (e forse occasionalità)
del vivere.”
Salvatore Di Marco sviluppa un concetto ben preciso, evidenziando che la silinconia cantata da Piero Carbone è un’evoluzione moderna e attuale della sicilitudine di Leonardo Sciascia:
Ecco la chiave di lettura di tutta la raccolta: e
Carbone, con i suoi venti di sicilinconia, porta la
“sicilitudine” sciasciana (e non di Cane) dalle cifre
antropologico-culturali, insieme alle incerte solitudini,
sulla dimensione spirituale della soggettività
umana proprio laddove ristagnano alienazioni, estraneità,
patimenti, domande senza speranza.
Ecco, dunque, nella vena poetica di Carbone,
come scorrono le malinconie dandole umori e dettati.
Ecco, perciò, una nuova liricità del canto rabbiosamente
dolente e parimenti misurato e sommesso,
ecco il lungo trasferirsi della condizione siciliana
dalle sicilitudini alle sicilinconie.
Del resto ci troviamo a Racalmuto, nella patria di Sciascia, il quale in Notizia preposta a Occhio di capra afferma:
“Isola nell’isola, come ogni paese siciliano di mare o di montagna, di desolata pianura o di amena collina, la mia terra, la mia Sicilia, è Racalmuto, in provincia di Agrigento. E si può fare un lungo discorso su questa specie di sistema di isole nell’isola-vallo (i tre valli in cui la divisero gli arabi) dentro l’isola Sicilia, l’isola-provincia dentro l’isola-vallo, l’isola-paese dentro l’isola-provincia, l’isola-famiglia dentro l’isola-paese, l’isola-individuo dentro l’isola-famiglia; un discorso già tracciato da Pirandello, e specialmente nella commemorazione di Verga.
Pirandello nel “Discorso su Verga” aveva detto:
“Tutti i siciliani in fondo sono tristi, perché hanno quasi tutti un senso tragico della vita, ed anche quasi una istintiva paura di essa oltre quel breve ambito del covo, ove si senton sicuri e si tengono appartati; per cui sono tratti a contentarsi del poco, purchè dia loro sicurezza. Avvertono con diffidenza il contrasto tra il loro animo chiuso e la natura intorno, aperta, chiara di sole, e più si chiudono in sé, perché di quest’aperto, che d’ogni parte è il mare che li isola, diffidano, e ognuno è e si fa isola a sé, e da sé si gode, ma appena, se l’ha, la sua poca gioia, da sé, taciturno e senza cercar conforti, si soffre il suo dolore spesso disperato.”
Quindi, Piero Carbone si colloca, sotto il profilo delle tematiche svolte, nel solco di predecessori illustri, anzi alimenta i temi della solitudine, della isolitudine e della sicilitudine dei siciliani, trovando una nuova strada in chiave di modernità, come afferma in modo puntuale e convincente nella sua profonda prefazione il critico Salvatore Di Marco.
Ma non è peregrino affermare che Pirandello, Sciascia e lo stesso Carbone abbiano assimilato quel senso del tragico che già era presente nella filosofia e nella vita dell’akragantino Empedocle.
Questa tragica evanescenza dell’uomo, questo essere e non essere, che si potrebbero riscontrare anche in Pindaro, il quale definì l’uomo “sogno d’un’ombra”, e combaciano con l’ambivalenza del Fu Mattia Pascal di Pirandello, Carbone li ha ben assimilati, cavandoli dall’immaginario collettivo isolano fino a farli esplodere:.
Vientu, siemmu vientu
Li seculi cummoglianu lu suli
e lu suli li squaglia comu cira.
Li palori ìnchjinu lu munnu
e lu munnu li scarpisa comu pira.
Pozzu vinciri lu friddu di la morti
sulu ccu disidderiu e puisia.
Essiri. Unn’essiri. Duranu un mumentu.
C’era, un c’è cchjù. Cu l’arrigorda?
Vientu, siemmu vientu.
Vento, siamo vento
I secoli coprono il sole / e il sole li scioglie come cera. / Le parole
riempiono il mondo / e il mondo le calpesta come pere. / Posso
vincere il freddo della morte / solo con desiderio e poesia. /
Essere. Non essere. Durano un istante. / C’era, non c’è più. Chi
se lo ricorda? / Vento. Siamo vento.
Si tratta, peraltro, di qualcosa di programmatico, se è vero che nell’esergo, Carbone si ispira non casualmente a un poeta spagnolo, il madrileno José Hierro (1922-2002), i cui temi furono quelli della ricerca del significato dell’esistenza, e che gli ha fornito quasi il titolo “Venti di sicilinconia”, a rimarcare l’universalità del canto di Piero Carbone e la contiguità della lingua siciliana con altre lingue neolatine.
“Ya libre y feliz, como viento”.
José Hierro, Canto a España
Libero e felice, come il vento.
Il lirismo di Piero Carbone è una visione tragica ed umoristica della vita, se per umorismo vogliamo intendere, in chiave pirandelliana e sciasciana, il sentimento del contrario che non fa ridere, ma fa meditare, perché in esso ci si può rispecchiare tutti.
Sicilincúnia o sicilincunìa?
Sicilincúnia veni di ncúnia.
Sicilincunìa veni di pena.
Ncapu la ncúnia ncoccia lu firraru
ccu lu martieddru lu fierru ancora callu
e lu fa addivintari nzoccu voli:
chjavi di porta o fierru di cavaddru.
Chjanci la matri lu figliu ch’è n guerra.
Chjanci lu figliu partutu surdatu.
Chjanciva lu minaturi, lu viddranu,
ora cu parti o è disoccupatu.
Sicilincúnia o sicilincunìa?
Si pati o s’arripiglia lu distinu?
Cancia l’accentu,
allegru o ammartucatu:
fuocu addiventa
o
chjantu ngusciatu.
Sicilincónia O Sicilinconìa?
Sicilincónia viene da incudine. / Sicilinconìa deriva da pena. /
Sopra l’incudine batte il fabbro / con il martello il ferro ancora
caldo / e lo forgia secondo quel che vuole: / chiavi di porta o
ferro di cavallo. / Piange la madre il figlio ch’è in guerra / piange
il figlio che va a fare il soldato. / Piangeva il minatore, il
contadino / ora chi parte o è disoccupato. / Sicilincónia o sicilinconìa?
Si subisce o si modifica, il destino? / Cambia l’accento
/ allegro o malinconico: / diventa fuoco / o / pianto a dirotto.
Non solo dialetto, però, sta alla base della poetica di Carbone. La sua silloge mostra la forza e il vigore dei temi, nonché la modernità del dettato, nella voltura che viene fatta a proposito in lingua italiana, che offre il vero spessore di uno dei più grandi poeti siciliani contemporanei.
E mali campulìa
Li tassi su’ na vera malatia.
Ogni guvernu li voli scamusciri.
Ma senza tassi nun ci su’ spitala.
Cu penza a la munnizza? Cu a la scola?
Parissi festa
ammeci è na svintura.
Cu è rriccu campa.
Cu rriccu unn’è, talìa,
paga li tassi
e mali campulìa.
E male campicchia
Le tasse sono una vera malattia. / Ogni governo le vuole diminuire.
/ Ma senza tasse non ci sono ospedali. / Chi pensa alla
spazzatura? Chi alla scuola? / Sembrerebbe festa. / Invece è una
sventura. / Chi è ricco campa. / Chi ricco non è, sta a guardare /
paga le tasse / e male campicchia.
Ma nun è pi tutti uguali
Ci su’ autisti, ci su uscieri,
prisidenti, cancillieri.
Ci su’ judici, avvucati…
Cu fa mprestiti e palazzi
cu arricogli pizzu e grana
cu è pagatu p’ammazzari
cu ci vinni li pistoli
cu l’arresta
cu nni scrivi
ncapu libra e li giornala.
Cu fa liggi n Parlamentu
cu assicuta latitanti
cu va n càrciri è guardatu
cu si penti è stipendiatu.
Nni sta fabbrica speciali
cu cci campa, cu cci mori.
Ma nun è pi tutti uguali.
Ma non è per tutti uguale
Vi sono autisti, vi sono uscieri, / presidenti, cancellieri. / Vi sono giudici,
avvocati…/ Chi fa prestiti e palazzi / chi procaccia “pizzo” e soldi / chi è
pagato per ammazzare / chi gli vende le pistole / chi l’arresta / chi ne scrive
/ su libri e giornali. / Chi fa leggi in Parlamento / chi insegue latitanti
/ chi va in carcere è vigilato /chi si pente è stipendiato./ In questa fabbrica
speciale / chi ci campa, chi vi muore./ Ma non è per tutti uguale.
65 poesie che diventano, con la traduzione in lingua madre, 130 che vanno lette e meditate attentamente, perché non rappresentano uno spaccato soltanto della Sicilia, ma del mondo intero: registri linguistici che diventano metaforicamente registri di una nazione tra le altre nazioni.
Già nel presentare l’altra sua opera, Pensamenti, scrivevamo:
Piero Carbone, uno studioso e profondo conoscitore della sua Racalmuto, ha compiuto con l’ausilio del linguista Salvatore Trovato, ordinario di Linguistica generale nella Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Catania, una grande operazione di recupero del dialetto racalmutese originario, che quasi s’identifica con il dialetto di Girgenti, definito da Pirandello nella sua tesi di Bonn (Suoni e sviluppi di suoni della parlata di Girgenti) la parlata più pura, più ricca di suoni, più vicina alla lingua italiana. E’ vero che ogni dialetto, secondo il Premio Nobel, ha suoni e sviluppi di suoni, ma quello di Girgenti ( ed anche quello di Racalmuto quasi identico, salva qualche dittongazione con taluni strascichi) concorse più degli altri alla formazione della lingua italiana. Il Professore di filologia Pirandello – è il caso di dirlo – non si sottrasse alla polemica sulla “vexata quaestio” della Lingua, chiamatovi obtorto collo per rivendicare inoppugnabilmente l’importanza, in quel contesto, della Lingua Siciliana. Avere restituito, quindi, al dialetto di Racalmuto la sua originalità e la sua primitiva purezza, costituisce un risultato di valore assoluto nell’ambito degli studi linguistici e si colloca, rinverdendoli, nel solco delle elaborazioni filologiche pirandelliane.
Un doppio plauso, quindi, alla Medinova
la casa editrice che si è assunto l’onere di pubblicare l’opera vincitrice del Premio Martoglio 2009 e sta pubblicando una serie di libri di grande importanza per la storia locale e della Sicilia. L’editore, il medico Antonio Liotta di Favara, sta facendo un buon lavoro e, come espressione della piccola editoria, va sostenuto e incoraggiato.
Medinova si trova in Via Napoli, 31
92026 Favara (Ag)
Tel/fax: 0922 32214 cell: 338 7406341
www.medinova.it e-mail: info@medinova.it
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e-mail: novamedi@virgilio.it
Piero Carbone
Venti di sicilinconia
opera vincitrice del “premio Martoglio 2009”
Piero Carbone è nato nel 1958 a Racalmuto in provincia diAgrigento.
Vive a Palermo dove insegna nelle scuole pubbliche. Scrive
in lingua e in dialetto siciliano.Alcune sue opere sono state musicate
e rappresentate.Ha curato una serie dimostre di artisti siciliani
e suoi testi figurano in cataloghi e numerose edizioni d’arte. Collabora
con diversi giornali e riviste.Opere pubblicate in dialetto: A lu
Raffu e Saracinu (1988), La luna (1994), Pensamenti (2008).Opere
pubblicate in lingua: Il mio Sciascia (1990), Sicilia che brucia
(1990), Notturno in via Atenea (1993), Emarginalia (1996), Eretici
a Regalpetra (1997),Dialogo nel bosco (2000; II ediz.ne 2002),
Il giardino della discordia (2006).
La silloge, che presenta un evidente profilo poematico, è dotata
di una struttura espositiva e architettonica estremamente moderna,
pur mantenendo spesso una organizzazione metrica e dei
ritmi interni di grande efficacia comunicativa. Con un linguaggio
poetico che riflette la chiarezza del dettato, assicurandone
così la immediata comprensione nella lettura, il dialetto coniuga
strettamente e in sintonia le sue ancestrali radici lessicografiche
con l’espressione orale dei nostri tempi. Le venature malinconiche
e il sigillo di una ben pronunciata sicilianità spirituale e
culturale del poeta, conferiscono alla raccolta “Venti di sicilinconia”
il segno di una interessante suggestiva liricità.
(Motivazione per il conferimento del Premio “Martoglio 20009